venerdì 22 aprile 2016

Lo schiavismo è la forma naturale del lavoro


Da tempo in Italia si discute del problema pensionistico e pochi giorni fa Tito Boeri, presidente dell'INPS, se n'è venuto fuori parlando di “generazione perduta”, riferendosi a quelli nati dal 1980 in poi che dovranno lavorare fino ai 75 anni. E che cos'è questo se non una forma di smaccato schiavismo? Quando si parla di schiavismo antico, ci vengono in mente i costruttori delle piramidi e i negri nelle piantagioni di cotone, ma quando si parla di schiavismo moderno, pensiamo ai bambini che fabbricano le scarpe della Nike o alle bambine incatenate al telaio delle industrie tessili, in India, alle giovani donne cinesi che dormono sul posto di lavoro con la testa appoggiata alle braccia sul banco, oppure agli africani a Rosarno che raccolgono pomodori sotto le direttive dei caporali, per pochi euro al giorno. Ma ora, grazie a Repubblica (e ringrazio l'amico Francesco Spizzirri per la segnalazione), veniamo a sapere che lo schiavismo non solo è planetario, ma anche che non è confinato alla terra, perché s'inoltra anche in mare.



Come alle ragazze rumene, portate in Italia e avviate alla prostituzione, i loro connazionali tolgono i documenti e alle ragazze malgasce e filippine, invitate in Arabia Saudita come donne di servizio, i loro datori di lavoro fanno la stessa cosa, così anche ai pescatori birmani i loro padroni sequestrano i passaporti, cosa che impedisce a quei poveri disgraziati di mettere piede a terra anche solo per qualche ora dopo gli estenuanti turni di lavoro sulle barche da pesca. Tuttavia, anche se è la prima volta che sento parlare di schiavi del mare, la cosa non mi stupisce perché “la violenza sugli animali è propedeutica alla violenza sull'uomo”, come si sa fin dall'antichità, e mi sembra logico che, dopo aver ridotto in schiavitù gli animali, gente senza scrupoli faccia la stessa cosa con i propri simili. Il grande peccato delle religioni è non aver voluto tener conto di questo semplice meccanismo.


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