Tina sa da molti anni che per me è importante la privacy. Gli assembramenti mi
mettono ansia e vado cercando continuamente la pace e il silenzio, dicendo,
come Foscolo: “forse perché della fatal quiete tu sei l’imago, a me sì cara
vieni, o sera!”. I malgasci poveri, che è praticamente una tautologia, non
sanno cosa essa sia, o forse lo sanno ma hanno dovuto rinunciarvi da tempo,
facendo sì che il concetto stesso di privacy, che quasi non ha il corrispettivo
nella lingua italiana, se non forse “riservatezza”, scompaia dal loro ordine
mentale delle cose. Tuttavia, il senso del pudore non è scomparso del tutto,
poiché le donne che vanno al fiume a lavarsi sono coperte da ampi pareo, che
non tolgono mai (vedasi foto di F. Spizzirri), e anche gli uomini evitano di
spogliarsi totalmente. Solo i bambini piccoli sguazzano nell’acqua di fiumi e
canalette d’irrigazione nella loro spontanea e ingenua nudità. Ma per noi
bianchi è diverso. Per i giapponesi lo è ancora di più e degli arabi e delle
loro donne velate non occorre neanche parlarne.
Di fatto, poiché ho scelto di andare a vivere a casa di Tina, con inquilini in
affitto e il suo fratellastro Zainoly, con la fidanzata, che vivono in casette
attigue nello stesso cortile, ho dovuto adattarmi a usare la stessa latrina
comune e la stessa doccia all’aperto, sotto i banani. La porta di quest’ultima
è fatta di lamiera, come tutto il resto, e l’interessato in procinto di lavarsi
se la tira dietro appoggiandola sull’entrata, lasciando però ampie fessure tra
essa e il resto della struttura.
Per tale ragione, conoscendo le mie esigenze, Tina ha comprato una tela di
plastica e, insieme a Sandra, la nostra attuale donna delle pulizie, l’ha
premurosamente sistemata sull’ingresso della doccia, fissandola con del filo di
ferro. In caso di vento, stante la leggerezza del telo, mi ha spiegato come
tenerla ferma con un bastoncino, di modo che non svolazzi lasciando vedere il
corpo bianchiccio e repellente, quasi cadaverico, del vazaha agli inquilini e alla loro figlioletta, già per
altri versi un po’ scocciati di veder invaso il loro territorio da uno
sconosciuto, benché marito della padrona di casa. Svolte le funzioni corporali
mattutine e la seguente doccia con l’acqua scaldata sulla fatapera e miscelata con quella fredda fino a raggiungere la
temperatura corporea di 37 gradi, sono pronto per affrontare il mondo. A dire
il vero, ho ancora qualche difficoltà di coordinazione motoria nel momento in
cui mi devo versare l’acqua addosso con una tazza di plastica e
contemporaneamente insaponarmi. Per tale operazione ci vorrebbero tre mani,
oppure il telefono della doccia fissato in alto come in tutte le docce che si
rispettino. Ma, come si suol dire, non si può avere tutto dalla vita. Insegnamento
che i malgasci apprendono fin da piccoli.
Tirar su l’acqua dal pozzo non è difficile. Basta aspettare che il secchio
affondi completamente, prima di tirarlo su. Solo bisogna stare attenti a non
lasciarsi scappare la corda, altrimenti è necessario che qualcuno scenda a
recuperare il tutto. Anni fa abitavo nello stesso cortile e prendevo acqua da
quello stesso pozzo. La volta in cui si è reso necessario togliere la sabbia
che si era accumulata sul fondo, abbiamo chiamato un ragazzo esperto, che si è
calato senza scala, facendo pressione con mani e piedi sulle pareti interne,
come fanno gli alpinisti quando scalano i cosiddetti camini. Poi riempiva, di
sabbia, il secchio che noi gli calavamo e dopo diverse operazioni di questo
tipo l’acqua ritornava ben presto limpida. Ho sentito dire che nell’emisfero
nord del mondo, la presenza di pesci nei pozzi testimonia la purezza
dell’acqua, ma qui in Madagascar gli unici animali che frequentino i pozzi sono
le tsaboketra, le ranocchie, sia
al loro interno, che all’esterno, nelle immediate vicinanze. Di sera fanno un
suggestivo concerto, oltre che un gran baccano, ma è difficile vederle perché
stanno nascoste sotto la molle terra che circonda il pozzo.
Infine, una gradevole sorpresa. Tutte le volte che sono venuto in Madagascar
l’ho fatto per cercare animali da fotografare, ma fino a questo momento, in
questo mio decimo viaggio nella grande isola, non sono andato in mezzo alla
natura e se escludiamo le blatte che la sera girano sulle pareti interne della
latrina, non ho visto fauna che mi abbia particolarmente emozionato. Però il
proverbio dice che se la montagna non va a Maometto, Maometto va alla montagna
e nei giorni scorsi quattro piccioni sono atterrati nel cortiletto alla ricerca
del riso avanzato e gettato in un angolo. La loro vista, unitamente alla loro
confidenza - animali sinantropi per eccellenza - mi ha rallegrato. Anch’essi,
come milioni di altre creature, tutte le mattine si mettono a correre, come la
famosa gazzella nella savana. Anch’essi, come dicono in Sicilia, “ammutta
muddica”, spingono la mollichina,
cioè si danno da fare a trovare – con loro è proprio il caso di dirlo – il
becchime.
Ciao Roberto
RispondiEliminaBuona permanenza e continua a raccontare. Ciao
Grazie Gianni!
EliminaMi fa piacere ricevere auguri, perché i malgasci, come avrai capito, sono snervanti.
:-)