sabato 26 aprile 2014

La sottile linea di confine tra protesta e proposta


 
 
E’ stata una buona idea quella di installare i gazebo, perché così si invoglia la gente di passaggio ad avvicinarsi per sapere di cosa si tratta. Del resto, se si fa domanda di occupazione di suolo pubblico, e si paga la tassa pertinente, è anche giusto utilizzare al meglio lo spazio concesso. Normalmente, quando si fa richiesta di autorizzazione per presidi o manifestazioni, è sufficiente, almeno tre giorni prima, spedire via fax alla questura una notifica con i dati salienti (ai miei tempi si faceva così) e solo se la pratica finisce nelle mani di qualche funzionario pignolo, si riceve una telefonata di richiesta di delucidazioni. Tipo: quanti sarete, se c’è qualche pregiudicato fra voi, ecc. Se il questore è a digiuno di attivismo animalista, può, a sua discrezione, vietare o meno l'uso del megafono, com’è successo a Pordenone il 30 marzo scorso, con conseguenze deleterie.


Nel caso di Arzignano, in provincia di Vicenza, la questura ha lasciato carta bianca agli organizzatori, anche se il recinto per gli animalisti, costituito da transenne, c’era. Tuttavia, si è visto che le F.F.O.O. avevano fiducia negli animalisti proprio perché non ci è mai stato richiesto di rimanere confinati all’interno del recinto e ci è stato lasciato parlare con il megafono, oltre che distribuire volantini, a diretto contatto con le famiglie che si recavano alla fiera ornitologica. C’erano ben tre megafoni in funzione, nel corso del presidio, tra cui quello da me utilizzato.
Il punto debole del mio intervento è che sono abituato a sviluppare un discorso prolungato, seguendo una linea logica che solo chi si ferma a lungo ad ascoltare può apprezzare. Ma a questo inconveniente hanno supplito gli altri due attivisti, che attraverso il megafono lanciavano slogan facili da memorizzare, anche per i passanti più distratti. Lo slogan più incisivo è stato naturalmente “Animali liberi”, che anche un bambino riesce a capire. Non sono mancati malumori da parte degli uomini che passavano, diretti alla fiera o in uscita dalla medesima, perché senza prestare ascolto alle parole capivano che noi eravamo il loro “nemico” storico e un signore in piedi sull’erba dall’altra parte delle nostre postazioni, durante una pausa dei miei ripetuti interventi, ha usato la parola “feccia”, parlando con un suo amico, e pronunciandola abbastanza forte affinché io la udissi.
Vale a dire che per lui, come anche per tutti i membri della sua categoria, gli animalisti che sono portatori di un messaggio di pace – un messaggio vero e non retorico – rappresentano il peggio che la società possa produrre, la feccia appunto, che presso gli anglosassoni suona come “schiuma” e che pare essere l’offesa più bruciante. Noi non siamo anglosassoni, ci piace il vino anche nei suoi scarti di botte e damigiana e a me la parola feccia non ha fatto né caldo né freddo. Gli altri attivisti non l’hanno neanche sentita.
                                                                                                                                                  
Tuttavia, io stesso parlando al megafono, ho riconosciuto che gli animalisti sono dei rompiscatole (non ho usato la parola “rompicoglioni” perché c’erano molti bambini) e so benissimo che il sogno proibito dei cacciatori è di avere gli attivisti per i diritti animali nella lista delle specie cacciabili, sogno che per nostra fortuna è destinato a rimanere tale.
Tutti quelli che vedono messi in discussione il loro lavoro o i loro passatempi sono propensi a reagire aggressivamente contro coloro che per essi rappresentano una minaccia, ma finora, nonostante l’opposizione alla caccia in Italia duri da tanti anni, nessun animalista è mai stato ferito seriamente da qualche cacciatore e i più pericolosi si sono invece dimostrati i circensi, come si è visto recentemente a Pordenone. Sarà forse una questione di cultura, poiché i Sinti, conosciuti anche come giostrai, annoverano la violenza tra i modi di rapportarsi con il prossimo, mentre paradossalmente i cacciatori abituati all’uso di armi stanno ben attenti a non perdere il controllo, dato che sanno benissimo di maneggiare strumenti letali. Ciò non toglie che qualche guardiacaccia ci ha rimesso la pelle, in passato, grazie a tale funesta perdita di controllo da parte di persone armate.

Tra le cose che ho detto c’è anche il fatto che l’attività venatoria in Italia è fuori norma, come certi impianti elettrici delle vecchie case. I cinquanta morti circa che si registrano a ogni stagione venatoria stanno lì a dimostrarlo e ciò nonostante il Legislatore non ci pensa proprio a mettervi mano, nemmeno quando si tratta di salvaguardare l'incolumità degli stessi cacciatori. Per esempio, nei paesi scandinavi i cacciatori sono obbligati per legge ad indossare casacche vistosamente fosforescenti, gialle o arancioni, tanto che li si può scambiare per cantonieri, mentre le divise mimetiche indossate dai nostri seguaci di Diana sono funzionali agli incidenti. E i numeri infatti, lo ribadisco, lo possono testimoniare.
Ho anche evidenziato che se i circa 750.000  cacciatori italiani continuano imperterriti nella loro sciagurata attività, è perché sono spalleggiati dalle industrie armiere della Val Trompia, in provincia di Brescia, che nei cacciatori ha una categoria di affezionati clienti. Ma quelle stesse industrie, inserite in un circuito che non conoscerà mai crisi, producono anche armi da guerra, tra cui le mine antiuomo, di modo che noi abbiamo un medico italiano di nome Gino Strada che cura gli effetti di bombe costruite da altri italiani, la maggior parte dei quali anonimi come sono anonimi gli operai metalmeccanici. Sappiamo però i nomi degli imprenditori, capeggiati dalla famosa dinastia Beretta, a cui seguono Benelli, Fiocchi, Breda e compagnia guerreggiando. 
                                                                                                                                                 
Non ho potuto trattenermi dall’accennare al Vaticano che è il primo azionista della fabbrica Beretta e probabilmente, al di là delle sterili esternazioni del vescovo di Roma, la Chiesa ha le mani in pasta nella fabbricazione di armi proprio perché sa che tali prodotti non conosceranno mai flessioni nelle vendite.
Indi per cui, quando il Papa si affaccia al balcone di piazza San Pietro e dice di pregare per la pace, dobbiamo ricordarci che sta usando il linguaggio massonico, sul cui conto, una volta capito il trucco, non ci si può sbagliare. Dice di pregare per la pace, ma in realtà prega affinché le guerre non cessino mai, altrimenti verrebbero meno gli introiti per la sua secolare organizzazione a delinquere. Idem con la festa della Liberazione, se vogliamo fare un altro esempio di linguaggio massonico. Basta ribaltare i termini e abbiamo una situazione in Italia che è tutto fuorché una liberazione, ma anzi, con lo sbarco degli americani, è stata ed è tuttora, un’entrata nella schiavitù al pari di una qualsiasi colonia di cui l’impero USA è proprietario.
Parlando alla gente mi sono anche trattenuto, e non solo nell’uso di termini tecnici che l’uomo medio non avrebbe capito, ma anche nei concetti troppo complottisti (i miei colleghi animalisti non avrebbero né capito né approvato). In questo caso, poiché ricorreva il 25 aprile, mi sono trattenuto da dire che i nostri “liberatori”, con l’apporto quasi insignificante dei partigiani, in realtà ci hanno resi loro dipendenti. Con il Piano Marshall ci hanno comprati e tutti i nostri politici che hanno cercato patriotticamente di opporsi al neocolonialismo a stelle e strisce hanno fatto una brutta fine. Esempio paradigmatico Enrico Mattei, ma anche Andreotti e Craxi, per non parlare del povero Moro, cadendo in disgrazia agli occhi dei nostri “liberatori” sono stati puntualmente puniti.

Queste cose non le ho dette, ma ho detto invece che non ci potrà mai essere una vera liberazione dell’uomo, dalla paura, dal bisogno e da altri mezzi usati dagli Arconti per dominarci, finché anche un solo animale sarà prigioniero. E loro, le famigliole che si dirigevano alla cassa, stavano andando a vedere proprio dei prigionieri, siano essi appartenenti alla fauna autoctona o esotica.
Il confine tra protesta e proposta è labile e a me sembra che la manifestazione di venerdì 25 aprile ad Arzignano rientri più nella seconda che non nella prima. C’è stato solo un caso di accenno allo scontro, poco prima che io e il mio accompagnatore Franco Galliano, che ringrazio per le foto, ce ne tornassimo verso casa. Ed è stato quando un uomo con il suo figlio piccolo si è piccato per qualche parolina provocatoria detta da uno dei nostri, con le transenne di mezzo a fungere da recinto per cani, se avete presente come si comportano i cani quando di mezzo ci sono recinti che li separano. 

L’uomo si è fermato dicendo: “Ho comprato solo un palloncino!” e con ciò voleva dire che non aveva comprato animali vivi, ma lo disse con un tono risentito, perché probabilmente si sentiva innocente anche se aveva pagato il biglietto d’ingresso per accedere alla mostra. Hanno dovuto intervenire i vigili urbani e i carabinieri per staccare l’uomo, che ha sempre tenuto per mano il bambino col palloncino, dagli animalisti che lo avevano redarguito.
Non posso dire che sgridare i visitatori sia la strategia giusta, e per molti attivisti è importante evitare accuratamente le offese, ma in linea di principio anche pagare il biglietto d’ingresso è già un torto che si fa agli animali prigionieri.
                                                                                                                                                  
D’altra parte, anche noi abbiamo dato i nostri soldi agli organizzatori della fiera, comprando due verdoni da liberare a scopo dimostrativo, a mezzogiorno, poco prima che io e Franco ce ne andassimo. Il gesto è stato molto emozionante e, a un osservatore esterno, sarà parso per lo meno curioso il fatto che decine di macchine fotografiche erano puntate verso la gabbia da cui i due verdoni sono stati fatti uscire. Qualcuno fra i non animalisti avrà potuto pensare che noi siamo proprio dei fanatici, senza capire, purtroppo, la valenza del gesto.
Per gli esseri umani normali, dopo millenni di antropocentrismo (parola che venerdì è stata sdoganata perché usata anche dagli altri due speakers), due verdoni solo solo due uccelletti insignificanti di colore verdastro, neanche tanto bravi a cantare, ma utilizzabili per gli accoppiamenti con canarini, onde ottenere ibridi. 

Per noi invece, la liberazione di due spaventati uccelletti, come si può vedere nel video su You Tube, significa che tutti gli animali aspirano alla libertà, avendone pieno diritto. E ce ne sono ancora milioni che aspettano!
Verso la fine dei miei reiterati interventi, come mi è stato suggerito di fare da uno degli organizzatori del presidio, ho ringraziato le persone che uscivano con piante da fiori e da orto, segno concreto che la passione per la natura, di cui gli animalisti non hanno il monopolio, sta prendendo la strada giusta. "Grazie per aver comprato piantine di pomodoro, anziché tordi e fringuelli". Insomma, si prendono più mosche con una goccia di miele che con un barile di aceto. Ribadisco questo concetto, non del tutto animalista, perché, trattandosi di bambini in corpi da adulti, che vanno alle fiere venatorie senza consapevolezza delle implicazioni, è meglio usare tutta la pazienza e il tatto che le nostre doti di educatori ci permettono.

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