Dicono
i buddisti che l’unica cosa realmente permanente è l’impermanenza. Io dico che
l’unica cosa realmente duratura è la discordia. Internet sembra sia stato
inventato per evidenziare il fenomeno della mancanza di concordia tra gli
esseri umani. Se finora la discordia si è manifestata
sporadicamente al bar in litigi tra ubriachi, oppure per strada tra automobilisti nervosi, oggi sembra che nessuno si salvi
dalle litigate virtuali, nemmeno gli astemi. Contraddire il prossimo è legge.
Infastidire gli astanti è regola. Turbare gli animi dei più sensibili è alla
moda. Probabilmente, nemmeno io sono esente da tale maledizione
tecno-psichiatrica. I buddisti forse ci possono venire in aiuto suggerendoci di
mollare i conflitti, arrendersi al fato, imparare il distacco dalle emozioni.
Io che buddista non sono, ma semplice simpatizzante, persevero diabolicamente
nell’errore di sguazzare nella melma della discordia patologica di cui le
nostre anime, nessuna esclusa, sono infette. E lo farò – diabolicamente –
parlando di tre demoni in carne e ossa che mi hanno infastidito, turbato e
minacciato proprio mentre ero in stato di debolezza fisica, ma non mentale,
accompagnandomi nel mio rientro in Italia dal Madagascar. Si tratta di un uomo
e due donne, di cui la terza insospettabile. Non ho acredine nei loro
confronti, anche se non mi hanno lesinato i loro insulti (l’uomo), minacce (la
prima donna) e compatimento (la seconda donna). Dirò, di loro, nomi e cognomi,
com’è mia abitudine e userò toni il più possibile pacati e rispettosi delle
loro persone, limitandomi a rendere pubbliche le loro esternazioni. Come il mio
solito, non mi preoccuperò delle conseguenze anche legali, che però, a naso, mi
paiono alquanto improbabili a realizzarsi.
martedì 30 settembre 2014
lunedì 29 settembre 2014
Le cattive maestre
Imputata:
Emilie Filou, collaboratrice della Lonely Planet. Frase incriminata (pag. 241):
“Il Madagascar ha sviluppato un’originale haute cuisine che fonde influenze malgasce e francesi traendo il
meglio dagli ingredienti locali. Tra i nostri piatti preferiti ci sono la
bistecca di zebù con salsa di peperoni verdi e patate fritte, il pollo arrosto
con puré di patate alla vaniglia e la cernia in salsa di grani di pepe rosa con
patate saltate. Tra gli antipasti figura, naturalmente, il patè di fegato
d’oca”.
sabato 27 settembre 2014
La macchina sbeccaprepuzi
Di
questi tre bambini, i due più piccoli, al centro e a sinistra, venerdì 26
settembre sono stati sottoposti a circoncisione contro la loro volontà, benché
avvisati da molto tempo che sarebbe successo. Il fattaccio è avvenuto a 1.000
Km da dove mi trovo. Se fossi stato in loco, poiché l’amputazione è avvenuta a
casa del paramedico Francois che funge loro da tutore, nel quartiere di
Ambolanahomby, forse il chirurgo giunto sul posto mi avrebbe permesso di
documentare il tutto fotograficamente. Molti anni fa vidi un film
sensazionalistico dei fratelli Castiglione, mi pare dal titolo “Africa ama”, in
cui i bimbetti di uno sperduto villaggio africano venivano fatti sedere a terra
e l’operatore gli metteva un pezzo di legno sotto il pene. Poi, con un colpo
secco di un martello di legno, che andava a colpire un coltello appoggiato sul
prepuzio preventivamente legato con un cordino, asportava l’inutile pellicina.
Indi, per tamponare il sangue, metteva un rametto biforcuto di bambù, che forse
serviva anche per tenere sollevato da terra l’organo ferito. La voce fuori
campo diceva che se lo sciamano, o chi per esso, sbagliava asportando anche il
piccolo glande, veniva messo a morte. Un po’ come i medici sotto Hammurabi. La
scena finale mostrava un gruppetto di cinque o sei bimbi seduti sulla nuda
terra e piangenti, ciascuno con il suo bastoncino biforcuto di bambù in mezzo
alle gambe.
giovedì 25 settembre 2014
Il migliore dei mondi possibili
Sorridi,
sei su Matrix Camera! La telecamera riprende la scena. Gli attori sono veri. Ci
penserà poi internet e alcune televisioni compiacenti a far vedere l’orrore al
pubblico occidentale, poco avvezzo alla vista di cadaveri decapitati. Ci sono
archetipi che si depositano nei precordi della coscienza collettiva attraverso
i secoli e per i bianchi uno di questi è il turco con la scimitarra,
reminiscenza scolastica delle Crociate, e i suoi trofei sanguinanti di teste
cristiane. Se c’è una regia dietro tutto ciò, conosce bene come siamo fatti e
in massa abbiamo chiesto alle nostre autorità militari che ci salvino da questi
pazzi furiosi. Un alpinista francese val bene una messa in scena.
Sull’esistenza del male su questa Terra non voglio nemmeno soffermarmi. Lascio
ad atei e credenti il compito di discutere su tale secolare questione.
Ciò che mi preme evidenziare è che nonostante il raccapriccio, ci sono persone
che credono ancora che questo sia il migliore dei mondi possibili, come
suggerito da Leibniz, ma non si tratta di irriducibili ottimisti come il Candido di Voltaire, bensì di disonesti intellettuali che falsificano le carte pur
di far rientrare le proprie fallaci convinzioni all’interno del quadro
d’insieme della realtà. Una specie di quadratura del cerchio. Ne ho trovato uno
su Facebook. Si chiama Giorgio e da molti anni vive in Madagascar,
essendone entusiasta. Di lui, che non ho mai conosciuto di persona, posso solo
dire, in base a come si esprime, che aveva ragione Camus quando diceva che a
combattere il male si finisce per assomigliargli, cosicché tale Giorgio, per
trovarsi a suo agio in mezzo ai malgasci, deve per forza pensarla come loro.
Uno specista in mezzo a un popolo di specisti. Vediamo alcune sue perle.
mercoledì 24 settembre 2014
Un angelo vestito da suora
Alla
fine sono riuscito a sapere di che morte devo morire. Passato attraverso una
serie di errori e di autodiagnosi errate, mercoledì 24 settembre ho posto la
parola fine agli interrogativi riguardanti la mia malattia, che mi avevano
assillato nelle due settimane precedenti. L’ho fatto grazie a una persona
straordinaria, una piccola grande donna che conobbi nel 2008 e che ho rivisto
dopo sei anni in un contesto completamente diverso e, come un angelo
rassicurante e materno, mi ha posto nelle migliori condizioni psicologiche per
affrontare il viaggio di ritorno a casa. Non alla casa del Padre, ma a quella
avita delle mie origini. L’angelo in questione è suor Clemenza, di etnia
Merina, che un giorno del 2008 si presentò al Longo Hotel di Tulear chiedendo
se c’era un italiano disposto a tenerle un corso del nostro musicale idioma
italico, giacché dopo qualche settimana una comitiva di sorelle, lei in testa,
sarebbe stata ricevuta da Papa Ratzinger in Vaticano e Clemenza voleva almeno essere
in grado di presentare i saluti al Santo Padre nella maniera più corretta.
Paolo Tartari, all’epoca proprietario dell’hotel, sentita la richiesta della
suorina, mi guarda, mi indica e le dice: “Lui è un insegnante!”. Mi sedetti al
suo tavolo e concordammo le modalità del corso, che sarebbe andato avanti quasi
due mesi, due volte la settimana, per 5.000 ariary (2 euro) all’ora, da tenersi
presso l’ospedale di Tulear dove Clemenza faceva la suora infermiera. Fu
contenta di me, alla fine le diedi un diplomino e lei volle regalarmi una
camicia bianca, che mi faceva assomigliare a un vero monpere, come vengono chiamati i sacerdoti in Madagascar.
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martedì 23 settembre 2014
O Toliara tu sei maledetta!
Un mese nel quartiere popolare di Ambolanahomby. Gemiti di animali morenti,
macellati. Colpi di fucile nella notte, con il coprifuoco alle sei di sera. Al
fianco di una compagna che a volte mi è amica e a volte nemica. Mancanza
assoluta di privacy, con gente in
cortile dalla mattina alla sera, con me che non posso uscire dalla latrina con
il rotolo di carta igienica in mano senza che ci sia qualche estraneo ad
osservarmi e, ciliegia sulla torta, la sfuriata rabbiosa alle sette di mattina
di una persona che credevo amica, mentre ero già malato, per una storia di cui ho trattato e nella quale non volevo essere coinvolto. Tutto ciò mi ha
scassato le paratie delle difese immunitarie al punto tale da debilitarmi come
non mi era mai successo nella vita. Ma per fortuna, quando Zanahary pensa che
Giobbe abbia sofferto abbastanza, gli manda la soluzione, che nel mio caso è
consistita in due Wolkswagen Golf prese a noleggio con autista. Scartato il taxi
brousse, che mi avrebbe ammazzato, e
l’aereo che mi avrebbe spolpato, per l’ennesima volta si è dimostrato che in
medio stat virtus e io ho potuto
viaggiare comodamente disteso dietro con cuscino e coperta nella prima Golf,
davanti con il sedile reclinato nella seconda, per motivi che spiegherò nei
dettagli.
sabato 20 settembre 2014
I Gurka del Madagascar
Poco
dopo la mezzanotte del 15 settembre, io e Tina eravamo svegli a letto con uno
strano presentimento. E infatti, a mezzanotte e venti abbiamo sentito il primo
colpo di fucile. Poi altri tre leggermente distanziati l’uno dall’altro. Noi
siamo tranquilli perché, per accedere all’abitazione, c’è una prima porta di
ferro e poi una di legno. Tutte le finestre hanno le inferriate. Eravamo
comunque sicuri che il giorno dopo Radio Babaky avrebbe fatto il suo lavoro,
riportandoci nei dettagli l’episodio dei quattro colpi di fucile. A Tanandava,
un villaggio oltre la foresta di manghi poco distante da dove ho trovato le ossa umane, sei malaso hanno
assalito un proprietario di pecore, portandogliene via una ventina. Quando
l’uomo ha sentito un trambusto e dei belati spaventati provenire dal recinto,
benché sapesse cosa stesse succedendo, ha voluto uscire ugualmente e si è
trovato la canna di un fucile puntata addosso. Per sua grandissima fortuna,
visto che la vita umana per i malaso non vale niente, l’uomo che teneva in mano il fucile mentre i suoi
complici facevano uscire le pecore, ha sparato in aria e ha intimato alla sua
vittima di rientrare in casa. L’allevatore non ha potuto far altro che
obbedire, ma quando ha sentito che i belati si erano allontanati, è uscito di
nuovo gridando con quanto fiato aveva in gola, fischiando con il fischietto che
molti tengono in casa e chiedendo aiuto agli altri abitanti del villaggio.
Nessuno è uscito di casa.
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venerdì 19 settembre 2014
Sbronza da possessione
Finora
avevo sempre pensato che ci fossero due tipi di sbronze, quella triste e quella
violenta, la più odiosa. Ma da ora devo aggiungere anche un terzo tipo: la
sbronza da possessione spiritica. In un certo senso, come Gesù, risorgendo dopo
tre giorni, fu uno zombie per il resto della sua vita, così anche la Madonna fu
posseduta dallo Spirito Santo, benché senza far ricorso all’uso di alcol, e
quindi lei fu l’antesignana di tutte le tromba (leggasi ciumba) che in Madagascar vengono visitate
dagli spiriti, magari, come fa Nenety, aiutandosi con birra e rhum. Il giorno
dopo, infatti, Tina l’ha trovata a casa sua a smaltire la sbornia e posso
immaginare come si sentiva perché anche a me è successo, la sera prima di
sposarmi, di fare una miscela di birra e rhum. Intemperanza da parte mia, senza
la pretesa di convocare gli spiriti, deontologia da tromba (si legge ciumba), da parte di Nenety. La quale
aveva telefonato a Tina affinché assistesse alla performance. Poiché
ritornavamo dalla mia terza iniezione di chinino, ho voluto fermarmi anch’io,
ottenendo da Nenety e dalla sua collega tromba ivi presente l’autorizzazione a scattare fotografie.
Togliendo le scarpe prima di entrare.
giovedì 18 settembre 2014
I pennarelli che restituirono l’onorabilità perduta
Che
Vittorio Conte fosse una brava persona ne ero certo anche prima di conoscerlo
personalmente, mercoledì 17 settembre, perché avevo letto l’appassionato memoriale che sua figlia Melania aveva scritto in sua difesa e che avevo
doverosamente pubblicato sul blog dopo la notizia che io stesso avevo dato,
basata su informazioni evidentemente mendaci, su una sua presunta truffa
ai danni di una coppia di italiani. Essendo stato veicolo di tale diffamazione
ai suoi danni, il mio blog era in parte responsabile dell’amarezza che il
signor Conte aveva provato, tanto è vero che, preso con lui appuntamento
telefonico, non solo inizialmente non voleva farsi fotografare con me, ma era
stato tentato anche di non ricevermi. E invece, ha voluto concedermi fiducia,
da persona saggia, e io spero con questo articolo di porre rimedio almeno in
parte ai torti da lui subiti. Personalmente, ritengo che non bisognerebbe
trascinare all’infinito conflitti mortificanti e che la cosa migliore sarebbe
lasciar perdere, ma siccome il signor Conte ci tiene, riassumerò in breve la
spiacevole faccenda, spiegando alla fine il motivo che mi ha spinto ad
incontrarlo e che ci vede in foto con mazzi di pennarelli in mano.
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mercoledì 17 settembre 2014
Quando tira una brutta malaria
Ci ho messo diverso tempo a capire che la stanchezza innaturale che mi
opprimeva nell’arco della giornata, giorno dopo giorno, fosse dovuta alla
malaria e non (o non solo) allo stress e a qualche carenza alimentare, sia essa
vitaminica, proteica o dei sali minerali. Non avendo termometro in casa, non ho
potuto monitorare l’andamento quotidiano della febbre, ma quando ho realizzato
che aveva un’alternanza, mi sono ricordato che sei anni fa, quand’ero in
affitto da Madame Fleurette a Sanfily, raggiungevo i 39 di febbre nei picchi
più alti, per poi scendere improvvisamente e questo succede quando i plasmodi
escono in massa dai globuli rossi e si mettono in cerca di nuovi eritrociti da
parassitare. L’improvviso rilascio di milioni di plasmodi nel torrente
sanguigno provoca l’innalzamento
della temperatura. Quella di sei anni fa fu una malaria più aggressiva, perché
non stavo proprio in piedi dalla stanchezza e inzuppavo le lenzuola di sudore
dall’odore nauseante. Con la malaria dei giorni scorsi non credo di aver mai
raggiunto il picco di 39 di febbre e non ho sudato più del normale. Ciò
nonostante, una debolezza ininterrotta si è fatta sentire per almeno una
settimana, unita all’irritazione di avere ogni giorno qualche estraneo in
cortile, sia esso la ragazza del bucato, la stiratrice, che mi è venuta in casa
zelantemente alle sette e un quarto del mattino, gli operai ad avvelenare il mais e i parenti in visita a Tina provenienti da Tanà. Tutte persone a cui
il bravo vazaha è tenuto a
offrire il pranzo. Ma lasciamo stare.
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martedì 16 settembre 2014
Io Narciso e uno dei miei specchi
Testo
di Paolo Martinuz
Caro
Roberto, sono Paolo Martinuz e sono molto preoccupato per te. Vorrei scriverti
dettagliatamente ciò che penso su diverse tematiche che affronti, ma
onestamente non so da dove cominciare e i concetti che vorrei riportare
porterebbero via troppo spazio. Quindi ti scrivo in maniera chiara e diretta
senza disquisizioni sociologiche e similari. Ti chiedo solo: nel tuo periodo di
permanenza in Madagascar sei riuscito almeno con un individuo ad insegnargli
qualcosa? In caso contrario, non immolarti per cercare di far prendere
coscienza su elementari concetti di convivenza civile a quell'ammasso di
barbari. Riguardo alla tua salute, evidentemente aggravata dalle situazioni di
stress che stai vivendo, non dimenticare il fattore proteico. Hai la possibilità
di mangiare almeno saltuariamente uno di questi alimenti: soja, lenticchie,
piselli, ceci, fagioli, jogurth? Tu hai già sofferto abbastanza, ora basta!
Torna a casa! Tu sai cosa trovi qua, e cosa lasci andando via dal paese dove
attualmente ti trovi. Sai benissimo che anche qui da noi è pieno di gentaglia e
teste di cazzo, a cui auguro di lasciare quanto prima il pianeta, ma sai
altrettanto bene che troverai al tuo ritorno anche tante persone civili,
animalisti come te, o almeno persone che ti rispettano e sono in parte in
sintonia con la tua visione della realtà e i tuoi ideali. Torna a casa e
abbandona per sempre certe persone di merda con cui hai condiviso (si fa per
dire) parte della tua vita. Quando torni ti invitiamo in un bel ristorante
vegetariano o vegano e ci facciamo una scorpacciata di cibi vitali e non
impestati. Roberto, segui il nostro consiglio, torna a casa! Non puoi fare
nulla per loro! E la tua vita è più importante di quella di certe figure che
hai ampiamente descritto in questo spazio di dialogo.
TI
ASPETTIAMO! TORNA PRESTO, TU SEI ROBERTO DURIA, UN MITO, SEI UNICO. LA MAGGIOR
PARTE DELLE PERSONE NON AVREBBE NEANCHE IL DIRITTO DI LECCARTI LE SCARPE!
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E’ il pensiero che conta
A
questa ragazza dagli occhi felini abbiamo prima provato a farle conoscere un vazaha e poi, dopo qualche mese, a regalarle un cellulare a
cui ci teneva, magari per intessere quelle relazioni, foriere di sbocchi
matrimoniali, che la ragazza povera di un villaggio di poveri pescatori ha
obiettivamente difficoltà a intrattenere. Ebbene, sia col vazaha, sia col cellulare è andata buca. Non ha funzionato.
Nel secondo caso proprio in senso letterale. Se Mauro Venz avesse intenzione di
trovare una brava ragazza, che a Sacile non era stato capace di trovare, o di
sperperare i suoi soldi con le makorele, non mi era chiaro all’inizio, quando lo mettevo in guardia sui
pericoli del Madagascar. Poi, finiti i due mesi della sua permanenza, si è
saputo cosa ha scelto di fare. Affari suoi! Per Natascia è stato meglio così,
benché lei sia ancora in cerca di un fidanzato e, sperabilmente, di un
fidanzato vazaha, che le
garantisca un futuro di sicurezza economica. Per il momento, deve accontentarsi
di fare la venditrice di pesce al mercato di Tulear, anche se ieri sono venuto
a sapere che il pesce è merce così richiesta in città che c’è qualcuno che va
direttamente in casa sua, molto spesso, a rifornirsi, così che lei non è
obbligata a prendere tutti i giorni il pick up brousse da Ankilibe a Tulear, con la bacinella del pesce.
domenica 14 settembre 2014
Sono malato
Mi
si dice: “Non parlare di cose personali nel tuo blog!”. Ma io so che fin dagli
anni Settanta circolava lo slogan: “Il personale è politico e il politico è
personale”. Cosa intendessero i “compagni” dell’epoca con tale espressione non
so, di preciso, ma io la interpreto nel senso che No man is an island, nessun uomo è un’isola, e tutto ciò che può
interessare a un singolo essere umano, può interessare anche a una più vasta
categoria di suoi simili. Dunque, perché dare per scontato che tre mesi ai
tropici non possano avere effetti deleteri sulla salute, per l’occidentale
medio? Se tra i miei lettori ce ne dovessero essere alcuni che hanno intenzione
di affrontare questa o anche altre mete esotiche, è meglio che siano preparati
a tutto. Se si può imparare dagli errori degli altri è meglio, no? Io so perché
sono malato. Perché le mie energie si sono gradatamente esaurite. Non ho fatto
sport eccessivo, non ho fatto lavori pesanti, ma un fattore decisivo, che mi
aggredisce ogni volta che vengo in Madagascar, è lo stress. Mi piace quindi
analizzare con voi questo fenomeno, senza avere la pretesa d’essere un
rappresentante tipico della nostra razza, ma sui generis, molto sui generis.
sabato 13 settembre 2014
Maledetti parassiti!
Prima
viene a dirmi che devono dare il veleno al mais, poi mi dice che devono solo
fargli prendere aria, svuotarne i sacchi e mescolare il contenuto, in modo che
chicchi grandi stiano insieme a chicchi piccoli e alla fine mi conferma che,
oltre a questa miscelazione, devono anche dare la polvere medicamentosa contro
i curculioni.
“Tina,
Tina, le informazioni sono importanti”, le dico sconsolato. Chiama Nary, il nostro guardiano di quando ci assentiamo, che viene a farsi fotografare con
il sacchetto incriminato. E’ una polvere bianca che Alifeno, il padre adottivo
di Tina, sparge sul mais a mani nude, come facevano una volta i contadini
quando seminavano. I suoi aiutanti, tra cui Nary, s’incaricano di mescolare il
tutto camminandovi sopra. E’ la stessa tecnica usata nelle risaie, solo che al
posto dei piedi umani in quel caso si usano le zampe degli zebù, fatti
camminare nel fango avanti e indietro.
venerdì 12 settembre 2014
Due idioti stagionati
Ho
conservato in memoria le seguenti due lettere per cinque anni. Mi sono state
scritte da italiani residenti ad Antananarivo, uno dei quali conosciuto e
l’altro no. Siccome la vendetta è un piatto che va consumato freddo, penso che
ora le due “perle di saggezza” siano fredde al punto giusto. Esse rappresentano
il succo dello specismo cattolico, ovvero della stupidità intrisa di
cattiveria. In Italia, venir accusati di preoccuparsi per le bestie e di
trascurare gli uomini, ce lo siamo sentiti dire in tutte le salse, e non a caso
i due autori delle lettere sono italiani. Della peggiore specie. Del primo,
tale Fiore Bottega, so solo che era orfano fin da bambino ed è stato tirato su
dalle suore. I risultati, in fatto di ristrettezza mentale, si vedono. Del
secondo, tale Bruno, non so nulla, ma essendo amico del primo posso applicargli
il principio: “Similis similem amat”,
il simile ama il suo simile. Entrambi degli idioti, dunque. Sul perché
pubblichi in questo momento tali due spetazzamenti stagionati, posso dire che
dipende dal fatto che non ho niente altro di meglio da pubblicare. Ma posso
dire anche che pochi giorni fa alcuni trolls hanno scoreggiato nel mio blog,
così che ho dovuto aprire le finestre. Evidentemente, ciò che alcuni
disinformatori fanno dietro pagamento da parte dei “padroni del mondo”, altri
hanno fanno, cinque anni fa, per puro, squallido, insulso, diletto. L’articolo
che tanto ha scandalizzato quell’anima candida di Fiore Bottega è QUESTO.
Godetevi, intanto, questi esempi sublimi di intelligenza.
giovedì 11 settembre 2014
Il proclama del malaso Obama
Questa
settimana le forze mi hanno abbandonato, forse per una specie di contraccolpo
psicologico. Avrei voluto andare a parlare con il direttore della missione
cattolica Don Bosco, per chiedergli cosa ne pensasse delle tre suore italiane
uccise in Burundi e avrei voluto tornare da Monsieur Shalim, proprietario
dell’hotel Al Shame, per chiedergli cosa ne pensa dell’ISIS. Vi ero già stato
due volte la settimana scorsa, ma senza trovarlo e mi ero ripromesso di fargli
anche vedere alcune foto di soldati decapitati in Siria, ma per ora devo
sospendere queste due – diciamo così – interviste, perché mi sto trascinando
dal letto al letto e poi ancora dal letto di nuovo al letto. Sto cercando di
mangiare quanta più frutta possibile e di bere acqua e limone con zucchero, ma
le forze sono ben lungi dal ritornare. Per tale ragione, dovrete accontentarvi
dell’aneddotica disponibile qui ad Ambolanahomby, che poi non manca, grazie a
Radio Babaky in generale e a Tina in particolare, che ha ripreso le sue normali
attività pettegolesche.
L’etnia degli zombie
Per
sapere se la bella ragazza che ci sta parlando, seduti sulla riva di un fiume,
è una Agane, bisogna sollevarle la lunga gonna e vedere se ha i piedi rivolti
all’indietro. Per sapere se la bella ragazza che ci sta parlando, seduti sotto
un albero di Badamera, è veramente viva, bisogna guardare se ha cicatrici in
testa, sulle ginocchia o sui gomiti. Nel primo caso, se si tratta di un’Agane
con i piedi all’incontrario, è meglio mettere gambe in spalle e fuggire senza
voltarsi indietro. Nel secondo caso, poiché le cicatrici se l’è procurate nel
tentativo di uscire dalla cassa da morto, è meglio allontanarsi da lì il più in
fretta possibile, perché si tratta sicuramente di una ragazza zombie. Un altro
sistema per scoprire l’identità segreta di un eventuale zombie, in Madagascar,
è quello di avvicinarsi al soggetto dormiente e mettergli un po’ di sabbia
sulla fronte, oppure sulla pancia, ma è un metodo alquanto rischioso perché se
il soggetto è veramente uno zombie, che come tutti sanno non sopportano di
essere messi sotto terra, la persona in esame si sveglia all’improvviso e
uccide l’ardito sperimentatore. Per essere sincero, anch’io, se qualcuno mi
mettesse della sabbia sulla testa mentre sto dormendo, non sarei molto
contento, ma non credo che arriverei a uccidere, per questo. Dunque, il metodo
è sicuramente valido.
martedì 9 settembre 2014
Perdonami, mister Wilson!
Svegliandosi
dal torpore che lo aveva colto, Tom Hanks il naufrago si accorge che Mister
Wilson non era più al suo posto. Prima di salpare con la zattera aveva infatti
sistemato il suo sferico e silenzioso amico su un treppiede, legandolo
malamente con dello spago, ma un’onda più forte delle altre lo aveva sbalzato
via. Mettendo a fuoco il mare circostante tra l’abbacinante riflesso della luce
sull’acqua, Tom il Naufrago si accorge che la palla da volleyball che lui chiamava Mister Wilson galleggiava poco
distante. Immediatamente si tuffa in acqua per salvare l’amico, non prima di
aver saggiamente afferrato una fune l’estremità della quale era legata alla
zattera. Dato il mare mosso, se non avesse preso questo accorgimento, forse non
sarebbe più riuscito a risalire a bordo. E infatti, nuotando in direzione del
sorridente pacioso pallone, Tom a un certo punto deve scegliere tra la sua vita
e quella dell’amico, perché la fune finisce e a lui mancherebbero poche
bracciate per porre in salvo colui che gli aveva tenuto compagnia durante
lunghe notti solitarie. Ma oltre non può andare. Con tutta la disperazione di
chi sa che sta per perdere per sempre un bravo compagno, Tom grida: “Perdonami,
mister Wilson. Perdonami!”. E in quelle poche parole c’era tutta la tragica
consapevolezza che non si possono e non si devono tradire così gli amici, non
si possono abbandonare i cani in autostrada, né i palloni da pallavolo, con su
dipinta una smorfia di sorriso, in mezzo alle perfide onde del mare. Tom il
Naufrago torna a fatica sulla zattera, che si sta lentamente sfaldando, e la
sua disperazione è totale.
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lunedì 8 settembre 2014
La favola tragica dei tre porcellini.
A
tre giorni di distanza dall’uccisione di un ragazzo malvivente, sabato 6
settembre è stato ucciso un ragazzo benvivente, poco distante da qui, ad
Andaboly. Mentre i quattro malaso
di mercoledì 3 erano immigrati Masikoro, di cui uno è stato ucciso dalla
polizia e gli altri tre sono stati arrestati il giorno dopo, i quattro malaso di sabato notte erano gente del posto, poiché
Andaboly è noto per essere un quartiere malfamato e pericoloso. Probabilmente
non verranno mai catturati, anche se la madre di Romen li ha visti in faccia,
benché prima di entrare in azione avessero staccato la corrente elettrica dal
contatore. Erano le 23.00 circa. Hanno sfondato la porta di legno, colpito la
madre con un pugno mentre le chiedevano dove tenesse i soldi. Il padre era via
per lavoro, a Belamonty, e la donna era sola in casa con il figlio sedicenne.
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domenica 7 settembre 2014
L'estirpazione del verme parassita
Non
lasciatevi ingannare, questa non è la pancia di una donna incinta, ma di una
donna che da otto anni a questa parte mangia tanto cibo quanto non ne aveva
mangiato nei 25 anni precedenti. E questo perché ha incontrato un vazaha che l’ha fatta mangiare tantissimo. Pensate cosa
succedeva se avesse incontrato un vazaha che la teneva a stecchetto! Comunque, alla fine si è decisa. Ha deciso
di togliere l’ingombro, quello che per molti cattolici è pietra d’inciampo,
nonché idolo viscido e dogmatico. Questa però è anche la pancia di una donna
incinta, oltre ad essere quella di una donna che da otto anni mangia
tantissimo. Indi, i gonfiori si sommano, ma il gonfiore sacro dovrebbe essere
di due mesi, sotto la soglia ammessa per legge in Italia per praticare aborti.
In Madagascar hanno altri usi e costumi. Io ero arrivato alla rassegnazione, a
lasciare che sia lei a decidere come ha sempre fatto, immaginando che il
bambino sarebbe andato incontro a un’educazione collettivistica, come fanno da
questa parti dove il senso del clan è molto sviluppato. E invece, sabato 6
settembre c’è stato il colpo di scena.
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sabato 6 settembre 2014
Il mare è un barile da raschiare
Clementina
ha un chiosco di proprietà in Rue de Cochillages a Tulear, ma ciò nonostante
deve pagare al Comune una tassa annuale di 150.000 ariary, 46 euro. A
Clementina ho prenotato una statuetta raffigurante un boloko, cioè un parrocchetto nero, che il suo scultore di
fiducia ha preparato in un paio di settimane. In tutta la via delle conchiglie
– e Clementina non fa eccezione – vengono vendute uova ricostruite dell’uccello
elefante, estinto in tempi storici a causa della caccia da parte degli
indigeni. Per una volta tanto, non c’entrano i marinai europei, come nel caso
del Dodo delle isole Maurizio. Clementina chiede 50.000 ariary per un uovo
gigante, pari a 15 euro, ma considerato che ne è vietata l’esportazione bisognerebbe
sapere se quando si trova di fronte un turista sprovveduto la donna ha l’onestà
di avvisarlo che non può portare l’uovo fuori dal Madagascar e che
all’aeroporto glielo sequestrerebbero facendogli pagare una grossa multa. In
tal caso, lei perderebbe un affare, ma farebbe un giusto servizio al turista
non informato sulle leggi vigenti.
Italiano in Madagascar punto da una zanzara
Aimone, detto Imo, ha un pessimo rapporto con i suoi cani. Ha provato anche a
cacciarli di casa, ma la prima cosa che hanno fatto è stata quella di mangiare
qualche tacchino o qualche anatra del vicinato, e la gente è andata da lui a
chiedere il risarcimento. Quindi ha dovuto riprenderseli in cortile, ma non gli
dà da mangiare e gli augura di morire con tutto il cuore. Più volte al giorno.
E’ Ivette, la sua compagna di etnia Betsileo, che dà da mangiare ai cani. Tuttavia,
a parte questo, ogni volta che vado a trovarlo (l’ultima, venerdì 5 settembre
mi ha prestato tre libri) vengo a conoscenza di storie di cronaca nera, marrone
o variamente colorata. Ma c’è da dire ancora, a proposito di Deficiente, il
maschio, e di Margò, la femmina, che quando il 12 febbraio 2013 c’è stata
l’alluvione, con il fiume Filarhena che ha portato i coccodrilletti in città,
Imo si è ritrovato Deficiente nell’acqua, in evidente difficoltà e, per
salvarlo, l’ha messo sul quad. Margò se l’è cavata da sola. Da quella volta,
Deficiente sale da solo sul piccolo mezzo a quattro ruote, anche sapendo che
non deve darlo. Il titolo di questo articolo avrebbe infatti potuto essere: “Il
cane sul quad”, ma non lo è.
venerdì 5 settembre 2014
La scelta di andarsene
Testo
di Carlo Bertani
Ma
c’è qualcuno che lotta in silenzio contro questa classe politica: lo fa senza
proferir parola, senza impennate, senza scendere in piazza.
Sono
anch’essi disperati: sono i cosiddetti “cervelli in fuga” che non sono soltanto
“cervelli” ma anche braccia: ad Ottobre, il mio pescivendolo se ne andrà in
Gran Bretagna, perché là cercano gente brava per sfilettare il pesce...non
saranno più orate e branzini, ma aringhe e merluzzi...e allora? Sempre pesce è:
magari c’è più lavoro nel settore del sushi...e lo stipendio? Non può parlare
troppo perché il padrone lo osserva...ma fa un gesto con la mano che è più che
eloquente. Se
ne vanno tutti, ingegneri e falegnami, medici e gommisti...chiunque sappia far
bene una cosa non ha motivo per rimanere in un Paese dove le occasioni sono
pochissime ed incerte mentre le tasse sono altissime e garantite: non mi piace
citarmi, però già nell’Aprile del 2009 mettevo in guardia contro questa rovina
in “Questo è un Paese per vecchi”.
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giovedì 4 settembre 2014
Finale tragicomico
La prima parte QUI
Alla fine, grazie al signor Albert, il nostro vicino di casa poliziotto in pensione, siamo venuti a sapere che il nome del ragazzo ucciso, un immigrato Masikoro come gli altri tre malaso, è Bondy. Il giovane ci era passato davanti al portone di ferro traforato, scavalcando le lamiere di recinzione sul retro della casa. Che un ragazzo disarmato venga freddato da un poliziotto è già una cosa straordinaria, secondo i nostri parametri occidentali, ma qui non hanno mai sentito parlare della Convenzione di Ginevra e quindi va bene così. Radio Babaky, cioè le voci che corrono di bocca in bocca, ha detto che stava scappando verso la foresta di manghi, dove si sarebbe salvato per esempio nascondendosi tra le fronde di un albero, ma stranamente ha deciso di ritornare al villaggio, per ricongiungersi agli altri tre suoi complici. Un innaturale senso del dovere lo ha spinto a ritornare dai suoi, anziché pensare a salvare la pellaccia. Questa scelta gli è stata fatale. D’altra parte, pochi giorni fa a Beroy quattro malaso erano tornati verso il villaggio per cercare di liberare il loro complice legato ad un albero. In quell’occasione, il figlio dell’allevatore che essi avevano ucciso si è fatto largo tra la folla armato di fucile, lasciandone tre esanimi sul terreno, compreso quello legato, mentre due riuscivano a fuggire verso la brousse. Qualcosa di simile deve essere scattato nella mente del ragazzo morto mercoledì 3 settembre: voleva sapere cosa era successo agli altri tre.
Alla fine, grazie al signor Albert, il nostro vicino di casa poliziotto in pensione, siamo venuti a sapere che il nome del ragazzo ucciso, un immigrato Masikoro come gli altri tre malaso, è Bondy. Il giovane ci era passato davanti al portone di ferro traforato, scavalcando le lamiere di recinzione sul retro della casa. Che un ragazzo disarmato venga freddato da un poliziotto è già una cosa straordinaria, secondo i nostri parametri occidentali, ma qui non hanno mai sentito parlare della Convenzione di Ginevra e quindi va bene così. Radio Babaky, cioè le voci che corrono di bocca in bocca, ha detto che stava scappando verso la foresta di manghi, dove si sarebbe salvato per esempio nascondendosi tra le fronde di un albero, ma stranamente ha deciso di ritornare al villaggio, per ricongiungersi agli altri tre suoi complici. Un innaturale senso del dovere lo ha spinto a ritornare dai suoi, anziché pensare a salvare la pellaccia. Questa scelta gli è stata fatale. D’altra parte, pochi giorni fa a Beroy quattro malaso erano tornati verso il villaggio per cercare di liberare il loro complice legato ad un albero. In quell’occasione, il figlio dell’allevatore che essi avevano ucciso si è fatto largo tra la folla armato di fucile, lasciandone tre esanimi sul terreno, compreso quello legato, mentre due riuscivano a fuggire verso la brousse. Qualcosa di simile deve essere scattato nella mente del ragazzo morto mercoledì 3 settembre: voleva sapere cosa era successo agli altri tre.
Un tranquillo mercoledì di paura
Mancava
qualche minuto alle sei di sera, la luce stava scemando e io leggevo “Il vicerè
di Ouidah”, di Bruce Chatwin. Odillon stava spaccando i legnetti di sapen con un coltello, facendone schegge più piccole
adatte per accendere il fuoco, suo fratello Sammy giocava da solo seduto sulla
sabbia, Annika aiutava sua madre ad accendere la fatapera, poiché avevamo in mente di fare le patate fritte.
Sentii degli scoppi e delle urla e pensai a una partita di pallone con la gente
che tifa per la propria squadra e qualcuno che tira petardi. Tina mi venne
vicino e mi chiese: “Hai sentito?”. Subito dopo, altri scoppi nell’aria e il
vicino di casa, un poliziotto in pensione, dall’altra parte del recinto di
lamiera, che chiedeva ad alta voce a se stesso: “Cosa sta succedendo?”.
mercoledì 3 settembre 2014
Ci risiamo!
O
sono io che porto sfiga ai conducenti di ciclo-pousse, oppure viviamo veramente circondati da gente che ha
un livello di tolleranza abbastanza basso, cosa che si può riscontrare anche
nelle nostre grandi città, con il classico cacciavite che spunta fuori quando
due automobilisti si fermano a litigare, ma a me sembra, poiché non vivo in una
grande città, che a Tulear ci sia molta aggressività latente tra la
popolazione. Qualche italiano residente sulla Grande Isola da molti anni
potrebbe dirmi che sto scoprendo l’acqua calda e che i malgasci, se non fanno
almeno una guerra ogni cinque anni, non sono contenti. L’ultima, infatti, il
golpe contro Marc Ravalomanana, è proprio di cinque anni fa, primavera 2009.
Insomma, mercoledì 3 settembre, saliti, io e Tina, su un ciclo-pousse guidato da un ragazzo di nostra fiducia, il
trentenne Noky di etnia Masikoro, siamo stati testimoni dell’ennesimo litigio,
avvenuto mentre io e Tina eravamo scesi per cercare un berretto per me e Noky
spingeva manualmente il suo triciclo tra la folla.
martedì 2 settembre 2014
Paternità responsabile
“Come
tutti i nati in posti dove non c’è che macchia spinosa, sognano verdi prati e
una vita facile”, scrive Bruce Chatwin ne “Il vicerè di Ouidah”. Non so se
Lucie sogna verdi prati ma la vita facile l’ha ottenuta, dopo averla sognata,
avendo sposato Claude, un vazaha
francese di 66 anni, che ha conosciuto tre anni fa. Lucie ha 25 anni e il
piccolo Olivier, nato dalla loro unione, fra pochi giorni frequenterà un
collegio francese. Ovviamente. Hanno un vasto possedimento, con casa in
muratura, cintato da un alto muro di pietra poco prima del villaggio di
Analatsimavo e si spostano con un Suzuki Samurai. Possono essere definiti panarivo, cioè ricchi e tale ricchezza deriva loro dal
negozio di gioielleria che gestiscono in centro a Tulear. Anche se il Madagascar
è un paese povero, c’è la minoranza Karana, di origini arabe, che non se la
passa poi tanto male, con le ferramenta e i negozi di elettrodomestici e di
alimentari, e le loro donne, come tutte le donne del mondo, non disdegnano di
adornarsi con pietre e gemme preziose. E poi ci sono anche i gasy, pochi, che si sono arricchiti, in un modo o
nell’altro. Anche loro rendono felici le loro donne con collane, braccialetti e
anelli muniti di pietre preziose. Claude è originario di Cannes, sulla Costa
Azzurra, mentre Lucie è di etnia Vezo, entrambi dunque sono cresciuti vicino al
mare, anche se l’entroterra di Lucie è arido e spinoso a differenza di quello
di Claude.
Beply il buffoncello
Noi
lo abbiamo sempre chiamato Beply, ma da giovane si chiamava esattamente così e
faceva il coltivatore. Poi, quando si sposò una prima volta, fece anche il
guardiano insieme a sua moglie. Fu per caso o per premeditazione, visto che l’ambiente
sociale non aveva niente in contrario, che Beply cominciò a ubriacarsi e a
fumare jamala, la marijuana di
produzione locale. La moglie non era per niente d’accordo di avere un marito
sempre sballato e lo lasciò, ma il primo figlio, un maschio, era già nato. Poi
Beply rinsavì per quattro anni, durante i quali non toccò un goccio, che è uno,
di toakagasy, né fumò uno
spinello, che è uno, di jamala. E
in quel periodo, poiché Zanahary, nella sua infinita bontà, concede sempre una
seconda chance, Beply trovò e
sposò una seconda donna e riprese a fare il coltivatore e il guardiano. Se non
che, forse perché la vita matrimoniale non gli era consona, ricominciò a fumare
jamala e a bere toakagasy e anche la seconda moglie lo lasciò, ma un secondo
figlio era già nato, un altro maschio. Ora Beply è irrimediabilmente adala
adala, scemo, non fa più né il
coltivatore, né il guardiano e se non avesse i due figli che provvedono a lui,
sarebbe costretto ad affidarsi alla pietà del Signore Zanahary.
lunedì 1 settembre 2014
Materiale scolastico disponibile
Questa
è solo una piccola parte delle migliaia di pennarelli e di penne biro che Aimone Del Ponte è riuscito a salvare dal magazzino di un’associazione umanitaria
francese che non è riuscita a distribuirli ai diretti interessati. Buttati in
un mucchio c’erano anche 580 libri per bambini, in francese, che Aimone ha
inventariato e che sono costituiti in parte anche di sussidiari scolastici.
Chiunque sia residente in Madagascar e abbia contatti con maestre o presidi o
voglia dare inizio a qualche scuola privata volta ad educare i più piccoli, mi
scriva in privato e io lo metterò in contatto con Aimone, il quale è ben felice
che il materiale scolastico non vada sprecato e serva allo scopo per cui la
Comunità Europea lo aveva destinato.
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Tagliatori di teste
In
questi giorni mi sono fatto un’abbuffata dei commenti di Luogo Comune,
sulla presunta decapitazione del giornalista americano James Foley. Poi, tanto
per restare in tema, Francesco Spizzirri mi manda un sito in cui c’è una
discreta collezione di teste mozzate in Siria e infine Tina mi legge la notizia
del Gazetiko su un uomo di 50 anni di Andapa, nel nord del Madagascar, che il
14 agosto scorso è stato scoperto dalla moglie insieme alla sua amante, molto
più giovane, e per questa ragione la moglie voleva chiedere il divorzio. Preso
da un raptus, con il timore di essere abbandonato, il cinquantenne l’ha
pugnalata e, già che c’era, ha ucciso anche il cognato giunto in soccorso.
Entrambi, poi, sono stati fatti a pezzi. In questo caso, essendosi l’episodio verificato
in un paese del Terzo Mondo, è difficile parlare di omicidio dovuto a microchip
cerebrale o ad altre diavolerie tecnologiche azionate da remoto, ma si deve
parlare di pura e semplice perdita del lume della ragione. Se non che, appena
accortosi del macello che aveva combinato, l’uomo si è dato alla fuga,
raggiunto però in breve dalla folla inferocita che non ha mancato di linciarlo
a forza di botte. Sopraggiunti i due figli adulti dell’uomo, questi hanno
provveduto a spiccargli la testa dal busto e, avendolo fatto a sangue freddo, a
differenza del padre che aveva agito sotto l’influsso della collera, a me fanno
ancora più paura, trattandosi oltre tutto dei figli stessi, e mi viene il
sospetto che il germe della follia, in quello specifico caso, fosse ereditabile.
Sul luogo dove l’uomo è stato decapitato, poi, si è debitamente provveduto a
sacrificare un omby, affinché il
sangue dell’animale sacro per eccellenza in Madagascar purificasse il terreno.
Anche lo zebù è stato decapitato.
Ho le prove!
Finalmente,
dopo anni che ne sento parlare, posso dire di avere le prove che un traffico di
ossa umane, in Madagascar, esiste, giacché ne ho visto un sacco gettato ai
piedi di un albero durante la passeggiata che io e Tina abbiamo fatto nella
vicina foresta di manghi domenica 31 agosto. Anche la mia testimonianza visiva,
come succede con gli avvistamenti ufologici, è già una prova del fatto che
questo preciso fenomeno è reale. Resta da capire chi è il mandante, cioè a cui
prodest, poiché continuo a rifiutare
la versione fornitami da mia moglie secondo la quale a comprare ossa di morto
sono i vazaha. Io propendo
piuttosto per gli stregoni, conosciuti con il nome di ombiasy. Tuttavia, che in Occidente vi sia richiesta di
parti del corpo umano è acclarato e le tre principali categorie di compratori
sono le industrie farmaceutiche, i ricchi anziani che abbisognano di organi per
i trapianti e quei degenerati che fanno “snuff movie” e sacrifici umani. Di quest’ultima categoria di
criminali si sa poco, ma sappiamo che esiste perché ne vediamo gli effetti e
ogni tanto se ne parla in cronaca nera. Riguardo al traffico di organi per i
trapianti, anche questo criminale, si parla di bambini rapiti in Sudamerica e
in altre parti del mondo, non escluso il Madagascar, mentre con le industrie
farmaceutiche già ci muoviamo nell’ambito della legalità.
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