domenica 8 gennaio 2017

Lavandino e rubinetto eremita perfetto


Avevo in programma di ritornare a Saint Augustin per verificare la possibilità di una nostra permanenza prolungata nello stesso bungalow dov’eravamo stati l’anno scorso, ma la padrona di Casa, Esperance, sposata a un mio conterraneo, ci ha mostrato un nuovo appartamento per il quale chiede 400.000 ariary. Io preferivo il bungalow perché di fronte ha il mare, anche se non si vede a causa di una duna, mentre l’appartamento, di fronte, ha il ristorante e un’area di passaggio dove vengono anche parcheggiati i fuoristrada dei clienti. In entrambi i casi, manca la cucina e non c’è nemmeno un lavandino dove lavarsi le mani. Lo stile architettonico e logistico è quello della brousse, con la classica tazza di plastica con cui farsi la doccia, ma io mi chiedo, visto che Esperance disponeva del denaro per aumentare i posti letto del suo albergo, perché non ha dotato l’appartamento del minimo richiesto dai turisti: un lavandino? Mancanza di immaginazione, probabilmente, o di immedesimazione.


Il marito carnico, Ernesto, evidentemente si è limitato ai finanziamenti, senza dare suggerimenti di tipo pratico. Oltretutto, se io e Tina vogliamo lasciare la casa di Akenta perché 400.000 ariary al mese d’affitto sono troppi, lo stesso identico prezzo ci verrebbe richiesto a Saint Augustin, con in meno la privacy e le comodità di una cucina funzionale. Quindi, non ci converrebbe. E’ vero che si usa la fatapera a carbone e le operazioni si fanno sempre all’aperto, ma lo spazio che Esperance ci aveva indicato come luogo per cucinare era davvero scarso, un corridoio tra due muri, dove ora c’è un quad, con il rischio che il vento porti qualche scintilla sul tetto di paglia della capanna vicina e con conseguenze ipoteticamente disastrose. Anche in questo caso, come in quello di Ankilibe, abbiamo dovuto rinunciare.




La nostra trasferta di una notte, quindi, al “Paradis d’Esperance” si è limitata a una piacevole gita alla piscina naturale del fiume Andoharano, dov’eravamo stati anche l’anno scorso. Stavolta, per l’occasione, mi sono portato dietro anche le pinne, oltre alla maschera. I due piroghieri, per un’ora di andata e un’ora di ritorno, ci hanno chiesto 25.000 ariary (7 euro) e con noi è venuto anche il nostro tassista Joselito. Prima di ritornare ho offerto una lattina di birra a tutti, poiché avevamo con noi la ghiacciaia da pic nic. Insomma, una vera e propria gita. Durante il percorso, esattamente come l’anno passato, ho notato la scarsità di avifauna, con solo gli onnipresenti Acridotheres tristis, che non sono nemmeno originari del Madagascar ma che furono importati nel Settecento, nonché qualche vermiglio “folimena” e una cannaiola, riconosciuta dal canto. L’unico avvistamento degno di nota è stato quello di un tarabusino che è planato in mezzo alla vegetazione rivierasca.






I pescatori non sono mancati, donne e ragazze, che usano le zanzariere regalate dalle associazioni umanitarie, nonché la classica lenza, usata invece dagli uomini. Siccome Joselito, di origini indiane ma adottato da una coppia malgascia, era la prima volta che andava alla piscina naturale, ha voluto immortalare l’evento con il suo smartphone. Forse per mostrare le foto alla moglie.





Abituato alla caotica Tulear, anche lui deve aver trovato belli il fiume e il paesaggio circostante. Lui e uno dei piroghieri hanno fatto il bagno, ma hanno aspettato che io finissi. L’acqua era fredda e trasparente e sotto c’era solo qualche pescetto, con molte alghe filamentose. Sulle alture che circondano il fiume, tra la bassa vegetazione sovrastata dalle badamera, dai borodomongo e da qualche palma da datteri, si notavano in lontananza le bianche tombe di cemento degli indigeni, sia Vezo che Mahafaly, con tanto di croci. Se volessi, stando a ciò che Tina mi ha spiegato, potrei anche avvicinarmi ad esse perché non c’è nessun “fady”, tabù. L’unico rischio è che la gente potrebbe pensare che sto andando a rubare le ossa dei morti e, nello scenario peggiore, potrei finire linciato dalla folla inferocita. Qualcuno ha messo in giro la voce che i mandanti dei ladri di ossa sono i vazaha. Io penso che siano i cinesi, ma siccome anche i cinesi sono vazaha, stranieri, per i malgasci non fa differenza se a finire linciato è un europeo o un asiatico.




Anche di questo abbiamo parlato a cena, io, Tina e Joselito. Che ha spiegato di essere stato adottato da una coppia di etnia Antanosy, originaria di Bezaha. I suoi veri genitori non li ha mai conosciuti, ma suo nonno paterno venne in Madagascar dal subcontinente indiano. Joselito, 34 anni, due settimane fa è diventato padre per la seconda volta. Il taxi che usa è del padre adottivo, il che pone la sua famiglia nella fascia sociale dei benestanti. Ha una zia sposata in Italia, ma non ha saputo dire in quale città viva. Per i suoi servigi di 24 ore, andata e ritorno, ci ha chiesto 80.000 ariary (22 euro) e, considerato che i conducenti delle vetture a noleggio per tradizione hanno vitto e alloggio pagati dagli alberghi, quando accompagnano clienti, non gli è andata troppo male. Al ritorno, si è preso anche la mancia. Gli abbiamo chiesto il numero di cellulare, nel caso in futuro avessimo ancora bisogno di lui.






Se a Saint Augustin avessimo trovato le condizioni giuste per le nostre esigenze, più che altro per le mie, si sarebbe posta la questione su quale mezzo comprare per poter andare a Tulear tutte le volte che si fosse reso necessario farlo. Tina, in modo particolare, la sua clientela è tutta dislocata in città. E poi, come generi alimentari, certe cose si trovano solo al supermercato, benché, visti i prezzi più alti, si cerchi di evitarlo il più possibile. Un motorino non sarebbe stato di suo gradimento, non solo per la salitona impegnativa che si trova poco fuori Saint Augustin, ma soprattutto per la sua paura dei “malaso”. Secondo Tina, possono attaccare anche di giorno e in quei 30 Km che separano le due località ci sono zone selvagge che si prestano alle imboscate.



La salita, che tecnicamente può essere fatta anche dai “bagage”, cioè dalle Api Piaggio di 50 cm cubi di cilindrata, offre comunque una bella panoramica del mare su cui si affaccia la penisola di Sorodrano. Se – e sottolineo se – avessimo preso accordi con Esperance ed Ernesto per un nostro trasferimento in uno dei loro bungalow, io e Tina probabilmente avremmo finito per comprare una moto fuoristrada abbastanza potente per affrontare la salita, un 125 o un 150, di modo che, spostandoci insieme, Tina avrebbe avuto meno paura dei banditi. Tutto questo è sicuramente molto romantico, ma per fortuna, siccome niente avviene per caso, anche il sito di Saint Augustin dovrà essere accantonato, come luogo di residenza. Per ora l’acquisto di un mezzo a motore non si pone. C’è un altro bungalow sulla spiaggia da andare a vedere, a Itampolo, ma il viaggio da quelle parti non è stato ancora messo in programma. Oltretutto, il traghetto che avrebbe permesso al camion brousse di risparmiare tre ore è guasto. Andiamo avanti giorno per giorno.


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