venerdì 15 agosto 2014

Come è andata realmente

 
Testo e foto di Melania Conte

[N.d.R. Prima di affrontare la lettura del seguente resoconto, è necessario leggere QUESTO]

Non mi è mai piaciuto fare polemica [dal greco polemos= guerra] ma dare risposte congrue e corrispondenti al vero, sì, mi piace tanto quanto la vita che stiamo conducendo qui in Madagascar, esattamente nella brousse, a Beravy, io ed il mio compagno [da qualcuno definito ‘moroso’, termine tipicamente dialettale, precisamente veneto e poco italiano]. Risposte a chi? A chi scrive illazioni utilizzando il mezzo di comunicazione attualmente più potente, internet. Non si combatte con armi impari, sarebbe un atto di vigliaccheria e meschinità, dunque userò la stessa ‘arma’, lo stesso mezzo, cioè internet. E non mi limiterò a scrivere e a mettere in rete parole non corrispondenti alla verità, no.


Scriverò supportando le mie parole ad immagini reali e mi servirò di facebook e della sua funzione di ‘memoria collettiva’. Il ruolo di Facebook è noto a tutti ed è stato tanto elogiato quanto criticato, in effetti ciò che si pubblica in questo social network resta. Facebook dunque è la forma moderna dell’antico adagio latino : “verba volant, scripta manent”.
Da antropologa quale sono ho sempre amato leggere e studiare il comportamento dell’uomo, l’animale più disadattato e contraddittorio che ci sia, incapace di esprimersi pur avendo a disposizione il linguaggio, complesso sistema di simboli e forme. Nietzsche diceva bene che il linguaggio, ovvero il logos, è ciò che ha rovinato l’uomo, invece di salvarlo o completarlo. Mai come oggi mi risulta efficace questo suo aforisma nel pensare a ciò che i miei occhi hanno letto e che mi portano a scrivere quanto segue. Cercherò di essere sintetica e di evitare giudizi di valore, cercherò cioè di far ‘parlare’ le cose, ovvero gli eventi, tali quali si sono svolti.

L’incipit è questo: ricordo una giornata di inizio maggio in cui quattro giovani, due coppie provenienti dall’Italia, con un bagaglio di zaino ed entusiasmo, voglia di cambiare la propria vita e dare un sensibile contributo a quella dei malgasci, dopo mesi interi passati a fantasticare su cosa avrebbero potuto fare una volta raggiunto il Madagascar, partono da Tulear con due renault 4 alla volta di Beravy.
Beravy? Si, quel  villaggio a 17 km da Tulear in cui mio padre aveva comprato e costruito un piccolo ristorante con annessa casa, pozzo e cinque bungalows in muratura.
Nei mesi di gennaio, febbraio e marzo ci sono stati diversi incontri tra mio padre e i tre acquirenti di una porzione di questo terreno ed altrettanti incontri tra me, il mio compagno [facente parte dei  tre acquirenti] e l’altra coppia, Gianluigi ‘Gigi’ Colapietra ed Aurora Giordano.

[la risposta che segue alle falsità divulgate in internet non si serve della tecnica puerile di fare nomi e cognomi per poi aggiungere la specificazione “nomi di fantasia”. No. I nomi e cognomi da me scritti sono di persone realmente esistenti. Io mi chiamo Melania Conte, mio padre Vittorio Conte ed il mio compagno Andrea Carmine Spagnuolo. Noi ci mettiamo la faccia!]
La prima serie di incontri, quelli tra mio padre e i tre, era finalizzata ad un acquisto. Allegherò il contratto con la mappatura e le diciture, non di fantasia, di quanto acquistato ed accettato nel contratto dalle parti. Nel contratto non si parla di ristorante ben avviato e di una casa in stile europeo, bensì di un rustico da completare, di un container con antistante tettoia [seguiranno foto, perché parlare male senza visionare la struttura è diffamatorio. Vedrete dalle foto che l’antistante tettoia, in vondro e legno, è circondato da mura e munito di bancone in legno, tavoli, sedie, forno a legna, legnaia e bagno di servizio].

Viva meraviglia ha suscitato il leggere di due persone adulte, “sprovviste ed ingenue”, nonché “raggirate” dal “terribile” Vittorio Conte e, in seguito, dai “terribili” connazionali Melania Conte ed Andrea Spagnuolo!
Forse non erano capaci di intendere e volere, oltre che di comprendere l’italiano, una volta letto e sottoscritto il contratto? Sono stati forse minacciati quando hanno pagato in contanti la cifra richiesta, 5.000 euro pro capite? Nella suddetta cifra vi erano inclusi anche costi per ottenere una residenza ed un contratto di lavoro, RIFIUTATI dai due, Gianluigi ‘Gigi’ Colapietra ed Aurora Giordano [seguirà copia dei messaggi scambiati tra me e Gianluigi in cui egli scrive di non essere più interessato alle pratiche di residenza e di essersene andato da Beravy per motivi personali].
Ho letto che i due parlano di una vendita non corrispondente al  vero, cioè parlano di una truffa, senza mai usare questa parola. Io la uso, invece, perché so per certo che non vi è alcuna truffa in atto e continuo ad esporvi i fatti così come essi si sono svolti.
Nei vari incontri finalizzati alla vendita ed alla consulenza per ottenere residenza e contratto di lavoro [è solo grazie ad un contratto di stage effettuato da mio padre a noi 4 che siamo riusciti ad avere un visto valido sei mesi  dall’ambasciata di Roma, cosa obbligatoria per chi si reca in Madagascar non per turismo] mio padre non ha mai parlato di ristorante “ben avviato” e ricordo ancora quando, sentendo parlare Gianluigi di ‘meringhe colorate’ ed altre prelibatezze tipicamente italiane, lui diede un consiglio pratico e cioè di puntare alle pizze e a piatti semplici.

Mio padre ha sempre parlato della struttura come sita su una strada “molto trafficata da taxibrousse e da auto private” [cosa corrispondente al  vero essendo l’unica strada che consente di raggiungere le località di Ifaty e Mangily] e ci ha raccontato la sua esperienza come ristoratore nonché venditore, per i locali, di tranci di pizza a bordo strada.
Non ha mai sostenuto che il ristorante fosse ben avviato, né così poteva essere, essendo lui ritornato in Italia dal 2010. Un ristorante è ben avviato quando è ancora attivo e non solo. Questo ristorante-pizzeria è stato un ‘hobby’ per mio padre, pensionato e allora innamorato di una donna malgascia. Apriva senza orari o giorni fissi, spesso era in giro a godersi le bellezze del paese e ha sempre raccontato queste cose a noi quattro, aggiungendo che ovviamente la struttura andava ripristinata, essendo abbandonata da ben 4 anni, ma funzionante nel suo complesso a livello di impianti elettrici e di struttura.
Noi quattro non prestammo attenzione più di tanto ai suoi consigli perché da mesi, da gennaio per l’esattezza, parlavamo di voler creare nella suddetta struttura, un campo di volontariato finalizzato all’interscambio culturale tra i volontari ed i Vezo, popolazione locale, nonché alla salvaguardia ambientale e alla sensibilizzazione dei malgasci in materia di ecologia e natura.

Io sapevo da tempo che mio padre avrebbe voluto donarmi i bungalows e parte del terreno ed ho sempre detto ai tre di voler mettere a disposizione il tutto per concretizzare il nostro grande progetto.
Ho creato un’associazione onlus in Italia ed avviato le pratiche per un’altra associazione con sede a Londra.
Eravamo tutti e quattro d’accordo nel dirci che, una volta in Madagascar, non avremmo certo fatto i ristoratori a tempo pieno, “il gioco non valeva la candela” ci ripetevamo, né abbiamo mai parlato di business o di “fare soldi”. In Italia eravamo quattro idealisti e sognatori, appena messo piede in terra malgascia Gianluigi ha cominciato a parlare di “trovare il modo di fare soldi”. Qualcosa iniziava a vacillare. E le nostre idee sulla sostenibilità? Sul vivere sereni e con poco? Sul condurre una vita selvaggia? Sul dare la possibilità a giovani e meno giovani di tutto il mondo, di venire a stare qui e con pochi soldi vivere un’esperienza unica a contatto con il mare e i suoi pescatori? Ci sono associazioni che chiedono una cifra enorme per poter partecipare a campi del genere. La nostra idea era [ed è ancora, per quanto riguarda me ed Andrea] di coinvolgere più persone possibili in questo progetto e del ristorante non ci è mai interessato, se non come struttura per dare da mangiare agli eventuali ospiti. Ho specificato del progetto perché a leggere quelle illazioni se ne deduce che Gianluigi ‘Gigi’ ed Aurora siano rimasti delusi nella loro aspettativa di aprire un ristorante ben avviato. Nulla di più infondato.

Continuerò ora a raccontare del nostro arrivo qui a Beravy, delle due volte che siamo venuti, noi quattro e mio padre, a visionare struttura e contenuto del container, e della decisione di venirci a vivere [Gianluigi ‘Gigi’ ed Aurora per un mese, noi  continuiamo a vivere qui] oltre che di iniziare dei lavori di ristrutturazione della casa. La prima volta era inizio maggio, lo ricordo. A bordo di due sgangheratissime Renault 4 arrivammo a Beravy. Il guardiano aprì il cancello e ci meravigliammo positivamente di vedere quanto verde ci fosse, alberi alti, tre baobab, un bouganville e un imponente oleandro, oltre a varie aloe endemiche del Madagascar, cactus ed altre. Gianluigi ‘Gigi’ fu il primo a rompere il lucchetto del container e a sfondare la porta della casa [bastava essere un po’ meno impetuosi ed entrare dalla finestra accanto alla porta, evitando di rompere inutilmente una serratura]. L’intenzione era di verificare cosa contenesse il container.
All’interno giacevano chiaramente impolverati centinaia di piatti, posate, decine di bicchieri e stoviglie varie, una cucina a gas con tre fornelli, quattro piccoli pannelli solari, quattro materassi matrimoniali, due pompe dell’acqua per il pozzo, due bidoni da 250 lt, un’autoclave e vario materiale lasciato da mio padre nel momento della sua partenza. Tutto questo non era assolutamente riportato nel contratto che seguirà.

All’interno della casa invece trovammo un letto matrimoniale con doghe in legno, cinque tavoli da due, un tavolo rotondo grande, svariate sedie, comodini, sgabelli, una scrivania, due piccole librerie, tutto rigorosamente in palissandro, quattro zanzariere nuove, tovaglie, asciugamani e cuscini.
Nell’aprire i bungalows trovammo ben altri quattro letti matrimoniali oltre a materiale vario che ci sarebbe tornato utile per la ristrutturazione [sabbia, mattoni, mattonelle, seghe, cazzuole, tenaglie, martelli].
Nel definire i futuri  confini mio padre diede a Gianluigi ‘Gigi’ la possibilità di scelta: poteva definire un rettangolo intorno alla proprietà acquistata insieme a noi tre, includendo anche una porzione di terreno adiacente alla casa ove creare un piccolo giardino, oppure definire un quadrato, includendo nella proprietà acquistata anche metà del cancello. Io, avendo ricevuto in donazione da mio padre il terreno che dai bungalows continuava fino all’entrata, consigliai Gianluigi “Gigi” di lasciar perdere l’ingresso, mettendo io a disposizione la mia parte di terreno che lo comprendeva, prendendo quella porzione di terra adiacente alla casa per poterne ricavare un giardino o altro.
Quella fu la prima visita al posto, alla quale ne seguì un’altra esattamente un mese dopo, i primi di giugno.

Intanto noi quattro andavamo a vivere a Tulear per un mese, affittando due bungalows in città, continuando a parlare per giorni e sere dei nostri progetti una volta stabilitici a Beravy.
Comuni erano i commenti su una città “sul mare ma senza mare”, può sembrare paradossale come descrizione ma non lo è. Tulear non ha lungomare praticabile, se di pratiche si vuol parlare bisogna far riferimento ai numerosi vazaha [bianchi] ultrasessantenni che scelgono questa città non certo per le spiagge ma per altri motivi. Sostanzialmente tre: 1) costo della vita bassissimo, cibo di ottima qualità e privo di conservanti ed affitti irrisori, con la possibilità di avere del personale alle proprie dipendenze a meno di un euro al giorno [operai, cuochi, cameriere, badanti]
2) costo della f**a bassissimo, cioè possibilità per tanti pensionati e non, di avere a fianco una o più donne molto più giovani e inizialmente molto meno esigenti delle europee [con il tempo il vazaha ‘fidanzato’ scoprirà di aver stabilito una relazione non soltanto con la donna ma con l’intera famiglia della stessa].
3) continuazione di quel colonialismo formalmente terminato storicamente con l’indipendenza dalla Francia in data 1960, ma tuttora esistente, che consiste nel trattare da inferiori i malgasci, sfruttarne le risorse del paese, collezionare come ‘trofei’ persone [le bellissime donne malgasce] ed animali [lemuri, camaleonti. A tal proposito abbiamo un esempio lampante a Tulear, già citato nel blog della persona che ha riferito fatti non reali in questo caso, ma che seguivo già con interesse ed ammirazione, per le sue precise cronache giornaliere su questo paese. Un blogger molto bravo, che già una volta ha scritto della persona che sto per nominare. La persona è Aimone del Ponte, ex macellaio, che oggi non uccide più animali per poterli vendere, ma li rinchiude in gabbia vivi, nel suo personalissimo zoo, per poterli far ammirare ai suoi amici quando vanno a trovarlo. Vi sono tartarughe ammassate in gabbie minuscole, lemuri sempre in gabbia e malnutriti, a breve magari riuscirà anche a sfoggiare un fossa. Ce lo auguriamo così la sua collezione privata aumenterà di numero e valore].

E ritorno con la memoria a quel mese passato nella brutta Tulear, città di vecchi bavosi alle prese con ragazzine, così commentavamo noi quattro aggirandoci per strade e mercati.
Soddisfatti eravamo poi dei nostri acquisti di materiali finalizzati alla ristrutturazione, nonché del generatore acquistato dopo vari preventivi e di tutto quello che avevamo trovato a Beravy che ci avrebbe sgravato della spesa ulteriore e del trasposto dalla città alla brousse di eventuali letti, materassi ed  altro materiale trovato intatto nella struttura.
Eccoci alla terza e definitiva trasferta da Tulear a Beravy [la prima a inizio maggio, la seconda a inizio giugno, la terza in data 07/06/14].
Qui le foto parleranno da sole, saranno i vostri occhi a leggere malcontento oppure gioia nei volti. Leggerete commenti con date precise fatte dalle stesse persone delle quali il curatore del blog si è prodigato a raccontarne la storia, o la favola, a seconda se si fa riferimento a fatti oggettivi oppure a spunti fantasiosi.
Per un mese esatto, dal 7 giugno al 7 luglio Gianluigi “Gigi” ed Aurora hanno abitato a Beravy, in uno dei bungalows, avendo iniziato nella casa in comune lavori di ristrutturazione, volti a ricavare dall’unica casa due strutture abitative, in cui Gianluigi “Gigi” ha personalmente contribuito a dare consigli ai muratori e ha seguito i lavori giorno dopo giorno.

Lapalissiana a questo punto la domanda: se a me non piace un posto e mi sento preso in giro vi resto a vivere un mese dopo averlo visionato ben tre volte? Ne prendo possesso impegnandomi ad acquistare materiale e ad ingaggiare manodopera locale? Mostro sorrisi smaglianti all’obiettivo? Commento su Facebook che questa casa “è la nostra, la vostra, aperta a chiunque voglia vivere un’esperienza fuori dai soliti circuiti, fatta di strade un po’ dissestate ma di stelle mozzafiato e di sorrisi di bambini meravigliosi”??
Se di inganno si vuol parlare, potrei dire che io e il mio compagno ci sentiamo ingannati da una serie di discorsi fatti nei mesi precedenti al nostro arrivo in Madagascar, a cui ne sono seguiti altri fatti durante la nostra permanenza a Tulear, ulteriormente seguiti da parole ed azioni concrete [ripeto, le foto parleranno da sole] durante la coabitazione dei quattro qui a Beravy. Coabitazione che, sempre a detta dei due, anzi di Gianluigi “Gigi”, in una serie di messaggi scambiati su facebook e che riporterò qui, sembra essere la chiave dell’insuccesso del progetto non ancora sviluppatosi e della sospensione dei lavori da parte loro e della dipartita verso Tulear, la città prima tanto criticata e all’improvviso ritornata a splendere sotto un sole e una luce diversa. Siamo umani, si sa, cambiare idea è lecito e possibile. Bisogna però assumersi le responsabilità dei propri atti ed evitare di descriversi agli altri come i personaggi di una favola.
Qui non c’è nessun Cappuccetto Rosso e nessun lupo. Nessun lupo travestito da agnello.
Forse c’era l’intenzione da parte dei due di prendere possesso di casa, ristorante e terreno con i bungalows, visto che quando ho specificato per la prima volta le rispettive proprietà, aggiungendo inoltre che io avrei messo a disposizione per il progetto tutta la mia parte, ho intuito del malcontento, mai chiaramente espresso, ma ben visibile da atteggiamenti che evito di descrivere e che hanno portato a questa versione distorta data in pasto a terzi affinché ne uscisse un bellissimo racconto, ben scritto davvero, ma non reale.
La mia è una supposizione malevola, ma che trova riscontro nei commenti scritti mesi fa su facebook in cui Gianluigi “Gigi” Colapietra scriveva di recarsi in Madagascar a gestire un resort. Parole mai usate dal mio compagno né da me.
Dopo venti anni di amicizia tra Gianluigi ‘Gigi’ ed Andrea si era arrivati all’accordo, sigillato da una stretta di mano [che in molti casi vale più di cento parole scritte] di acquisire la parte da loro rifiutata in modo arbitrario. Gianluigi “Gigi” ed Aurora sono andati via da Beravy, dopo un mese di lavori in atto, sostenendo di non essere portati per la vita di gruppo, cosa che non ha nulla a che vedere con una ipotetica truffa o delusione. La delusione la si dimostra subito, non dopo aver iniziato dei lavori e fatto spendere dei soldi anche a noi, Melania ed Andrea.

Troppo comodo e immaturo raccontare di una disavventura.
Dovremmo forse fare lo stesso anche noi? Parlare come cani bastonati delle nostre difficoltà economiche e degli inutili sprechi di materiali e soldi buttati per far fronte a spese di comune accordo fatte in quattro? Con un po’ di serietà e chiarezza mentale si sarebbe evitato di iniziare qualsiasi lavoro, i due avrebbero raccontato quello che comunque hanno raccontato e noi vivremmo come viviamo senza avere due case non finite. Cosa dovremmo fare noi? Innanzitutto denunciare chi diffama, chiedere i danni a chi non è stato adempiente ad un contratto? [contratto assolutamente valido e letto e riletto più volte. La legge non ammette ignoranza. Il contratto invece ammette la possibilità di un rimborso in caso di impossibilità di conseguire la proprietà in questione]. Ci sentiamo presi in giro da tutta questa faccenda per il semplice fatto che io ed Andrea abbiamo mollato l’Italia perché convinti di creare qui una nuova vita fatta di scambi culturali e di aiuti ai bambini locali e alla popolazione in genere e veniamo a scoprire, dopo tutti i sacrifici fatti, che due persone che da mesi parlavano con entusiasmo di aderire a questa nuova vita, sicuramente inizialmente non facile, volevano in realtà aprire un’attività commerciale? E tutte quelle cene fatte in Italia a parlare di portare medicine e vestiti ai bimbi? Di sensibilizzare le persone all’ambiente e alla tutela delle risorse immense del Madagascar? Del mettere ognuno le proprie competenze per far sì che il progetto prendesse forma? Io avrei messo a disposizione le mie precedenti esperienze svolte presso diverse associazioni in tutta Europa, nonché le lingue parlate, tre per l’esattezza. Andrea in qualità di informatico esperto avrebbe creato un sito ad hoc e pensato a diffonderlo in rete, sfruttando le reciproche conoscenze. Aurora in qualità di infermiera si sarebbe prodigata ad aiutare il prossimo. Gianluigi “Gigi” Colapietra, un OSS con aspirazioni mistiche parlava di fare meditazione in spiaggia e di abbandonare la vita materialistica per essere felici. A questo punto sul serio non comprendiamo bene il limite tra verità e menzogna. La verità, diceva Nietzsche, è che la verità cambia. Un conto è far circolare come veri messaggi sulla propria persona ed un conto è metterli in pratica. Parlare dell’Africa dall’Italia su un comodo divano e davanti un buon bicchiere di barolo chinato è facile, ancor più facile avere persone che ti riempiono di complimenti per la scelta coraggiosa. Diverso è viverci, in Africa, con i disagi dei mezzi di trasporto mai puntuali e spesso troppo pieni, vivere ogni giorno prendendo secchi d’acqua dal pozzo [nella descrizione ho dimenticato di dirvi che l’impianto elettrico è esistente e funzionante, le case sono tutte dotate di bagno all’occidentale, con wc, lavandino e doccia e tubi di scarico funzionanti, ma chiaramente vanno ripristinati e quindi nel mese di soggiorno dei due presso Beravy è stato quotidiano il disagio di affrontare la vita di cui tanto parlavano e desideravano, sempre secondo le loro parole, riscontrabili sui rispettivi profili per chi ha voglia, pazienza e molto tempo da perdere].

E’ troppo facile incolpare o, peggio ancora, diffamare qualcuno per l’incapacità di ammettere a se stessi e agli altri il proprio insuccesso. Siamo tutti guru con le comode pantofole calde ai piedi!
Andrea dopo aver letto il blog e la favola annessa ha deciso di non acquistare più il bene, come precedentemente detto all’ex amico Gianluigi “Gigi” Colapietra, che sicuramente saprà vendere a buon prezzo a qualche Karana interessato, avvalendosi magari dell’aiuto delle persone alle quali ha raccontato, omettendo quanto invece riportato qui fedelmente, come si siano svolti realmente i fatti.
Fine della cronistoria e inizio delle immagini e dei commenti, con date e riferimenti NON DI FANTASIA, per citare ironicamente chi si è preso la briga di mettere per iscritto una versione adulta del giochino del ‘telefono senza fili’.

11 commenti:

  1. Che storia! Mi viene in mente che c'è molta gente in giro che sa viaggiare solo con la fantasia. Quando, ci si ritrova all'atto pratico però, le cose tendono presto a cambiare. Le comodità del mondo occidentale prendono presto il sopravvento. E' il caso di dire: la vera libertà la si sente solo dentro, non è il caso di sbandierarla a profusione ai quattro venti.

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    1. L'essere umano è per sua natura inaffidabile.

      Siamo fortunati se nella nostra vita riusciamo a fare un tratto di strada assieme a un vero amico, finché il fatale destino non ci separa.

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  2. Il testo integrale completo di contratto, conversazioni private tra i protagonisti e foto (diverse da quelle pubblicate qui) sono state inviate al curatore del blog, anonimo. A me interessava raccontare gli eventi così come si sono svolti. Non credo cambi molto leggere il contratto, anonimo. Melania Conte

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    1. Non ti dare troppo pensiero degli anonimi, Melania!

      Ogni tanto arrivano dei Trolls anche qui, benché al momento io non stia parlando di ufologia o scie chimiche.

      La tua parola è più che sufficiente.

      :-)

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  3. Ho fatto una domanda. Ho ricevuto una risposta. Altro che troll. Buona giornata a tutti.

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  4. Fare business in Madagascar e' tanto intelligente come vendere il ghiaccio agli eschimesi. Ci sono persone così' povere, che l'unica cosa che hanno sono i soldi. (Cit.)

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    1. Giusto come si può pensare di fare soldi qui in madagscar !!

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    2. Qualcuno ci riesce.

      Da noi è il governo a tartassarci, mentre qui sono i funzionari governativi, i poliziotti e i ladri.

      E non saprei chi è peggio.

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    3. sono una dei protagonisti di questa storia, vorrei precisare che il precedente articolo scritto dal titolare di questo blog, è stato pubblicato in base a semplici "rumors" uditi in città di cui non è stata verificata la veridicità ed ovviamente senza la nostra autorizzazione. noi i diretti interessati eravamo all'oscuro di tutto, ciò non corrisponde al vero, e non intendiamo affrontare l'argomento in questo sede.

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