mercoledì 10 giugno 2015

Le tasse non sono un obbligo divino


Testo di Paolo Sensini

L'ondata migratoria di quest'ultimo periodo, un periodo che per la verità dura ininterrottamente da oltre vent'anni, oltre a scardinare dalle fondamenta il principio di territorialità ha posto radicalmente in discussione anche un altro dei cardini che, in teoria, dovrebbero reggere tutto l'edificio "moderno" dello Stato: “no taxation without representation”, ossia nessuna tassa senza rappresentanza. 

 
Se uno Stato preleva forzosamente dalle tasche dei produttori il 70-80% dei loro introiti praticamente in cambio di nulla e in più costringendoti a ripagare tutti servizi due volte (sanità privata, istruzione privata, trasporto privato, sicurezza privata, ecc.) perché quelli "pubblici" sono di giorno in giorno sempre più inadempienti, soffocati di burocrazia e sbracati; ma soprattutto se coloro che in base al principio di rappresentanza (i politici eletti) tutelano individui provenienti da altri Paesi a danno dei cittadini per i quali sono invece "istituzionalmente" pagati, non si capisce allora per quale diavolo di motivo si dovrebbero continuare a pagare tasse astronomiche. Già, perché continuare a pagare le tasse se è venuto meno il requisito fondamentale del tanto sbandierato "contratto sociale" che dovrebbe legare i cittadini allo Stato? Cos'è, Papa permettendo, un obbligo divino?

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