domenica 27 luglio 2014

Alla conquista della privacy


Tina sa da molti anni che per me è importante la privacy. Gli assembramenti mi mettono ansia e vado cercando continuamente la pace e il silenzio, dicendo, come Foscolo: “forse perché della fatal quiete tu sei l’imago, a me sì cara vieni, o sera!”. I malgasci poveri, che è praticamente una tautologia, non sanno cosa essa sia, o forse lo sanno ma hanno dovuto rinunciarvi da tempo, facendo sì che il concetto stesso di privacy, che quasi non ha il corrispettivo nella lingua italiana, se non forse “riservatezza”, scompaia dal loro ordine mentale delle cose. Tuttavia, il senso del pudore non è scomparso del tutto, poiché le donne che vanno al fiume a lavarsi sono coperte da ampi pareo, che non tolgono mai (vedasi foto di F. Spizzirri), e anche gli uomini evitano di spogliarsi totalmente. Solo i bambini piccoli sguazzano nell’acqua di fiumi e canalette d’irrigazione nella loro spontanea e ingenua nudità. Ma per noi bianchi è diverso. Per i giapponesi lo è ancora di più e degli arabi e delle loro donne velate non occorre neanche parlarne.

 




Di fatto, poiché ho scelto di andare a vivere a casa di Tina, con inquilini in affitto e il suo fratellastro Zainoly, con la fidanzata, che vivono in casette attigue nello stesso cortile, ho dovuto adattarmi a usare la stessa latrina comune e la stessa doccia all’aperto, sotto i banani. La porta di quest’ultima è fatta di lamiera, come tutto il resto, e l’interessato in procinto di lavarsi se la tira dietro appoggiandola sull’entrata, lasciando però ampie fessure tra essa e il resto della struttura. 



Per tale ragione, conoscendo le mie esigenze, Tina ha comprato una tela di plastica e, insieme a Sandra, la nostra attuale donna delle pulizie, l’ha premurosamente sistemata sull’ingresso della doccia, fissandola con del filo di ferro. In caso di vento, stante la leggerezza del telo, mi ha spiegato come tenerla ferma con un bastoncino, di modo che non svolazzi lasciando vedere il corpo bianchiccio e repellente, quasi cadaverico, del vazaha agli inquilini e alla loro figlioletta, già per altri versi un po’ scocciati di veder invaso il loro territorio da uno sconosciuto, benché marito della padrona di casa. Svolte le funzioni corporali mattutine e la seguente doccia con l’acqua scaldata sulla fatapera e miscelata con quella fredda fino a raggiungere la temperatura corporea di 37 gradi, sono pronto per affrontare il mondo. A dire il vero, ho ancora qualche difficoltà di coordinazione motoria nel momento in cui mi devo versare l’acqua addosso con una tazza di plastica e contemporaneamente insaponarmi. Per tale operazione ci vorrebbero tre mani, oppure il telefono della doccia fissato in alto come in tutte le docce che si rispettino. Ma, come si suol dire, non si può avere tutto dalla vita. Insegnamento che i malgasci apprendono fin da piccoli.

Tirar su l’acqua dal pozzo non è difficile. Basta aspettare che il secchio affondi completamente, prima di tirarlo su. Solo bisogna stare attenti a non lasciarsi scappare la corda, altrimenti è necessario che qualcuno scenda a recuperare il tutto. Anni fa abitavo nello stesso cortile e prendevo acqua da quello stesso pozzo. La volta in cui si è reso necessario togliere la sabbia che si era accumulata sul fondo, abbiamo chiamato un ragazzo esperto, che si è calato senza scala, facendo pressione con mani e piedi sulle pareti interne, come fanno gli alpinisti quando scalano i cosiddetti camini. Poi riempiva, di sabbia, il secchio che noi gli calavamo e dopo diverse operazioni di questo tipo l’acqua ritornava ben presto limpida. Ho sentito dire che nell’emisfero nord del mondo, la presenza di pesci nei pozzi testimonia la purezza dell’acqua, ma qui in Madagascar gli unici animali che frequentino i pozzi sono le tsaboketra, le ranocchie, sia al loro interno, che all’esterno, nelle immediate vicinanze. Di sera fanno un suggestivo concerto, oltre che un gran baccano, ma è difficile vederle perché stanno nascoste sotto la molle terra che circonda il pozzo. 

Infine, una gradevole sorpresa. Tutte le volte che sono venuto in Madagascar l’ho fatto per cercare animali da fotografare, ma fino a questo momento, in questo mio decimo viaggio nella grande isola, non sono andato in mezzo alla natura e se escludiamo le blatte che la sera girano sulle pareti interne della latrina, non ho visto fauna che mi abbia particolarmente emozionato. Però il proverbio dice che se la montagna non va a Maometto, Maometto va alla montagna e nei giorni scorsi quattro piccioni sono atterrati nel cortiletto alla ricerca del riso avanzato e gettato in un angolo. La loro vista, unitamente alla loro confidenza - animali sinantropi per eccellenza - mi ha rallegrato. Anch’essi, come milioni di altre creature, tutte le mattine si mettono a correre, come la famosa gazzella nella savana. Anch’essi, come dicono in Sicilia, “ammutta muddica”, spingono la mollichina, cioè si danno da fare a trovare – con loro è proprio il caso di dirlo – il becchime.

2 commenti:

  1. Ciao Roberto
    Buona permanenza e continua a raccontare. Ciao

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    1. Grazie Gianni!

      Mi fa piacere ricevere auguri, perché i malgasci, come avrai capito, sono snervanti.

      :-)

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