Uno degli animali caduti suo malgrado sotto la scure della domesticazione è il cavallo. E’ stato utilizzato principalmente come arma da guerra, come fonte di proteine, come forza lavoro e, in ultimo, come attrezzo ginnico, da cui, inevitabilmente, è scaturito un rapporto amichevole, presente nella cultura occidentale e che ha negli inglesi la sua massima espressione.
In Gran Bretagna non si trovano macellerie equine, per intenderci.
Nei paesi mediterranei, notoriamente poco teneri verso gli animali, a causa dell’antropocentrica religione in essi seguita, è presente sporadicamente l’affetto per i cavalli, ma non al punto da impedire che vengano fatti pericolosamente correre nelle gare o importati per scopi edonisticamente gastronomici.
Un amante dei cavalli, quando per esempio in autostrada supera un camion bestiame con equini provenienti dai paesi dell’est europeo e diretti ai macelli pugliesi, può fare solo tre cose:
1) piangere
2) arrabbiarsi
3) voltare la testa dall’altra parte.
Piangere serve a poco, se non a rendere la nostra vita più triste. Arrabbiarsi può servire per scaricare la tensione ma se il tutto avviene a bordo della propria automobile, rimane un evento sterile. Voltare la testa dall’altra parte è la cosa più praticata, dettata da un sano istinto d’autoconservazione, ma anch’essa, ai cavalli, non cambia la vita.
Le manifestazioni dei 100% Animalisti di Padova rispondono alla seconda modalità, con l’importante differenza che si esce dal privato e si va dove c’è il problema, dove c’è l’abuso e si scatena quella rabbia che in autostrada è limitata all’abitacolo dell’automobile.
Alle manifestazioni dei 100 % Animalisti non ci si annoia.
E’ uno scenario anomalo rispetto alle manifestazioni degli altri gruppi, che normalmente si limitano alla denuncia con slogan, cartelloni, striscioni, ma che si mostrano tutto sommato rispettosi verso gli astanti.
La politica dei 100 % Animalisti è diversa. Hanno deciso che non è importante mostrarsi gente per bene e che le persone eticamente sorde, e spesso anche ipnotizzate da false credenze, possono essere svegliate anche con insulti e turpiloquio.
Io, che normalmente li censuro nei siti sui quali scrivo, mi sento stranamente attratto da questo genere di dimostrazioni verbalmente sboccate. Sarà che da una vita frequento manifestazioni animaliste di tutti i tipi e solo quelle dei 100 % mi permettono di andar via senza la sensazione di inutilità, come da sempre provo quando partecipo alle manifestazioni ordinate e perbeniste.
Dunque, mentre aspettavo che Paolo Mocavero, fondatore del gruppo, desse il via al coro degli insulti, ho avvicinato Sandro
Campana, attivista sessantunenne di origini friulane, e mi sono accorto di aver scelto la persona giusta, poiché poco dopo, quando si è fatta avanti la giornalista del Gazzettino, è stato chiamato proprio lui a rispondere.
Sandro mi ha sparato subito una notizia bomba: nel corso della prima edizione del Palio di Feltre, comune medievale in provincia di Belluno presso cui ci siamo trovati domenica 5 agosto, morì un fantino.
Normalmente a morire sono i cavalli e se muore un fantino, giornalisticamente parlando, sarebbe come se un uomo mordesse un cane. Finisce in prima pagina.
Purtroppo, né i due agenti della Digos, né il vigile urbano da me interpellati, hanno saputo darmi conferma di un simile evento e nemmeno sul sito ufficiale del Palio risulta una cosa del genere.
Posso capire che sul sito del Palio non si voglia menzionare un tale fatto, ma che nessuno si ricordi un evento tragico accaduto nel 1979, mi sembra strano, per cui tale notizia va presa con beneficio d’inventario.
Forse avrei dovuto chiederlo a quei due attempati signori che guardavano le sfilate dei figuranti in costume dal terrazzino di casa, con tanto di cappello d’alpino, di feltro, a Feltre. Massimo della devozione per il corpo degli alpini: tenere il cappello piumato in testa il 5 di agosto!
Appena arrivati sul luogo della manifestazione ci hanno messo nel recinto apposito, come avviene per esempio anche a Longarone.
E’ un po’ fastidioso perché ci trattano come belve feroci, con i passanti che ci manca poco ci gettino le noccioline.
Dal punto in cui eravamo non si vedeva il circuito, contornato da un terrapieno, ma si sentivano le parole dello speaker che faceva di tutto per esaltare le antiche origini del Palio, risalenti, a suo dire, al 1404.
Feltre in quell’anno passò sotto il dominio della Repubblica Serenissima e i notabili della città vollero ricordare tale evento con una corsa di cavalli, dal momento che le moto da cross non erano state ancora inventate.
Sandro mi ha fatto notare la distinzione tra i nobili e la plebe, che si rispecchiava anche nell’uso delle cavalcature. Ai nobili erano riservati i cavalli, alla plebe gli asini.
Al che gli ho fatto notare che tale distinzione si vede anche nella distribuzione della selvaggina: ai nobili la caccia a cavallo con balestre e archibugi, rivolta a cervi e cinghiali; alla plebe la cattura dei piccoli uccelli migratori, chiamata aucupio o uccellagione.
In Italia, in questo momento sono più numerose le corse degli asini, sia direttamente in groppa, sia con calessino, che non le corse dei cavalli.
Di queste ultime la più famosa è quella di Siena, seguita da quella di Asti, di Montagnana (PD) e, per l’appunto, di Feltre.
Poi in Sicilia la mafia fa correre i cavalli sull’asfalto, transennando illegalmente interi quartieri, ma quelli non sono palii, bensì corse finalizzate alle scommesse.
I cavalli, comunque, le zampe se le spezzano in tutti i casi, sia sull’asfalto che sulla sabbia.
Mi diceva Sandro che dopo la morte del fantino, nel 1979, il Palio di Feltre fu sospeso, per essere ripreso qualche anno più tardi.
Se non si sa nulla di preciso sulla morte del cavallerizzo, un dato però è certo: nel 2006 s’azzopparono due cavalli, Metz e Ghisellin, che furono subito soppressi.
Uno degli artefici di tale prodezza fu Alessandro Chiti, professionista senese che gira l’Italia offrendo le sue prestazioni e cavalcando a pelo. Un globetrotter delle piste, insomma.
A partire da tale data i 100 % Animalisti sono andati regolarmente a protestare a Feltre e nel 2010, a seguito di polemiche sui giornali, Stefano Antonelli, organizzatore, e Alessandro Chiti denunciarono gli animalisti, portandoli in tribunale.
L’Antonelli denunciò Paolo Mocavero per diffamazione e il Chiti il resto del gruppo per ingiurie. Nel primo processo, avvenuto nel 2011, Mocavero fu assolto, mentre l’altra causa fu archiviata per insufficienza di prove.
Di modo che – ennesimo esempio – chi denuncia gli abusi ai danni degli animali finisce in tribunale, mentre chi perpetra gli abusi stessi viene osannato dalla folla, onorato dalle autorità e invitato ai ricevimenti.
M’immagino il fantino Alessandro Chiti, che si siede a un’allegra tavolata a mangiare cinghiale arrosto con alla destra Asterix e alla sinistra Obelix.
E, se aveste visto sfilare i figuranti in costume, non avreste dovuto fare sforzi eccessivi per immaginare come poteva essere la vita seicento anni fa a Ferrara, a Firenze o anche a Feltre. Sfarzo per pochi privilegiati e miseria nera per le masse. Situazione verso cui stiamo tornando, in base alla regola dei corsi e ricorsi della Storia.
Non c’è che dire: un bello spettacolo! Un encomio alle sarte feltresi per l’impegno e la passione impiegati nel preparare quei bellissimi costumi. La nostra protesta, infatti, come anche Paolo Mocavero tra una parolaccia e l’altra ha voluto rimarcare, non è diretta alla celebrazione storica in sé, né ai tamburini e agli sventolatori di bandiera, ma a quelle teste prive di originalità che non trovano di meglio che far soffrire i cavalli per far divertire la gente. Per i molti bambini presenti, vedere lo sfruttamento dei cavalli è antieducativo, perché gli si insinua nella consapevolezza che l’uomo è padrone della Terra e può fare alle altre creature tutto ciò che più gli aggrada.
A me, i fantini che cavalcano i cavalli fanno venire in mente “Il pianeta delle scimmie”. Sarà perché sono abituato a vedere gli esseri umani come scimmie vestite.
Il signor Campana, fra le altre cose, mi ha fatto notare che in origine le corse del Palio venivano fatte a piedi, da esseri umani, forse perché i cavalli li avevano solo i ricchi e li usavano principalmente per la caccia e per la guerra.
Venuti meno entrambi gli usi, i cavalli si sono resi disponibili per le gare, quelle moderne negli ippodromi e quelle tradizionali nelle piazze delle città storiche.
Sembra che il doping sia generosamente elargito e anche se a Siena dicono di trattare benissimo i cavalli, nelle altre località il destino finale dei cavalli da Palio è il macello.
Per cui farli correre nelle arene è l’ultima forma di sfruttamento della loro vita sfortunata.
Con gli asini è la stessa cosa. Sandro mi diceva che a Terrossa Vicentina c’è un importatore che compra camionate d’asini dai paesi dell’est europeo, appositamente per farli correre una tantum nelle sagre di paese, come quella di Rovereto in Piano (PN), per esempio.
Poi, finita la festa, gabbato lo santo, gli asinelli terminano la loro carriera in un lurido mattatoio.
E meno male che la specie degli asini è in via d’estinzione!
Io me ne sono venuto via prima che i cavalli partissero, verso le 19.00, perché avevo più di due ore di moto per rientrare, ma posso
aggiungere che i cavalli in gara a Feltre erano otto, due per ciascuna contrada: Port’Oria, Castello, Santo Stefano e Duomo.
Il biglietto d’ingresso per entrare nello stadio era di otto euro e il signor Antonelli, il giorno dopo, ha orgogliosamente affermato di aver racimolato 35.000 euro. Le sarte ringraziano.
I cavalli no.
Se la celebrazione è stata ammirevole dal punto di vista culturale e storico, non si può dire che la corsa dei cavalli abbia contribuito a renderla perfetta. Anzi, va segnalata come una forma barbara di caduta di stile, se mai lo stile sia stato prerogativa di patrizi, plebei, arcieri, monaci e menestrelli vari.
Se la celebrazione di Feltre è solo su un gradino più in su di una volgare sagra venatoria, in stile strapaesano e pastasciuttaro ajo e ojo, si può dire che la rumorosa presenza dei 100 % Animalisti abbia aggiunto il peperoncino.
Chissà se agli organizzatori gli rimarrà sullo stomaco.
E chissà soprattutto se il messaggio è stato recepito.
In un piacevolissimo racconto è condensata la storia dell'umanità così come la conosciamo ovvero un avvicendamento di schiavitù e di padroni.
RispondiEliminaLa storia è un infinito ripetersi del rapporto schiavo-padrone sia con gli animali che con/tra gli umani. Una vita scandita da poteri che si intrecciano e si manifestano a danno delle maggioranze per il piacere di pochissimi privilegiati.
Comincio veramente a credere di essere il risultato di esperimenti di qualche ingegnere genetico alieno che si diverte a costruire macchinette (umanoisi) e poi a sfasciarle per farne altre.
Così, tanto pe cantà pe fa quarcosa.
Quella dell'ingegnere alieno pazzo è una sensazione che stiamo avendo un po' tutti, ultimamente.
Eliminacome diceva carletto, ogni progresso dell'umanità è stato fatto a danno di qualcuno. l'antropofagia è stata sostituita dallo schiavismo, la schiavitù dai servi della gleba, etc.
RispondiEliminala donna è sempre stata sfruttata dall'uomo, a qualsiasi classe appartenga. ma gli altri Animali sono sempre stati sfruttati più di tutti (e con loro l'ambiente): con la caccia, l'allevamento, l'utilizzo nel lavoro o in guerra, la vivisezione...
per gli altri Animali il progresso ha portato solo aumento di sofferenza e morte - vedi gli allevamenti industriali attuali.
farli soffrire anche per il "divertimento" di pochi umani, poi, non ha nessuna giustificazione.
sandro campana
Grazie per la visita, Sandro!
EliminaCitazione:
"la donna è sempre stata sfruttata dall'uomo".
Sarà per questo che, al giorno d'oggi, si vendica. Ce le sta facendo pagare tutte!
Ciao