Il
signor Morabe è un quarantenne Tanalana che abita a Besely Nord e, come tutti i
martedì, se ne andava a spasso per il mercato settimanale con il suo lefo, la sua lancia tradizionale, come del resto fanno
tutti i Tanalana da quelle parti. Senonché, quella mattina di un martedì
dell’aprile scorso, c’erano tre personaggi che non sempre si fanno vedere al
mercato. Erano armati di fucili, che portavano a tracolla e che fanno parte
della normale dotazione della polizia rurale di Itampolo. Siccome c’è un
provvedimento governativo volto a limitare gli omicidi della brousse, dovuti alle troppe armi bianche in circolazione,
uno dei tre poliziotti intimò a Morabe di consegnargli la lancia, mentre gli
altri due, forse meno masiaka,
cattivo, del loro collega, stavano a guardare. Ovviamente, Morabe si rifiutò di
consegnare il suo amato lefo e
per tutta risposta Manandaza, il poliziotto masiaka, di etnia Masikoro, lo colpì su un braccio con il calcio del fucile.
Morabe gli restituì il favore con un pugno sul mento, abbastanza doloroso se si
considera che Morabe portava al dito anulare un grosso anello di metallo.
Manandaza cadde a terra con un gemito e i suoi due colleghi agguantarono Morabe
e gli misero le manette ai polsi.
domenica 31 agosto 2014
Paga il giusto per il peccatore
Martedì
26 agosto, poco dopo le 23.00, un aereo Air France proveniente da Parigi si
trovava già a 400 metri d’altitudine in fase di atterraggio sul cielo di
Antananarivo. La pista dell’aeroporto di Ivato, però, era invasa dai dipendenti
di Air Madagascar in sciopero e agli operatori della torre di controllo non
restò altro da fare che negare il permesso di atterraggio. Il pilota del Boeing
si alzò di quota e puntò su Saint Denise, nell’isola di Reunion, che è di
proprietà francese. Sconcerto a bordo fra i passeggeri che hanno dovuto
sobbarcarsi altre due ore di volo, con i loro programmi scombussolati. Air
France naturalmente ha pagato loro l’albergo, come di prammatica in questi
casi. I dipendenti di Air Madagascar avevano invaso la pista per protestare
proprio con la compagnia di bandiera francese, che non vuole più permettere i
voli di Air Madagascar tra la Grande Isola e l’aeroporto Charles De Gaulle. Si
tratta di una questione di concorrenza perché Air Madagascar fa prezzi più
bassi rispetto ad Air France, che vuole il monopolio dei collegamenti.
sabato 30 agosto 2014
Lasciate che i bibi vengano a me
Lasciate
che i bibi vengano a me fa il
verso alla più famosa frase evangelica che ultimamente si usa spesso, con una
emme al centro, in riferimento ai preti pedofili. In realtà, bibi in malgascio significa animale e Tina è già qualche
anno che mi chiama “bibi professeur”.
E infatti, la molla che mi spinse nell’estate del 2006 a decidere di fare una
capatina in Madagascar, dove ero già stato una prima volta nel 2003, prima di
affrontare l’Africa vera e propria, furono gli animali, che studio e ammiro fin
da bambino. Tuttavia, stante i condizionamenti mentali della mia guida, che
riesce ad aver paura anche quando non serve e che mi contagia con le sue paranoie,
in questo mio decimo viaggio in Madagascar non sono andato molto alla ricerca
di animali e Tina non si sbatte più di tanto per accondiscendere ai miei
desideri. La foresta di manghi che abbiamo vicino casa, per esempio, a suo dire
è frequentata dai malaso anche di
giorno. Figuriamoci di notte. Se dunque posso dire addio ai lemuri notturni
come il microcebo murino o al fossa che lemure non è, posso almeno sperare di
vedere e magari anche fotografare animali diurni, se non altro quelli che
incontriamo durante le passeggiate su percorsi a suo dire sicuri. E’ stato così
che abbiamo trovato un grosso granchio sulla spiaggia di Itampolo, che cercava
di difendersi dal ragazzino aguzzino di turno, che lo voleva trafiggere con un
bastone.
venerdì 29 agosto 2014
Due cuori e una lakana
Melania
e Andrea potrebbero andare a Mangily via mare con la loro lakana, ma finché non impareranno a manovrare bene
quell’imbarcazione a bilanciere tipica delle coste del Madagascar, avranno
bisogno di almeno due piroghieri che ve li portino. Così, quando si sentono in
forze e hanno bisogno di frutta e verdura preferiscono fare 8 Km a piedi sulla
spiaggia, da Beravy, piuttosto che 17 con taxi brousse fino a Tulear. Il motivo è che per andare in città
devono aspettare davanti casa che passi qualche mezzo pubblico, pick up o camion brousse che sia, mentre per ritornare a Beravy devono
affrontare le forche caudine della gare routiere di Tsokobory, dove i panera, i procacciatori di passeggeri, si contendono i
viaggiatori che arrivano in taxi o con il ciclo pousse con una certa rudezza, accaparrandosi i bagagli e
arrivando a tirare letteralmente le persone in arrivo ognuno verso il proprio taxi
brousse, il quale non parte finché
non è completo, ovvero finché l’autista non decide che è sovraffollato al punto
giusto.
Il vazaha medio
E’
stato proprio lì, presso il chiosco di Madame Mboho, che nel dicembre scorso
scambiai qualche parola con un italiano sceso dal fuoristrada per comprare
qualcosa, venendo a sapere che era ligure ed era venuto in Madagascar con un
amico per praticare la pesca subacquea. Le bombole, le pinne, le maschere e i
fucili da pesca che spuntavano dalla vettura avvalorarono le sue parole. Quando
se ne andò, gli dissi sorridendo: “Non posso augurarvi buona pesca, ma posso
augurarvi buon viaggio”. E’ stato sempre lì che ho conosciuto Pierre, il
francese che insieme alla sua guida mi chiese dove potesse comprare della carne
ed io, benché animalista, lo condussi al mercato dove abitualmente c’è il banco
del macellaio. Poi ritornai indietro e dopo un po’ vidi tornare anche lui
davanti al chiosco di Madame Mboho, insieme alla guida che reggeva per le zampe
una gallina. Se prima ero stato ben disposto nei suoi confronti, poi non devo
aver avuto un’espressione molto amichevole, considerato che permetteva al suo
accompagnatore di maltrattare quel povero pollo come fanno abitualmente tutti i
malgasci. Qui lo vediamo con me in una foto ricordo scattata da Tina il 21
agosto scorso.
giovedì 28 agosto 2014
Il festival delle donne senza mutande
Ogni giorno, stando in Madagascar, se ne impara una nuova. La mia informatrice
privilegiata, mentre eravamo ospiti di suo nonno Fanolihany, mi ha raccontato
che venerdì 22 agosto, presso Marolinta, ci sarebbe stata la festa annuale di
Hasomanga (l’albero dei manghi) e infatti, già martedì sera erano arrivati
alcuni suoi parenti Tanalana da Koritsiky, portando con sé uno zebù da
sacrificare. Lungo la strada tra Besely Nord e Itampolo, il giorno dopo, tutte le
persone che ho incrociato andavano a Marolinta, per partecipare proprio a
quella cruenta festa di sangue, per loro del tutto normale, del resto. Tina mi
aveva detto che in questa annuale occasione si uccidono anche 80 zebù, ma il
giorno dopo abbiamo saputo che gli omby uccisi sono stati “solo” 33. Evidentemente, anche qui si deve
constatare l’arrivo della crisi economica mondiale. La cosa che però, nella
tragedia, mi ha fatto ridere è che il capo del distretto, un settantenne di
nome Efandierany, vale a dire il capo dei capi villaggio, ha stabilito per
quest’anno che le donne vengano alla festa senza mutande e reggiseno. Le code
degli zebù, come consuetudine, vanno tutte a lui, saranno messe ad essiccare al
sole e costituiranno ottimi spuntini per i mesi a venire. Essere capo distretto
ha i suoi vantaggi. Ma ha anche i suoi svantaggi, come vedremo fra poco.
mercoledì 27 agosto 2014
E’ successo ancora!
Quando Tina me lo indicò, mentre, con un gomito appoggiato al bancone del bar
sorseggiava un Pastis parlando con un altro francese, a me sembrò molto più
vecchio dei suoi 58 anni. Tina abbassò la voce dicendomi che si chiamava Benno
e nella vita aveva fatto il mercenario, vuoi perché si rendeva conto di parlare
di una persona a pochi metri da noi, e che avrebbe potuto capire e non gradire
di essere oggetto delle nostre attenzioni, vuoi perché i vazaha che uccidono per mestiere suscitano un certo
rispetto nei malgasci, che di solito uccidono quando sono ubriachi e per motivi
venali. Fatto sta che anche per me la figura del mercenario, di quelli alla
“Beau Geste", per intenderci, richiama alla mente la Legione Straniera e,
necessariamente, una vita avventurosa e spericolata. Benno, a cui mi piace
attribuire il nome di Jacques, non so perché, non è morto colpito da pallottola
o da un colpo di macete, ma annegato nel mare di Anakao il 26 luglio 2011.
Ovvero due anni dopo che l’avevo visto io nel bar del Sud Sud.
Fuga da Alikatraz
Se fossi un cane, come mia moglie ne è convinta, cercherei di scappare dal
Madagascar, ma ovunque scappassi alla fine incontrerei il mare. E allora, in
questa immensa prigione a cielo aperto che è la Grande Isola, piccolo cortile
del più vasto pianeta Terra, non ci resta altro, a noi cani a due e a quattro
gambe, che tirare alla fine della giornata cercando di farci fare meno male
possibile dai Kapò aguzzini che si credono padroni. I quali, basta che gli
metti un famaki ben affilato in
mano, un’accetta da boscaiolo, e si credono dei padreterni. Martedì pomeriggio,
mentre maturavo la consapevolezza che non sarei riuscito a collegarmi a
internet per spurgare terapeuticamente le mie frustrazioni di straniero in
terra straniera, sono arrivati i parenti da Koritsiky, tra cui la madre
naturale di Tina. Tutti Tanalana. E c’era un elemento in più di fronte alla
casa di Fanolihany: un omby
legato a un albero di samata.
Tina mi ha detto che ogni villaggio ne porta il più possibile per macellarli
durante la festa di venerdì 22 agosto, chiamata Hasomanga, che si tiene ogni
anno presso Marolinta. I Tanalana di Koritsiky, il loro, lo avevano legato
proprio davanti ai miei occhi. Così, aspettando di sentire i suoi muggiti tutta
la notte, notte insonne e amara, ho cercato di spiegare a Tina la differenza
tra dolore fisico e dolore morale e, inaspettatamente, Tina l’ha capita. A poco
mi serviva pensare che lui, lo zebù da sacrificare alla ferocia umana, non
fosse consapevole di ciò che lo aspettava di lì a due giorni. Io lo sapevo e
soffrivo nel vederlo così placido a masticare le ramaglie che gli avevano messo
a disposizione. Non potevo fare a meno di pensare al freddo acciaio che avrebbe
posto fine alla sua vita di prigioniero della Grande Prigione.
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martedì 26 agosto 2014
L’ultima Crociata
Francesco
Spizzirri, più di me innamorato del Madagascar, fino al punto di averlo
incrementato demograficamente con una bellissima bambina di nome Nathalia, mi ha
mandato un articolo di Giampaolo Pansa che, riferendosi alle parole del Papa,
sostiene che è iniziata la terza guerra mondiale, esprimendo nel contempo
l’esigenza di chiudere subito l’operazione “Mare nostrum”, perché, come disse
il vescovo di Mosul, noi italiani non sappiamo chi si nasconde in mezzo ai migranti.
Mi ero ripromesso di non pubblicare altro che notizie e sensazioni del
Madagascar, fintanto che mi fermo nella Grande Isola questi tre mesi estivi, ma
l’articolo del noto scrittore giornalista mi ha fatto riemergere la vena
complottista che avevo sotterrato e mi spinge a fare alcune considerazioni.
Boscaglia batte tecnologia tre a zero
Sono
partito da Tulear con la speranza che a Besely Nord ci fosse campo per la mia
chiavetta prepagata Orange, poiché Tina mi aveva detto che i cellulari in certi
punti funzionano. Sono partito con la speranza che la nonna di Odillon e Sammy,
che a Besely Nord offre servizio di telefonia pubblica, mi permettesse di
alimentare il computer, visto che la batteria si sarebbe esaurita subito, ma ho
dovuto constatare che avevo lasciato a casa l’adattatore e la nonna di Odillon
aveva solo le prese di tipo francese, mentre il mio Apple è alimentato con una
presa tedesca. Dunque, un primo rimprovero lo devo rivolgere a me stesso e alla
mia mancanza di previdenza. Ma le cose sono più complicate di così e i miei
tentativi di trovare un adattatore sono andati a vuoto. Non solo in tutto il
villaggio che, non dimentichiamolo, è privo di corrente elettrica, d’acqua e
fognature, ma anche al mercato del giorno dopo, martedì 19 agosto, di
adattatori sulle bancarelle nemmeno l’ombra. C’erano torce elettriche, batterie
di diverse misure, candele e fiammiferi, ma di materiale elettrico neanche
l’ombra.
La consegna dei doni
C’è
più felicità nel dare che nel ricevere, disse Gesù. Come consuetudine, quando
siamo ospiti del nonno di Tina, portiamo doni. Ma Fanolihany, a differenza di
Cesare (Timeo Danaos ut dona ferentes), non sospetta alcun inganno da parte
mia, il vazaha. Anzi, anche
stavolta è stato ben felice di ricevere quattro pacchi di tabacco da masticare,
un sacco di riso da 50 Kg, un paio di pantaloni corti e una maglietta, oltre al
rhum e alla birra che abbiamo comprato sul posto.
La vita è un viaggio in camion brousse
Quando
si viaggia in camion-brousse si
parte col buio e si arriva col buio. Metaforicamente: il buio prima della
nascita e quello dopo morti. Durante il viaggio si può essere in compagnia di
bambini, adulti e animali, per qualche tempo, oppure, come nel caso di me e
Tina, si può essere privilegiati, avendo molti soldi, e viaggiare avanti, come
fanno di norma tutti i vazaha.
Ciò significa che, a differenza dei rattrappiti passeggeri di seconda classe,
noi di prima possiamo allungare le gambe, stando dietro il conducente, sempre
che il suo vice non si prenda quasi tutto il posto, perché deve essere riposato
in caso di necessità. In caso di malore del guidatore titolare. Dunque, anche i
privilegi vanno rapportati in relazione al contesto, che è e resta quello del
Terzo Mondo, con sporcizia e materassi che non hanno mai conosciuto il sapone
in vita loro. Il lavoro del camionista è notoriamente un lavoro da uomini, che
rifuggono dalle pulizie approfondite, pure da quelle grossolane, e io devo
ancora incontrare un camionista che abbia le tendine al posto delle foto di
donnine poco vestite. Non è, questo, il caso dei malgasci, famosi per la loro
pudicizia unita alla non conoscenza del concetto di privacy.
sabato 16 agosto 2014
Piccoli passi nella direzione giusta
Domani
parto per la brousse, quella
vera, dove la gente non ha corrente elettrica e sulle piste sabbiose passano
solo camion-brousse e rari
fuoristrada. Dove la gente, quando c’è carestia e non si trova manioca, mangia
cavallette per lunghi periodi. Dove le persone, in caso di omicidio, si mettono
d’accordo tra la famiglia dell’ucciso e quella dell’omicida, senza interpellare
la polizia, ma stabilendo un adeguato
numero di zebù come risarcimento. Già l’anno scorso, al mercato di
Besely Nord del martedì, avevo visto in vendita un pannellino fotovoltaico
tascabile, che mi aveva tentato come oggetto esotico. Lì, chi può permettersi
di comprarlo, lo usa per ricaricare i cellulari. Orange, come detto, arriva
ormai dappertutto, ma anche Telma si sta dando da fare collocando i propri
ripetitori fuori città. Quest’anno torno nelle stesse zone, dove Tina è nata e
ha la maggiore concentrazione di parenti, tra cui il nonno che ci ospiterà per
la terza volta, la prima nel 2009. Volendo saperne di più sui pannelli
fotovoltaici, siamo andati di fronte alla Bank of Africa di Tulear, sulla via
che porta al mercato di Sakamaha. Sulle bancarelle di materiale elettrico fanno
bella mostra di sé pannelli di diverse misure, di quelli adatti solo per i
cellulari, con spinotti di differenti qualità chiamati “rasta” perché
somigliano a una treccia, a quelli più grandi che permettono un’illuminazione
notturna come se si fosse collegati alla centrale elettrica.
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Specismo tropicale
Sul
quotidiano “La Nation” di martedì 12 agosto 2014 c’è un articolo in prima
pagina che parla di un massacro di tartarughe ma che s’intitola: ”Eccesso di
zelo delle forze dell’ordine”, con un occhiello che ribadisce: “Non deve essere
usata la forza che per fini legittimi”. Il punto focale non è quindi
l’uccisione di 5.000 tartarughe da parte di 43 bracconieri colti in flagranza
di reato, ma il modo con cui sono stati trattati una volta bloccati. L’articolo
non è firmato, dunque non posso citare l’ennesimo giornalista specista che pone
l’uomo antropocentricamente al centro dell’universo quando si tratta di ladri
di tartarughe e pone sempre l’uomo al centro dell’universo quando si tratta di
ladri di zebù, solo che stavolta, trattandosi di bestiame di proprietà di
qualche essere umano, le vittime sono i derubati, mentre con le tartarughe, che
non sono animali tradizionalmente sottoposti ad allevamento, le vittime
diventano necessariamente i ladri stessi, cioè i bracconieri, che, poverini, sono
stati, a detta del giornalista specista, un po’ troppo strapazzati. Potenza
dell’antropocentrismo!
venerdì 15 agosto 2014
Morire di tetano
Non
ci crederete perché la notizia è semplicemente pazzesca! La bambina che il 22 luglio scorso incontrammo sulla strada, piangente perché morsa da un cane, proprio davanti al portone, mentre io,
Tina e Sandra uscivamo dopo aver fatto le pulizie nella casa di
Ambolanahomby, è morta ieri giovedì 14 agosto, all’una di pomeriggio. In un
primo momento ho pensato alla rabbia, di cui si verificano rari casi anche in
Madagascar, ma essendosi trattato di un’incubazione di sole tre settimane,
propendo per il tetano. Con la parola romotsy i malgasci indicano i cani randagi malati e io la
traduco come “rogna”. Però la rogna non uccide, mentre il tetano sì e il
tetano, in base alle mie scarse conoscenze mediche, è connesso con lo sterco di
cavallo e mucca, unitamente ai ferri arrugginiti. Qui cavalli non ce ne sono,
mucche, cioè zebù, sì, ma non nel nostro quartiere. Ferri arrugginiti a josa.
Non rimane che sospettare dei denti poco puliti del cane morsicatore che,
ahimé, è stato ucciso dopo due giorni e io non voglio sapere neanche come.
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Come è andata realmente
Testo
e foto di Melania Conte
[N.d.R.
Prima di affrontare la lettura del seguente resoconto, è necessario leggere
QUESTO]
Non
mi è mai piaciuto fare polemica [dal greco polemos= guerra] ma dare risposte
congrue e corrispondenti al vero, sì, mi piace tanto quanto la vita che stiamo
conducendo qui in Madagascar, esattamente nella brousse, a Beravy, io ed il mio compagno [da qualcuno
definito ‘moroso’, termine tipicamente dialettale, precisamente veneto e poco
italiano]. Risposte a chi? A chi scrive illazioni utilizzando il mezzo di
comunicazione attualmente più potente, internet. Non si combatte con armi
impari, sarebbe un atto di vigliaccheria e meschinità, dunque userò la stessa
‘arma’, lo stesso mezzo, cioè internet. E non mi limiterò a scrivere e a
mettere in rete parole non corrispondenti alla verità, no.
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giovedì 14 agosto 2014
Piccole conquiste quotidiane
Fino
all’ultimo momento ci chiedevamo se saremmo dovuti ricorrere nuovamente, per
l’ennesima volta, alla polizia, denunciando il falegname disonesto, ma
soprattutto ci chiedevamo se la ricevuta in nostro possesso sarebbe stata
sufficiente a incriminarlo e se le tangenti che in questi casi si pagano alla
corrotta polizia non sarebbero state per caso superiori ai 40.000 ariary che
avevamo già sborsato. E invece, alle undici del mattino di mercoledì 13 agosto,
i due garzoni del falegname si presentano con le quattro colonnine di
palissandro e le quattro assicelle di sostegno della zanzariera. Avevano anche
il trapano e un martello. Mancavano però delle viti e Tina ha dovuto
finanziarli per mandare uno di essi a comprarle. Nel frattempo, l’altro
garzone, di etnia Merina, si è fermato a chiacchierare, mentre Tina preparava
il pranzo. E’ consuetudine, infatti, che agli operai intenti a fare
qualche lavoro in casa o nel cortile si offra anche il desinare. Cosa che con
questi due bravi giovani ho fatto senza obiezioni. E’ stata una vera sorpresa
scoprire che le colonnine erano state fatte al tornio e avevano sicuramente
richiesto molte ore di lavoro. Noi eravamo grati al falegname di essersi
comportato onestamente, cioè di aver fatto il lavoro da noi richiesto e in più
il risultato è stato esteticamente gradevole. Il colore del legno usato è
uguale a quello del letto e ora non solo la camera, ma l’intera casa si è
impreziosita di un elemento indispensabile ai tropici: la zanzariera.
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Profumo o puzza purché funzioni
Con
qualsiasi altro nome, non avrebbe comunque il suo profumo; allo stesso modo,
una nuova specie di Amorphophallus, il genere che include il "fiore
cadavere", puzza anch'essa di carne in decomposizione e feci. Scoperta su un'isola al largo della costa del
Madagascar, la pianta cresce fino a 1,5 metri di altezza e fiorisce una volta
all'anno, emanando un odore "davvero disgustoso", dice lo scopritore
Greg Wahlert, botanico presso la University of Utah.
Bohs Lynn, un professore di biologia dello
stesso laboratorio di Wahlert, ha descritto l'odore come una combinazione di
"animale investito in putrefazione" e un "vaso da notte".
Il nuovo fiore si aggiunge alle circa 170 specie del genere Amorphophallus, che
in greco significa "pene deforme" data la forma fallica dei fiori
delle piante.
Wahlert ha scoperto la nuova specie chiamata A.
perrieri in piena fioritura, mentre raccoglieva violette in due remote isole a
nord-ovest del Madagascar nel 2006 e 2007. Pensando che la pianta potesse
rappresentare una nuova specie, ha prelevato dei campioni per coltivarli. Dopo
aver consultato un esperto di Amorphophallus nei Paesi Bassi, ha avuto conferma
che A. perrieri è una specie non descritta in precedenza.
I miei tabù
Stiamo
per partire per Itampolo con il camion-brousse. Tempo di percorrenza previsto: 15 ore. Ci siamo
chiesti dove pernottare, poiché abbiamo tre possibilità. La prima, la più
comoda, al Sud Sud di Itampolo, con birra ghiacciata, bungalow privato che si
affaccia sul mare, a 20 euro a notte. Un furto! La seconda, a Besely Nord, da
suo nonno Fanolihany, che si può vedere nella prossima foto, che ci mette a disposizione il letto matrimoniale e dove
siamo già stati due volte, l’ultima nel dicembre scorso ed è gratis. La terza,
a Koritsiky, dalla madre naturale di Tina, madame Zenizy, dove non sono mai
stato, in cui però non c’è da dormire e ci toccherebbe portarci dietro
materasso di gommapiuma e tenda. In entrambe le ultime due opzioni, non ci sono
latrine, ma solo comodi, accoglienti fichi d’India a fare da riparo, fuori dai
villaggi, dove espellere i propri cataboliti solidi (per quelli liquidi basta
allontanarsi di qualche metro dalle capanne). A Besely Nord non ci sono prese
elettriche, mentre a Koritsiky c’è un professore che ha il fotovoltaico e che
sarebbe una manna dal cielo per il mio computer, volendo tenere aggiornato il
blog, e ne potrei approfittare ovviamente a pagamento.
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mercoledì 13 agosto 2014
I due Mustafà
Era
una normale sera, trafficata come tutte le altre, con in più l’eccitazione dei
preparativi per gli imminenti festeggiamenti di fine anno. I due amici,
entrambi di nome Mustafà, viaggiavano sulla stessa moto sulla Rue de Andaboly,
ma qualcuno, che invece veniva dalla Rue de Jirama, aveva deciso di anticipare
le feste e guidava un pulmino Mazda a forte velocità e in stato d’ebbrezza.
Negli incroci non si sa mai, neanche di giorno, chi deve dare la precedenza a
chi, figuriamoci la sera col buio. L’impatto, all’incrocio, fu violento. Il
primo Mustafà, quello più anziano di 37 anni, morì sul colpo e fu scaraventato
sul marciapiede. Il secondo, di 24 anni, sopravvisse e rimase ad agonizzare in
mezzo alla strada, vicino alla moto. Il conducente ubriaco smise di colpo di
essere tale, realizzò di aver commesso un bel guaio e si diresse al più vicino
commissariato per costituirsi. Scelse lucidamente il male minore, perché in
Madagascar non ci vuole niente perché la gente s’inferocisca e cominci a menare
mani e piedi sul malcapitato. E la gente, nonostante fossero le nove di sera,
stava cominciando ad accorrere.
Autentici figli di p.
Sto
leggendo “La vita autentica”, di Vito Mancuso, prestatomi dall’amico Aimone. E’ uno di quei libri che ti aprono gli occhi, nel senso che ti
fanno vedere le cose sotto un’altra angolazione. Leggendolo, non ci si può
astenere dal chiedersi se i nostri rapporti col prossimo, oltre alla nostra
stessa esistenza, sono veri o basati su qualche subdola finzione. Per esempio,
il nostro matrimonio, le nostre amicizie sono autentiche o fittizie? Le azioni
nostre o altrui in che grado sono autentiche? L’avvelenamento di Rocky, mamma
di cinque cuccioli nel quartiere di Ambolanahomby, per scendere nel reale,
secondo me è stato il gesto autentico di un autentico barbaro, inserito in un
contesto di barbarie che non ha soluzione di continuità con gli omicidi, le
risse, i linciaggi, le truffe, i disservizi, il menefreghismo e la lotta di
tutti contro tutti, che si sperimenta una volta messo piede in Madagascar.
Rocky, il cui nome le era stato dato da bambini che non hanno mai visto gli
omonimi film con Silvester Stallone, aveva l’unico torto d’essere nata nel
posto sbagliato, circondata da esseri umani (!) che non conoscono l’enorme
potenziale animico insito negli animali, in primis quelli sinantropi come i cani. Rocky è nata e ha
trascorso la sua breve vita in mezzo a molti, troppi autentici figli di p. dove
per “p.” s’intende predatori.
martedì 12 agosto 2014
Pasticcio all’italiana
Qui
non accadrà mai che l’allievo superi il maestro, giacché i malgasci, in fatto
di furbizie e truffe, sono insuperabili. Però è anche vero che chi va con lo
zoppo impara a zoppicare e un italiano residente in Madagascar ha venduto del
terreno a Beravy, sulla strada che collega Tulear a Mangily, a una coppia di
nostri connazionali attraverso internet, facendo credere loro cose non vere,
per esempio che sul terreno affacciato alla spiaggia c’era un ristorantino ben
avviato. La coppia di italiani si è fidata, anche perché il restante 50 % del
terreno sarebbe stato comprato da un loro amico, fidanzato della figlia del
venditore e quindi questo è bastato come garanzia di serietà. Di fatto, senza
averlo mai visto, Gigi e Aurora dall’Italia mandarono al venditore 10.000 euro,
fidandosi delle sue parole. Quando poi vennero in Madagascar a vedere con i
propri occhi il loro acquisto, si accorsero che il “ristorantino” consisteva in
una tettoia, un container come magazzino e una struttura in muratura alquanto
fatiscente.
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Vendesi foresta
Domenica 10 agosto eravamo nella foresta alle spalle di Mangily. Vi sono stato
già diverse volte, negli anni scorsi, da solo o con Tina. La prima volta,
trovata una tartaruga, mi aveva detto che per la loro etnia è fady, tabù e che non solo non le mangiano, ma evitano
anche di toccarle. Così, per insegnarle la differenza tra realtà e
superstizione, le ho chiesto di toccarla, per farle vedere che, una volta
toccata, le dita delle mani non le sarebbero cadute. Lo fece di malavoglia e infatti,
come avevo previsto, le dita non le sono cadute. A seconda della stagione,
nella foresta spinosa di Mangily trovavo coleotteri, sauri come il razamboa e il sondro, nonché il boa del Madagascar; uccelli di terra e d’aria, come,
rispettivamente, le akanga (faraone) e il cuculo dallo sperone. Di mammiferi
c’è il vontira, in italiano
microcebo murino, ma è impossibile vederlo di giorno. Pesci e anfibi niente,
visto l’ambiente arido e spinoso. Dunque, vi trovavo principalmente rettili
come i camaleonti e le dangalie,
simili a lucertole e tantissimi insetti. La vegetazione è costituita da fichi
d’India, Sono che viene usato per
le recinzioni, baobab ed euforbie varie, oltre ad alcune specie di agavi tra
cui l’aloe vera, chiamata vaho,
usatissima nella farmacopea malgascia e mondiale.
lunedì 11 agosto 2014
Gay previdenti
Tina
me l’aveva presentato/a qualche anno fa, quando bazzicava il Bo Beach e gli
altri ristoranti e alberghi per vazaha, in cerca di clienti. Si fa chiamare Patricia ed è di etnia Antandroy.
Per fargli questa foto, di quando era un ragazzotto gaio e intraprendente,
voleva 2.000 ariary, mentre tutti gli altri mendicanti, conducenti di pousse
pousse o persone normali dai volti
interessanti, si accontentavano, come mancia, di 200 ariary. Alla fine,
concordammo per un pacchetto di sigarette. Sabato scorso l’abbiamo incontrato/a
a Mangily, scoprendo che ha aperto un’attività gastronomica. Evidentemente, sta
mettendo a frutto i risparmi accumulati in anni di prestazioni sessuali
particolari. A Mangily c’è anche un altro ragazzo gaio, ancora più travestito
di Patricia, perché va in giro con un pareo, alla maniera delle donne: si
chiama Fifa, come la federazione del calcio mondiale, ed è di etnia Tanalana.
Anche Fifa gestisce un baretto.
domenica 10 agosto 2014
Alla salute degl’invidiosi
Sono
stato tre volte in Sudafrica, al seguito di una miliardaria sudafricana di
lingua inglese che era diventata tale grazie al fatto che suo nonno si era
arricchito con il vino e perciò avevo già sentito parlare del vino di Namaqualand.
Forse è proprio con quella qualità di vino che suo nonno aveva fatto i soldi.
Quindi, venuto a sapere che presso il ristorante Lakana Sucre, la piroga
zuccherata, servivano quel tipo di vino d’importazione, ne ho ordinato un
calice. Tempo addietro avevo già provato il vino malgascio, prodotto sugli
altipiani di Fianarantsoa, ma in tutta sincerità mi era sembrato di bere aceto.
Il Namaqua invece, se posso improvvisarmi intenditore di vini, ha un sapore
corposo, robusto, avvolgente, dal retrogusto di diamanti e miniere d’oro e fa
venire in mente la regina di Saba. L’ho centellinato lentamente, anche se da
birrofilo non posso dire di esserne rimasto del tutto soddisfatto.
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Quando inferno e paradiso entrano in cortocircuito
Presso Chez Alban, che ora si chiama Maroloko, letteralmente “molti colori”,
non siamo andati perché non si sa mai che la padrona voglia rivangare il
passato, di quando in particolare, una notte, le ho liberato un pollo sultano
che aveva comprato come giocattolo per il figlio, e che ho portato in una
macchia di vegetazione poco distante. Tina dice che sia la padrona malgascia
che il custode dell’epoca sanno che sono stato io, quello strano vazaha italiano che oltre a non mangiare aragoste va di
notte a liberare uccelli legati alle zampe con cordicelle. Tina dice che la
cosa li ha sempre fatti ridere piuttosto che adirare. Meglio così.
L’infamia della circoncisione
So
che alla fine di questo mese Sammy e suo fratello Odillon saranno sottoposti al
tradizionale taglio del prepuzio, altrimenti detto circoncisione. Ma so anche
che Odillon, che contrariamente a quanto detto in precedenza non ha cinque anni
ma sei, o forse anche sette, alla nonna che lo metteva al corrente della cosa
non ha risposto con un netto rifiuto, mentre Sammy, di soli tre anni, ha detto:
“Tsy mety”, non è possibile. Di
fatto, come ai cani una volta si tagliavano orecchie e coda (e in Madagascar lo
si fa ancora) così ai bambini di una grossa fetta di umanità si taglia il
prepuzio, operazione non esclusiva degli ebrei, quindi. Non c’è una data
precisa per tale operazione e infatti a Beanjara, che vediamo in foto, anche lui
di soli tre anni, gliel’hanno fatta sabato 9 agosto. Il padre, Refily, di etnia
Masikoro, che domenica sarà nostra guida nella foresta, non aveva spiegato
niente a suo figlio, che quando si è trovato nel dispensario di Mangily, sotto
le mani del dokotera, il dottore,
si è lasciato andare a un pianto disperato, tomany be, in malgascio. Prima il medico gli ha fatto
un’anestesia direttamente sul pisellino e poi è passato all’uso delle forbici,
badando a non tagliare più del necessario. In certi paesi africani, se
l’incaricato alla circoncisione dovesse sbagliare amputando il piccolo glande,
viene messo a morte. Per lo meno, è quello che ho sentito dire tempo fa. Si
tratta quindi di un lavoro di alta responsabilità.
sabato 9 agosto 2014
Alcol e spinelli, binomio pericoloso
Anni
fa Tina mi raccontò che un uomo si era accoppiato con un maiale. La sua
famiglia, venuta a conoscenza dell’atto di bestialità, uccise il maiale e
redarguì l’uomo. Ironicamente, chiesi a Tina perché non avevano fatto il
contrario, cioè perché non avevano ucciso l’uomo e redarguito il maiale, che
fra l’altro, dei due, era la vittima. Tina non capì il senso della mia domanda.
Ieri, 8 agosto, passeggiando la sera per la via principale di Mangily, Tina ha
incontrato un suo vecchio compagno di scuola, più anziano di lei di qualche
anno. Si chiama Luricke Razaiary Zandry e fino a poco tempo fa era una ragazzo
normale che faceva il cameriere in un ristorante nella zona. Ivi aveva
conosciuto una ragazza francese con cui aveva deciso di comprare addirittura
del terreno su cui costruire il loro nido d’amore. Poi la ragazza andò in
Francia, ma quando ritornò a Mangily non riconobbe più il suo fidanzato
malgascio.
Briganti in divisa
Abbiamo
già accennato, sia io che Francesco Spizzirri, ai vistosi cambiamenti a cui è
andato incontro il Madagascar in questi ultimi anni, soprattutto riguardo ai
mezzi di trasporto. Aimone Del Ponte, inoltre, mi ha fatto notare anche che ci
sono pochissimi taxi e auto private in circolazione, a causa della benzina che
è arrivata a costare più di tremila ariary, cioè un euro al litro. C’è molto
meno caos di un tempo, in città. Le auto che circolano sono per lo più grossi
fuoristrada di gente ricca, di funzionari corrotti o dei cosiddetti aiuti
umanitari. Arrivando a Mangily, dopo un’assenza di quattro anni, ho notato che
i chioschi sono aumentati di numero e sono molto più forniti di merce. Anche i
bungalow sulla spiaggia sono stati rimodernati, imbiancati e ampliati, di modo
che Chez Alex, Chez Alban, Chez Daniel e Leontine, oltre all’intramontabile
Aubergine, hanno cambiato il loro look, impreziosendosi di giardini
lussureggianti e ovviamente aumentando i prezzi. Arrivato alla gare routiere da cui partono i mezzi pubblici per Ifaty Mangily,
mi aspettavo di prendere i pick-up brousse che per anni hanno attraversato il fiume Fiharena per affrontare la
pista sabbiosa in direzione sud, ma al loro posto sono subentrati dei vecchi
Tata di seconda mano che il governo indiano deve aver venduto al Madagascar per
poco o niente. I BRICS avanzano nel mondo e non c’è quindi solo la Cina ad aver
messo le mani sul Madagascar.
venerdì 8 agosto 2014
Il nostro guardiano
Avendo
deciso di partire per tre giorni di vacanza a Mangily e non potendo lasciare
incustodita la casa, anche se dotata di inferriate alle finestre, sita nel
quartiere di Ambolanahomby in cui pullulano i ladri di polli, Tina ha cercato
un guardiano. E l’ha trovato in Nary Soavinera, un 43enne delle sua etnia che
normalmente fa lo scaricatore di sacchi. La crisi economica mondiale scatenata
da una combriccola di potentissimi criminali ha colpito anche lui, giacché, che
si tratti di scaricare balle di cotone o sacchi di riso da 50 Kg, Nary e gli
altri facchini suoi colleghi ultimamente passano molte giornate senza lavorare.
Se poi si pensa che, quando c’è da scaricare un camion, a fine giornata la loro
paga è di 1500 ariary (50 centesimi di euro) si è presi da un indicibile sdegno
per come degli esseri umani possano essere ridotti a livello di schiavi, ma
questa situazione ci fa almeno capire perché quando Tina gli ha offerto 25.000
ariary per farci da guardiano per due settimane (di ritorno da Mangily abbiamo
intenzione di andare a Itampolo), Nary è stato felicissimo di trasferirsi
giorno e notte nel cortile di casa nostra, dove ci sono due casette da
affittare. Lui si è sistemato in quella di lamiera. Si è portato dietro un
coltellaccio con una lama da 40 centimetri e una fionda, ma per il lavoro di
guardiano sono ammessi anche il famaky, la scure, e il lefo, la
lancia, che lui però non aveva.
giovedì 7 agosto 2014
La moglie del garzone
Si
sarà capito che i malgasci hanno un’indole litigiosa, forse perché la loro
alimentazione è a base di carne e sentono musica dalla mattina alla sera,
impedendo al cervello di svolgere altre funzioni, ma quello che è capitato
giovedì 7 agosto ha dell’inverosimile. E dell’inverecondo. Stavo facendo
tranquillamente la mia siesta pomeridiana, anche perché a causa del cagnetto disperato non avevo chiuso occhio tutta la notte, quando sento un vociare
di donne provenire dal cortile. Riconosco la voce alterata di Tina e mi accorgo
che il battibecco tra comari veniva proprio dal nostro cortile. Afferro al volo
la digitale che tengo sul comodino e, fatti pochi passi, mi trovo davanti un
giovane armato di una lunga pertica, ma con un’espressione confusa. Poi, pian
piano, realizzo che si trattava del garzone del falegname che era stato poco
prima a prendere le misure per la zanzariera.
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A caccia di vazaha
Non
è facile fotografare i poliziotti, perché come minimo, se se ne accorgono,
chiedono di far prendere luce al rullino o di cancellare la foto in caso di
apparecchio digitale. Oppure, se si è fortunati, di pagare un pedaggio. Indi
per cui, sto bene attento non solo a non puntargli contro la macchina
fotografica, ma a passare inosservato il più possibile, in virtù del
suggerimento dato da Nietzsche quando disse che se si comincia a guardare
l’Abisso, l’Abisso comincia a guardare te. E dunque, questo articolo non potrà
mostrare la faccia tosta del poliziotto che mi ha fermato ieri 6 agosto, mentre
io e Tina facevamo una passeggiata nella strada di Tulear dove si concentrano i
venditori di prodotti per ombiasy.
Qui, di tali prodotti, pubblico una sola foto, perché il tema della
stregoneria, che mi acchiappa assai, va trattato a parte con più di un
articolo. Tuttavia, la storia del mio incontro di ieri, con due poliziotti
dalla faccia burbera, sul marciapiede antistante un venditore di tale interessantissima
merce, vale la pena di essere raccontata, perché a fermarmi è stato lo stesso
str……ano poliziotto che mi aveva “arrestato” sei anni fa, mentre da Ankilibe mi
dirigevo verso la città.
Il mondo mi disapprova
Una
mia amica sentimentalmente coinvolta disapprova il fatto che io sia tornato da
mia moglie per tre mesi. Mia madre mi disapprova perché l’ho abbandonata. Mia
moglie disapprova la mia intenzione di far entrare in casa un cucciolo di cane.
Alcuni miei lettori disapprovano le mie passate frequentazioni delle makorele malgasce. Se c’è ancora qualcuno che ha qualcosa di
cui rimproverarmi, si metta in coda perché sono aperte le iscrizioni al club
dei disapprovatori del sottoscritto. Prima di analizzare punto per punto le
varie disapprovazioni riservatemi, vorrei puntualizzare puntualmente che non so
che farmene di tutte queste puntuali disapprovazioni, anche se non mi lasciano
del tutto privo di puntuti turbamenti, giacché sono abituato da anni a
convivere con la puntigliosa disapprovazione sociale dovuta alle mie imprese
animaliste illegali.
mercoledì 6 agosto 2014
La zanzariera
Anche
se siamo in inverno, l’inverno dei tropici, di notte vengono le zanzare. Tina
risolve la fastidiosa faccenda dormendo sotto una pesante coperta, ma io,
avendo un metabolismo diverso ed essendo abituato ad altri climi, non sopporto
nemmeno il lenzuolo, lasciando il mio corpo saporito a disposizione dei
sanguivori ditteri. La spirale detta zampirone diffonde un odore e un fumo poco
salutari e così mi sono deciso di ordinare una zanzariera. Non potendo fare i
buchi nel soffitto per sorreggerla, non resta altro che far venire un falegname
e metterne una su un’impalcatura a baldacchino. A tale scopo Tina è andata da
sola da un falegname di cui aveva sentito parlare, non molto lontano da
Ambolanahomby. L’uomo le ha detto che il costo sarebbe stato di 40.000 ariary
ma che non serviva venire a prendere le misure. A me ‘sta cosa è sembrata
strana. E infatti, dopo pochi giorni Tina è venuta a sapere che il vero
falegname ha chiuso l’attività un paio di mesi fa, trasferendosi in un altro
villaggio, e l’uomo con cui aveva parlato era suo fratello. Per quale ragione
costui le ha mentito? O non le ha detto le cose come stavano? Forse perché i
malgasci hanno una cognizione diversa delle parole, del loro significato e del
loro peso. Per noi vazaha questo è
semplicemente esasperante. Per fortuna l’uomo non ha chiesto un anticipo, sennò
si sarebbe trattato dell’ennesima truffa.
Il Jombilo
Sapevo
fin dal 2006 che tutte le makorele
hanno il jombilo, di modo che se
al cliente vendono il corpo, al jombilo, detto in francese petit cherì, regalano il cuore. Marcello, amico di Francesco, già nel 2006
mi spiegava infatti che sono le makorele a scegliersi il jombilo e
non viceversa. Né tanto meno costui svolge il ruolo di schiavista nei loro
confronti, come avviene da noi con i magnaccia italiani, albanesi, rumeni e le
ragazze prese in ostaggio. Naturalmente, i jombilo del Madagascar accettano volentieri regalie dalle
rispettive makorele, ma solo se e
quando dati spontaneamente. Ora vengo a sapere da Tina che le cose non stanno
così e che tutti i jombilo sono masiaka, cioè cattivi. Le recenti vicende poco felici di
Nenety, un’amica 42enne di Tina, che vediamo in foto, stanno lì a dimostrarlo.
Anzitutto va detto che Nenety non è mai stata makorele, non avendone avuto bisogno perché anni fa incontrò
Pino, di Ostia Lido. Il signor Giuseppe, con cui convolò a nozze nonostante un
divario quarantennale tra loro due, più che un marito è stato un benefattore.
martedì 5 agosto 2014
Beato fra le donne
Del
professore in pensione Bruno Vacchino, che a Cuneo insegnava francese e diritto
in un istituto per geometri, posso solo parlare bene. Come molti francesi, e
anche come il sottoscritto, monsieur Bruno si è lasciato un divorzio alle spalle, con figli grandi, ed è
venuto in Madagascar per rifarsi una vita. Anzi, forse per cominciare a vivere
davvero. Posso solo parlar bene di lui perché è una persona colta, con cui è
piacevole discorrere, e per la sua filosofia di vita edonistica che lo porta a
vivere all’ombra delle fanciulle in fiore, per dirla alla Marcel Proust. Da sette anni e
mezzo è in Madagascar ma solo da quattro è alloggiato in una suite del Sud
Plazza Hotel, con ampio balcone che dà sulla spiaggia. La vista delle palme e
del mare cangiante gli ricorda tutte le mattine, aprendo la porta-finestra, che
questo è il migliore dei mondi possibili. O, per lo meno, che questa è la
migliore vita possibile che potrebbe vivere. Sicuramente molti vorrebbero
essere al suo posto, anche quelli che avrebbero una pensione sufficiente per
godersela in un paese tropicale, ma non hanno il coraggio di tagliare i ponti
del tutto dietro di sé, giacché mille vincoli subentrano a impedire la
realizzazione di questo sogno. In tal caso, va applicato il proverbio africano
in base al quale “Chi vuole raggiungere una meta trova una strada, chi non
vuole trova un pretesto”.
Da assaggiare assolutamente
Una
delle prime pietanze che si possono gustare in Madagascar è il riso con il ravitoto (pronuncia ravitutu). Per i malgasci si tratta di
carne dell’immancabile zebù o di maiale, immersa in un copioso contorno di riso
e foglie di manioca tritate, insaporite dal cocco. Per noi civilizzati è
sufficiente il riso, il ravitoto
e il cocco, ma anche senza quest’ultimo è buono lo stesso. Quando viaggiamo con
i taxi-brousse e ci fermiamo
negli hotely durante il tragitto,
dobbiamo specificare reiteratamente che non ci mettano la carne. Tsy misy
hena è meglio dirlo alla cameriera
più volte, affinché le entri bene in testa e lo riferisca al cuoco, che
meccanicamente potrebbe aggiungervi carne di maiale o di omby.
lunedì 4 agosto 2014
Il bambino nella carriola e la zia scema
C’è
una poesia del triestino Umberto Saba che s’intitola “Il ragazzo con la carriola” e che non può non venire in mente vedendo Odillon in un momento di
relax, dopo il duro lavoro della raccolta dei frammenti lasciati dagli operai.
La buona volontà non gli manca (ecco che riemerge il maestro elementare!), ma a
scuola è un po’ svogliato e fa disperare le insegnanti. A me sembra un ometto
(o omino) ed è il primo bambino che ho visto bere birra come niente fosse, senza
neanche una smorfia, complici familiari & affini. Lui e Sammy, suo fratello
più piccolo, sono stati abbandonati dalla madre Korety, una delle 103 cugine di
Tina, e del loro padre Toetra, sempre ubriaco, è meglio tacere. Fra pochi
giorni però partiranno con noi in camion-brousse, con destinazione Besely Nord dove vive la loro
madre snaturata e il giovane padre immaturo. Saranno affidati a Karola, di cui
parlerò fra poco, quella stessa Karola che avrebbe dovuto consegnarmi due sedie
di plastica da giardino, insieme a un frigo e a una fatapera, ma che nella sua
dabbenaggine si è dimenticata di scaricare dal retro del ciclo-pousse, al cui conducente non è parso vero di fregarsi due
sedie, così a buon mercato. Karola e i due bambini, sul camion-brousse, viaggeranno dietro e i piccoli riusciranno anche a
dormire in quelle presumibili 15 ore di sballottamenti sulla pista di sabbia,
verso Itampolo. Io e Tina, (per me è il terzo viaggio a Besely Nord) viaggeremo
alle spalle dell’autista, potremo allungare le gambe e pagheremo il doppio del
biglietto. Giustamente.
domenica 3 agosto 2014
Elogio dolente del guidatore di pousse pousse
Testo e foto (esclusa l'ultima) di Francesco Spizzirri
Caro
Roberto, vedo che stai combattendo con i pousse-pousse, ormai è la norma. E' vero i pousse-pousse sono una razza bastarda. Ti parlo della vecchia
Tulear, la polverosa Tulear. A Tulear non c'erano le strade asfaltate come
oggi, vivevi nella polvere. C'era polvere dappertutto, non sabbia come
Morondava, anche a Fort Dauphin c'era la polvere, ma essendo sulla costa
est pioveva spesso per cui avevi periodi in cui respiravi. Vendevano ancora il
ghiaccio per strada, alla gelateria italiana i gelati costavano poco, per noi vazaha, per i malgasci sono sempre stati cari, poi con
l'arrivo dell'euro le materie prime sono raddoppiate e anche i gelati sono
diventati cari. Tulear era la città meno cara e più tranquilla di tutto il
Madagascar, la periferia dell'impero: Tana era lontana, non si sentiva
l'influenza politica ed economica della capitale come a Tamatave o a Majanga.
La strada per arrivare da Tana era lunga, si viaggiava di notte, non c'erano
ancora i banditi che assaltavano i taxi-brousse, la nuova Ilakaka, simile a Las Vegas, stava
nascendo, un pezzo dell'Isalo si faceva su una pista di erba.
Invidia e gelosia
Quando
due settimane fa, appena arrivati a Tulear, siamo andai a trovare Nina e Mitia,
c’erano due cagnetti nel loro cortile, uno bianco e uno nero. Ieri, 2 agosto,
c’era solo quello nero perché l’altro gli è stato avvelenato dai vicini
invidiosi e gelosi. Come possono essere gelosi i vicini di uno sloveno
squattrinato che riceve 300 euro al mese dalla madre in Slovenia e di una
ragazza Tanalana amica di Tina? Lo sono perché Nina è riuscita ad accalappiare
un vazaha, magari senza conoscere
bene, prima, il suo livello economico. Se si pensa che le ragazze malgasce
vanno dall’ombiasy per impetrare
l’aiuto di Zanahary a trovare un
bianco come marito, si capisce che, povero o ricco che sia, un vazaha è sempre una risorsa umana e in ogni caso rappresenta
un avanzamento nella scala sociale. Avere un figlio “pel blanche”, per dirla
alla francese, è il massimo dello status simbol in Madagascar. Mitia, proveniente da Lubiana, mi
ricordo di averlo visto aggirarsi spaesato in cerca di un ristorante ancora nel
lontano 2006. Poi li ho visti insieme, lui e Nina e, quasi contemporaneamente,
ho cominciato a frequentare Tina.
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zoofilia
sabato 2 agosto 2014
Il sonno della gestante genera mostri
E’
dovere di ogni bravo blogger, quando sente notizie interessanti, di andare alla
fonte. La mia fonte si chiama Clementina, che qui vediamo con un abito giallo a
fiori rossi, una quarantenne madre di tre figli che di professione fa la
commerciante di souvenirs. A Tina ha raccontato che Tatianah, una cantante di
etnia Tanalana di poco più di vent’anni è morta recentemente di parto, ma non è
morta come muoiono normalmente le donne di parto nei paesi del Terzo Mondo, bensì
dando alla luce un agnello. Sì, avete sentito bene, proprio un cucciolo di
pecora! E questo è accaduto perché un ombiasy cattivo, dietro richiesta di un cliente altrettanto
cattivo, le ha fatto questo tipo particolare di fattura, ma le donne incinte in
Madagascar corrono il rischio di ricevere anche altri tipi di gri gri. Possono infatti partorire capretti, cani, gatti e
perfino polpi e granchi. I medici sono sconcertati e non possono farci niente.
C’è poi il gri gri che prevede la
morte solo del neonato, oppure quello che mira a far morire solo la
partoriente, oppure ancora quello, più terribile di tutti, che ha come esito
finale la morte sia della mamma che del suo bambino.
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