venerdì 29 agosto 2014

Due cuori e una lakana



Melania e Andrea potrebbero andare a Mangily via mare con la loro lakana, ma finché non impareranno a manovrare bene quell’imbarcazione a bilanciere tipica delle coste del Madagascar, avranno bisogno di almeno due piroghieri che ve li portino. Così, quando si sentono in forze e hanno bisogno di frutta e verdura preferiscono fare 8 Km a piedi sulla spiaggia, da Beravy, piuttosto che 17 con taxi brousse fino a Tulear. Il motivo è che per andare in città devono aspettare davanti casa che passi qualche mezzo pubblico, pick up o camion brousse che sia, mentre per ritornare a Beravy devono affrontare le forche caudine della gare routiere di Tsokobory, dove i panera, i procacciatori di passeggeri, si contendono i viaggiatori che arrivano in taxi o con il ciclo pousse con una certa rudezza, accaparrandosi i bagagli e arrivando a tirare letteralmente le persone in arrivo ognuno verso il proprio taxi brousse, il quale non parte finché non è completo, ovvero finché l’autista non decide che è sovraffollato al punto giusto.


Una parte di responsabilità di questa situazione, cioè dell’aumentata aggressività dei panera rispetto agli anni scorsi, va attribuita alle pattuglie della polizia e della gendarmeria che bloccano cinque volte, all’uscita da Tulear e nel breve spazio di qualche chilometro,  i mezzi pubblici, per estorcere denaro agli autisti. I quali devono giustamente far quadrare i conti e riempire il più possibile il proprio mezzo perché una parte dell’incasso va ai parassiti in divisa che, come ragni in mezzo alla ragnatela, aspettano le persone oneste che lavorano, standosene comodamente seduti all’ombra di qualche albero. Ingenuamente, mi viene a volte da pensare che il nuovo presidente Hery dovrebbe fare qualcosa per abolire il deleterio koly koly, fucilando alla schiena tutti i maledetti poliziotti corrotti, ma poi realisticamente penso che il primo ad essere fucilato dovrebbe essere lui, il capo supremo di tutti i parassiti corrotti che, in Madagascar come da noi, ingannano il popolo e lo sfruttano economicamente.

Andrea Spagnuolo, 42enne di origini calabresi ma per lungo tempo vissuto a Carmagnola in provincia di Torino, è riuscito a fare una cosa che io non ho mai avuto il coraggio di fare: ha fatto una foto a un poliziotto che gli aveva appena richiesto del denaro. Il parassita ovviamente si è arrabbiato e gli ha chiesto di cancellarla, ma Andrea è stato velocissimo a cambiare immagine e a mostrargli quella di alcuni omby che pascolavano lì vicino e che aveva fotografato poco prima. Il parassita ha lasciato perdere imprecando, ma Andrea e Melania Conte, 34enne antropologa vissuta in diverse parti d’Europa ma che si sente marchigiana, in quell’occasione rimasero un’ora e mezza bloccati sotto il sole perché non volevano pagare il pizzo, con gli sbirri che sghignazzavano e facevano a chi si arrende per primo. Alla fine, si sono arresi loro e li hanno lasciati andare. Un encomio per il coraggio di Andrea e un plauso alla determinazione di entrambi. Da quella volta la coppia usa i mezzi pubblici per spostarsi, non avendo e non volendo avere un’auto propria. Quando io e Tina siamo andati a trovarli giovedì 28 agosto erano due settimane che non andavano in città a procurarsi viveri e la verdura fresca che abbiamo portato loro è stata molto gradita.

Ciò che mangiano è strettamente connesso alla loro filosofia e al loro stile di vita: stanno predisponendo un orto tra l’abitazione e la strada e la prima cosa che viene in mente è che, una volta che la generosa natura darà i suoi frutti, dovranno fare i conti con due nemici: i ladri umani e le caprette voraci e incolpevoli, benché ladre pure loro. Abbiamo al riguardo fatto una specie di scommessa. Vedremo fra un anno quanti dei loro pomodori saranno riusciti a mangiare sottraendoli ai ladruncoli a due e a quattro gambe.

Va detto ancora che purtroppo Andrea è pescatore e quindi lui e la sua compagna mangiano pesce e frutti di mare. Egli va non solo con i malgasci a caccia di polpi, quando non fa snorkelling per diletto, ma se gli capita di ritornare al paesello nativo in Calabria va anche alla pesca del pescespada con la fiocina e quando me lo raccontava c’era un tono d’orgoglio nella sua voce. Lì dalle sue parti lo fanno dall’epoca dei Fenici e nel mondo ci sono in tutto sei posti dove si pratica quel tipo di pesca. I calabresi di quel villaggio quindi, come i Vezo, basano la loro vita sulla pesca e in particolare su quella del pescespada. (In foto un tonno pinne gialle che ho fotografato nella stazione dei taxi brousse mentre aspettavo di partire per Beravy). Siccome è la domanda che crea l’offerta, è ovvio che se la gente smettesse di comprare pescespada, i calabresi compaesani di Andrea sarebbero disoccupati e magari migrerebbero in Madagascar a pescare polpi.

Qui già gli specisti entrano in fibrillazione, a leggere queste parole, perché siamo stati tutti abituati a pensare in termini antropocentrici, a causa della maledetta Bibbia e degli altri testi cosiddetti sacri, ma ragionando razionalmente e considerando la natura angelica dell’uomo, si deve onestamente ammettere, scrollandosi di dosso le autogiustificazioni vigliacche e sovrastrutturali, che l’essere umano ha la capacità di adattarsi e di evolversi spiritualmente, mentre pescispada e polpi non possono farlo e alla fine tutto si riduce a un problema aritmetico: quando il numero totale di polpi e pescispada è terminato, non ce ne saranno più né degli uni, né degli altri. E allora il virus umano di matrixiana memoria dovrà rivolgere la propria cupidigia verso altre specie, finché non porterà ad estinzione pure quelle. Se immaginiamo che nell’universo ci siano razze aliene che invadono i pianeti sistematicamente fino al completo sfruttamento delle risorse e poi se ne vanno a bordo delle loro astronavi alla ricerca di altri pianeti da sfruttare, ebbene noi siamo una di quelle razze.

Prima che gli ecostemi terrestri collassino magari ci sarà qualcuno di questi parassiti cosmici che lascerà la Terra, ma di sicuro non ci sarà posto sulle navi spaziali per i 17 milioni di malgasci che fanno la loro parte, vuoi per fame vuoi per lucro. E allora, nell’universo ci sarà un pianeta in più che una volta era fertile e lussureggiante, arrivato a quello stato in milioni d’anni, reso però inabitabile in trecento anni circa da una specie impazzita, malata o forse contagiata e guidata essa pure da parassiti extraterrestri.

Tanto per restare in tema, a Melania, facendo una passeggiata sulla spiaggia di Beravy, è capitato di vedere due donne intente ad eviscerare una montagnola di oloturie appena pescate dai loro mariti. Chiesto loro informazioni sui prezzi, le donne hanno risposto che i cinesi gliele comprano a 3.000 ariary al Kg. (un euro). Facendo una ricerchina su internet, Melania ha poi scoperto che i cinesi rivendono in patria quella carne prelibata a 1.000 euro al Kg. Questo è un business pazzesco, se ci pensate bene, e non ci dobbiamo meravigliare quando sentiamo parlare di miliardari cinesi. Andrea ha aggiunto che le oloturie svolgono l’importante funzione di depurare il mare. Meno oloturie significa più colibatteri fecali e mare sporco non balenabile. Risultato, i turisti scappano, l’industria pertinente va in crisi, ma ai miliardari cinesi, commercianti di oloturie, non può fregare di meno. Il presidente Ravalomanana aveva venduto un terzo delle terre coltivabili alla Corea; quello attuale fa la stessa cosa con la Cina e non solo per quanto riguarda le oloturie o le pinne di squalo, ma anche con il cotone e, non ultimi, i lavori di asfaltatura dei 27 Km che separano Tulear da Mangily. Al riguardo mi sono meravigliato che l’appalto non sia stato dato ai francesi o meglio ancora agli italiani, famosi per la costruzione di strade nel mondo, ma Andrea ha suggerito che anche in quel caso ci sia stato movimento di tangenti ad alti livelli. Un altro motivo per fucilare alla schiena presidenti, ministri e viceministri perché il pesce, come Andrea pescatore sa benissimo, comincia a puzzare dalla testa.

Ad Andrea e Melania, però, che considero amici e che ho invitato ad Ambolanahomy per ricambiare il pranzo che ci hanno offerto giovedì, ho un’altra critica amichevole da rivolgere: la contraddizione tipica degli ecologisti. Posto che nessuno è perfetto e che anch’io non posso considerami esente da contraddizioni, va rilevato che se da un lato salvano le tartarughe che finirebbero negli stomaci dei Vezo, dall’altro non si astengono dal mangiare molluschi cefalopodi che sono molto più intelligenti delle tartarughe, né pesci che sono molto più belli e altrettanto dotati di sistema nervoso dei rettili chelonidi. Se il criterio è quello dell’estinzione e le Testudo radiata che loro salvano possono realmente scomparire del tutto, che ne sappiamo, sfruttato com’è il fondale marino, se i bellissimi pesci tropicali che da noi vegetano negli acquari e qui sono messi in vendita sulle bancarelle, non siano anch’essi in pericolo d’estinzione?

Quando ci si preoccupa – giustamente – della scomparsa delle utili oloturie in quanto depuratori del mare, lo si fa sulla base di un ragionamento antropocentrico, come se il mare dovesse rimanere pulito dalle nostre sozzure per noi che ne siamo gli utenti, pescatori o bagnanti indifferentemente. Ma spostando il ragionamento su una base biocentrica e ammettendo di essere solo una delle tante specie che vivono sul Pianeta, si dovrebbe arrivare ad ammettere onestamente che il mare e le sue creature hanno diritto all’inviolabilità per la loro natura intrinseca e non in funzione nostra, solo perché i libri sedicenti sacri, che noi stessi abbiamo scritto, chiamano in causa un’inesistente divinità, come autorità suprema, a donarci risorse che non ci appartengono.

In un’altra occasione, come vediamo qui in una sua foto, a Melania è capitato di trovare alcuni carapaci spaccati a colpi di coltello, come fossero ostriche o vongole, e anche in questo caso è un problema di percezione: per il malgascio è sakafo, cibo, come tutto il resto, per noi la tartaruga è un fenomeno biologico pregevole da salvaguardare, per alcuni anche rivestito di sacralità. Ma noi siamo frutto dell’Occidente e della nostra epoca. Qui invece viviamo in altre epoche e ad altre latitudini. Quando la cultura e l’educazione sono diverse, anche la percezione delle cose cambia e pure tra me e la coppia dei nostri connazionali ecologisti ci sono differenze di vedute, anche se tutti e tre abbiamo fatto le elementari in Italia. Andrea mi chiedeva di fargli sapere se c’è qualche associazione che voglia prendersi cura delle 17 tartarughe che hanno in giardino e delle altre che eventualmente riuscissero a salvare dalle grinfie dei nativi. Io al momento non ne conosco nessuna, ma mi sono accorto del pericolo che la raccolta di tartarughe nasconde. E cioè che i ragazzini vadano appositamente a caccia di tartarughe da portare ad Andrea e Melania in cambio di qualche spicciolo. E’ il solito problema delle domanda che crea l’offerta. Un vero rompicapo, un circolo vizioso difficile da spezzare, solo che qui ci vanno di mezzo delle creature innocenti, vittime dell’istinto predatorio da una parte e delle nostre lodevoli premure dall’altra, in virtù del principio che vuole l’inferno lastricato di buone intenzioni.

Andrea e Melania, come me del resto, fanno quello che possono, in difesa più di un ideale di bellezza naturale che della natura in concreto. Ma intanto si stanno costruendo un gradevole nido d’amore, con tanto di pannello fotovoltaico sul tetto, costato 550.000 ariary, 170 euro. Hanno così la corrente elettrica giorno e notte, alimentando anche il computer che per Andrea, in quanto informatico, è strumento di lavoro “da remoto” e per Melania è altrettanto utile in quanto traduttrice delle principali lingue europee. I quattro bungalow sono al momento al grezzo e le prossime spese da affrontare saranno lo chateaux d’eau e il frigo, con i quali Andrea e Melania potranno sistemare la parte idraulica dei bagni e mettere a disposizione degli eventuali turisti e visitatori birra ghiacciata come Dio comanda. Il forno c’è già e la pizza, una volta fatta la debita pubblicità, fungerà da magnete per le migliaia di appassionati della famosa focaccia di origini napoletane. Del resto, biscotti, focaccine e sformato di patate, che ci sono stati offerti giovedì, Melania li sa già fare benissimo. Se poi si prenderanno anche Tina come cuoca, come io ho proposto loro, si potrà cominciare a parlare di ristorante vero e proprio, anche se l’idea che i due ragazzi hanno al momento è più indirizzata a rivalutare un dispensario di Beravy, ora chiuso, e ad organizzare qualche progetto in difesa delle tartarughe, terrestri o marine che siano e i bungalow, con annessa cucina, servirebbero in tal caso per gli ospiti più che per veri e propri clienti di ristorante mordi e fuggi.

Insomma, a Beravy ci sono due giovani entusiasti e pieni di belle idee, con grandi potenzialità. Se qualcuno li vuole contattare, specie per aiutarli in qualche modo a salvare le tartarughe, li può trovare su Facebook. Se poi li si vuole andare anche a trovare, mettendosi d’accordo sui prezzi, le strutture ricettive ci sono, benché da completare nella parte idraulica, e magari ci scappa anche una gita in lakana, fotografata qui da Andrea e Melania, a vedere da vicino le mangrovie.

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