martedì 18 luglio 2017

In Italia si accettano solo clandestini



Stupore e sconcerto ha destato la notizia che il governo italiano nega il visto d’ingresso in Italia ai profughi tibetani in possesso del documento d’identità loro rilasciato dal governo indiano”, ad affermarlo l’associazione Italia-Tibet in una nota stampa. Il documento (Identity Certificate), riconosciuto come valido da tutti i paesi dell’area Schengen ad eccezione della Svezia e del Portogallo, fino a poche settimane fa veniva accettato senza problemi dal nostro paese per il rilascio dei visti ai rifugiati tibetani. La Farnesina ha confermato che il documento non è riconosciuto dall’Italia. Con la Comunità Tibetana in Italia, le associazioni a sostegno del popolo tibetano e della sua cultura, i Centri di Buddhismo e i gruppi a difesa dei diritti umani, l’Associazione Italia-Tibet intende attivarsi per conoscere le ragioni di tale decisione e chiedere la revoca del provvedimento. Un cambio di atteggiamento dovuto probabilmente a esigenze economiche con la Cina. L’Italia è stata per decenni uno dei paesi più coraggiosi a rifiutare ogni imposizione o diktak e il Dalai Lama è venuto spesso nel nostro Paese a parlare di spiritualità, pace, tolleranza, o a concedere insegnamenti a gruppi sempre più numerosi di persone interessate alla filosofia tibetana, senza contare i premi e riconoscimenti ricevuti da università e amministrazioni pubbliche, basti pensare al suo stretto rapporto con il Trentino.




Raimondo Bultrini, editorialista di Repubblica.it, ha affermato in data 12 luglio: Una svolta diplomatica di avvicinamento alla Cina. Difficili se non impossibili saranno le possibilità di invitare anche gli insegnanti spirituali (compresi gli assistenti del Dalai Lama e di altre figure importanti delle varie scuole buddhiste) da parte di organizzazioni come l’Unione buddhista – riconosciuta formalmente ma trattata come religione di secondo piano – o dalla stessa associazione Italia Tibet che ha scambiato una corrispondenza con le autorità consolari di Mumbai e con la Farnesina per capire se davvero le restrizioni erano ufficiali (lo sono) e irrevocabili (lo sembrano). Che la svolta diplomatica sia stata determinata da una politica di “avvicinamento” italiano alla Cina non sorprende, ma non per questo è meno indignante per chi crede che i valori umani siano importanti almeno quanto gli affari. Per fortuna nel resto della vecchia Europa non la pensano tutti come Roma, a meno che la decisione italiana non sia il segnale di una tendenza a catena. Nel suo piccolo, il caso tibetano segnerebbe un’altra tappa verso la fine dell’evoluzione di una civiltà come la nostra che ha sofferto molto per creare un mondo di uomini liberi”.

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