Fonte:
Vox News
Confermando
che non abbiamo informazioni per dire che i familiari di Cecile Kyenge siano o non
siano stati cannibali, e del resto non ce ne siamo occupati, abbiamo
invece la certezza che i suoi connazionali lo sono. Ancora oggi. Secondo
una recente ricerca del quotidiano britannico The
Sun, sembrerebbe
proprio che il cannibalismo, sia durante ritualità tribali, sia come
semplice supporto alimentare, esista ancora in varie parti del
pianeta ed è fortemente radicato nelle abitudini e nei costumi di
chi lo pratica. I
Paesi in cui il ripugnante uso di cibarsi di carne umana sembra
essere più diffuso, sono prevalentemente asiatici: India, Papua
Nuova Guinea ed Isole Fiji, ma non ne sarebbero estranei anche molti
paesi africani, tra i quali il Congo e
la Liberia. Si ricorderà, inoltre, che il dittatore Ugandese Idi
Amin Dadà e quello della Repubblica Centro Africana,
Jean-Bédel Bokassa, conservavano in frigorifero il cuore ed
altri organi dei nemici uccisi per cibarsene ed appropriarsi così
delle loro energie spirituali. Il cannibalismo, a scopi rituali,
permane peraltro anche sulla costa del Kenya, per propiziare, per
esempio, un buon raccolto.
E
particolarmente pregiata, in Congo, è la carne di un tipo umano, il
Pigmeo. Minority Rights
Group International – un gruppo che difende veramente le minoranze
perseguitate, non come quelli da noi che difendono le minoranze
privilegiate – raccolse nel 2004 prove di un secolare genocidio. Più di 600.000
pigmei – gli ultimi cacciatori raccoglitori sopravvissuti allo
sterminio attuato nei secoli dalla razza bantù (negri), che è la
razza maggioritaria nell’Africa sub-sahariana – vivono nelle
enormi foreste della Repubblica Democratica del Congo, dove
sopravvivono cacciando animali selvatici e raccogliendo
frutta. Tuttavia, i congolesi bantù li considerano come
“subumani” e molti credono che la loro carne conferisca poteri
magici. “Ci sono stati
stupri sistematici e uccisioni su larga scala”, riferì il
direttore del gruppo, Mark Latimer, alla BBC Africa. “La violenza che
è stata perpetrata contro i pigmei è parte, o era parte, di una
campagna volta a sterminarli”.
Secondo
il Guardian i pigmei vengono cacciati e massacrati come animali,
perché considerati scimmie – e in Congo le scimmie si mangiano –
e nelle foreste del nord-est del Congo, funzionari ONU indagano le
accuse di cannibalismo nella provincia dell’Ituri, dove la lotta
tra diversi gruppi di ribelli nel 2003 sfollò circa
150.000 profughi. Molti
dei profughi sfollati hanno testimoniato di veri e propri macelli
dove altri pigmei vengono macellati,
secondo la testimonianza di Manoddje Mounoubai, portavoce per la
missione di monitoraggio dell’ONU in Congo. Non basta. I vari
gruppi etnici che si scontrano nella zona schiavizzano ordinariamente
i pigmei perché procurino il foraggio e l’alimentazione e li
utilizzano nello sfruttamento dei minerali, riferì un funzionario
delle Nazioni Unite.
Quando
i cacciatori pigmei tornano a mani vuote vengono uccisi e mangiati.
Sudi Alimasi, un funzionario filogovernativo, testimoniò di rapporti
nei quali si parla di cannibalismo da parte di persone
sfollate. “Sentiamo i rapporti dei comandanti
sull’alimentazione di organi sessuali dei pigmei, credendo a
quanto pare che questo darebbe loro forza,” disse. “Abbiamo
anche rapporti di pigmei costretti a nutrirsi di resti cotti di altri
pigmei”. Il
cannibalismo è riemerso nel Congo orientale non appena le ultime
vestigia di influenza coloniale sono state erose. Gran
parte della vasta area boschiva era controllata nel 2003-2004 dai
Mayi-Mayi, un raggruppamento sciolto delle milizie tribali le cui
credenze magiche e il gusto per la carne umana sono note. Molti
combattenti Mayi-Mayi indossando parti dei corpi dei loro nemici,
nella convinzione che ciò li renderebbe invincibili. “Ci sono
rapporti di orrori indicibili nell’Ituri,” disse Wyger Wentholt,
di Médecins sans Frontières.
Ecco, noi ora,
questi orrori li importiamo. Non c’è da meravigliarsi se poi
Butungu stupra in modo brutale una turista a Rimini.
Kyenge, c’è
bisogno di qualcuno che si occupi dei profughi, in Congo.
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