Testo
e foto di Melania Conte
[N.d.R.
Prima di affrontare la lettura del seguente resoconto, è necessario leggere
QUESTO]
Non
mi è mai piaciuto fare polemica [dal greco polemos= guerra] ma dare risposte
congrue e corrispondenti al vero, sì, mi piace tanto quanto la vita che stiamo
conducendo qui in Madagascar, esattamente nella brousse, a Beravy, io ed il mio compagno [da qualcuno
definito ‘moroso’, termine tipicamente dialettale, precisamente veneto e poco
italiano]. Risposte a chi? A chi scrive illazioni utilizzando il mezzo di
comunicazione attualmente più potente, internet. Non si combatte con armi
impari, sarebbe un atto di vigliaccheria e meschinità, dunque userò la stessa
‘arma’, lo stesso mezzo, cioè internet. E non mi limiterò a scrivere e a
mettere in rete parole non corrispondenti alla verità, no.
Scriverò
supportando le mie parole ad immagini reali e mi servirò di facebook e della
sua funzione di ‘memoria collettiva’. Il ruolo di Facebook è noto a tutti ed è
stato tanto elogiato quanto criticato, in effetti ciò che si pubblica in questo
social network resta. Facebook dunque è la forma moderna dell’antico adagio
latino : “verba volant, scripta manent”.
Da
antropologa quale sono ho sempre amato leggere e studiare il comportamento
dell’uomo, l’animale più disadattato e contraddittorio che ci sia, incapace di
esprimersi pur avendo a disposizione il linguaggio, complesso sistema di
simboli e forme. Nietzsche diceva bene che il linguaggio, ovvero il logos, è
ciò che ha rovinato l’uomo, invece di salvarlo o completarlo. Mai come oggi mi
risulta efficace questo suo aforisma nel pensare a ciò che i miei occhi hanno
letto e che mi portano a scrivere quanto segue. Cercherò di essere sintetica e
di evitare giudizi di valore, cercherò cioè di far ‘parlare’ le cose, ovvero
gli eventi, tali quali si sono svolti.
L’incipit
è questo: ricordo una giornata di inizio maggio in cui quattro giovani, due
coppie provenienti dall’Italia, con un bagaglio di zaino ed entusiasmo, voglia
di cambiare la propria vita e dare un sensibile contributo a quella dei
malgasci, dopo mesi interi passati a fantasticare su cosa avrebbero potuto fare
una volta raggiunto il Madagascar, partono da Tulear con due renault 4 alla
volta di Beravy.
Beravy?
Si, quel villaggio a 17 km da
Tulear in cui mio padre aveva comprato e costruito un piccolo ristorante con
annessa casa, pozzo e cinque bungalows in muratura.
Nei
mesi di gennaio, febbraio e marzo ci sono stati diversi incontri tra mio padre
e i tre acquirenti di una porzione di questo terreno ed altrettanti incontri
tra me, il mio compagno [facente parte dei tre acquirenti] e l’altra coppia, Gianluigi ‘Gigi’ Colapietra
ed Aurora Giordano.
[la
risposta che segue alle falsità divulgate in internet non si serve della
tecnica puerile di fare nomi e cognomi per poi aggiungere la specificazione
“nomi di fantasia”. No. I nomi e cognomi da me scritti sono di persone
realmente esistenti. Io mi chiamo Melania Conte, mio padre Vittorio Conte ed il
mio compagno Andrea Carmine Spagnuolo. Noi ci mettiamo la faccia!]
La
prima serie di incontri, quelli tra mio padre e i tre, era finalizzata ad un
acquisto. Allegherò il contratto con la mappatura e le diciture, non di
fantasia, di quanto acquistato ed accettato nel contratto dalle parti. Nel
contratto non si parla di ristorante ben avviato e di una casa in stile
europeo, bensì di un rustico da completare, di un container con antistante
tettoia [seguiranno foto, perché parlare male senza visionare la struttura è
diffamatorio. Vedrete dalle foto che l’antistante tettoia, in vondro e legno, è circondato da mura e munito di bancone in
legno, tavoli, sedie, forno a legna, legnaia e bagno di servizio].
Viva
meraviglia ha suscitato il leggere di due persone adulte, “sprovviste ed
ingenue”, nonché “raggirate” dal “terribile” Vittorio Conte e, in seguito, dai
“terribili” connazionali Melania Conte ed Andrea Spagnuolo!
Forse
non erano capaci di intendere e volere, oltre che di comprendere l’italiano,
una volta letto e sottoscritto il contratto? Sono stati forse minacciati quando
hanno pagato in contanti la cifra richiesta, 5.000 euro pro capite? Nella
suddetta cifra vi erano inclusi anche costi per ottenere una residenza ed un
contratto di lavoro, RIFIUTATI dai due, Gianluigi ‘Gigi’ Colapietra ed Aurora
Giordano [seguirà copia dei messaggi scambiati tra me e Gianluigi in cui egli
scrive di non essere più interessato alle pratiche di residenza e di essersene
andato da Beravy per motivi personali].
Ho
letto che i due parlano di una vendita non corrispondente al vero, cioè parlano di una truffa, senza
mai usare questa parola. Io la uso, invece, perché so per certo che non vi è
alcuna truffa in atto e continuo ad esporvi i fatti così come essi si sono
svolti.
Nei
vari incontri finalizzati alla vendita ed alla consulenza per ottenere
residenza e contratto di lavoro [è solo grazie ad un contratto di stage
effettuato da mio padre a noi 4 che siamo riusciti ad avere un visto valido sei
mesi dall’ambasciata di Roma, cosa
obbligatoria per chi si reca in Madagascar non per turismo] mio padre non ha
mai parlato di ristorante “ben avviato” e ricordo ancora quando, sentendo
parlare Gianluigi di ‘meringhe colorate’ ed altre prelibatezze tipicamente
italiane, lui diede un consiglio pratico e cioè di puntare alle pizze e a
piatti semplici.
Mio
padre ha sempre parlato della struttura come sita su una strada “molto
trafficata da taxibrousse e da auto private” [cosa corrispondente al vero essendo l’unica strada che
consente di raggiungere le località di Ifaty e Mangily] e ci ha raccontato la
sua esperienza come ristoratore nonché venditore, per i locali, di tranci di
pizza a bordo strada.
Non
ha mai sostenuto che il ristorante fosse ben avviato, né così poteva essere,
essendo lui ritornato in Italia dal 2010. Un ristorante è ben avviato quando è
ancora attivo e non solo. Questo ristorante-pizzeria è stato un ‘hobby’ per mio
padre, pensionato e allora innamorato di una donna malgascia. Apriva senza
orari o giorni fissi, spesso era in giro a godersi le bellezze del paese e ha
sempre raccontato queste cose a noi quattro, aggiungendo che ovviamente la
struttura andava ripristinata, essendo abbandonata da ben 4 anni, ma
funzionante nel suo complesso a livello di impianti elettrici e di struttura.
Noi
quattro non prestammo attenzione più di tanto ai suoi consigli perché da mesi,
da gennaio per l’esattezza, parlavamo di voler creare nella suddetta struttura,
un campo di volontariato finalizzato all’interscambio culturale tra i volontari
ed i Vezo, popolazione locale, nonché alla salvaguardia ambientale e alla
sensibilizzazione dei malgasci in materia di ecologia e natura.
Io
sapevo da tempo che mio padre avrebbe voluto donarmi i bungalows e parte del
terreno ed ho sempre detto ai tre di voler mettere a disposizione il tutto per
concretizzare il nostro grande progetto.
Ho
creato un’associazione onlus in Italia ed avviato le pratiche per un’altra
associazione con sede a Londra.
Eravamo
tutti e quattro d’accordo nel dirci che, una volta in Madagascar, non avremmo
certo fatto i ristoratori a tempo pieno, “il gioco non valeva la candela” ci
ripetevamo, né abbiamo mai parlato di business o di “fare soldi”. In Italia
eravamo quattro idealisti e sognatori, appena messo piede in terra malgascia
Gianluigi ha cominciato a parlare di “trovare il modo di fare soldi”. Qualcosa
iniziava a vacillare. E le nostre idee sulla sostenibilità? Sul vivere sereni e
con poco? Sul condurre una vita selvaggia? Sul dare la possibilità a giovani e
meno giovani di tutto il mondo, di venire a stare qui e con pochi soldi vivere
un’esperienza unica a contatto con il mare e i suoi pescatori? Ci sono
associazioni che chiedono una cifra enorme per poter partecipare a campi del
genere. La nostra idea era [ed è ancora, per quanto riguarda me ed Andrea] di
coinvolgere più persone possibili in questo progetto e del ristorante non ci è
mai interessato, se non come struttura per dare da mangiare agli eventuali
ospiti. Ho specificato del progetto perché a leggere quelle illazioni se ne
deduce che Gianluigi ‘Gigi’ ed Aurora siano rimasti delusi nella loro
aspettativa di aprire un ristorante ben avviato. Nulla di più infondato.
Continuerò
ora a raccontare del nostro arrivo qui a Beravy, delle due volte che siamo
venuti, noi quattro e mio padre, a visionare struttura e contenuto del
container, e della decisione di venirci a vivere [Gianluigi ‘Gigi’ ed Aurora
per un mese, noi continuiamo a
vivere qui] oltre che di iniziare dei lavori di ristrutturazione della casa. La
prima volta era inizio maggio, lo ricordo. A bordo di due sgangheratissime
Renault 4 arrivammo a Beravy. Il guardiano aprì il cancello e ci meravigliammo
positivamente di vedere quanto verde ci fosse, alberi alti, tre baobab, un
bouganville e un imponente oleandro, oltre a varie aloe endemiche del
Madagascar, cactus ed altre. Gianluigi ‘Gigi’ fu il primo a rompere il
lucchetto del container e a sfondare la porta della casa [bastava essere un po’
meno impetuosi ed entrare dalla finestra accanto alla porta, evitando di
rompere inutilmente una serratura]. L’intenzione era di verificare cosa
contenesse il container.
All’interno
giacevano chiaramente impolverati centinaia di piatti, posate, decine di
bicchieri e stoviglie varie, una cucina a gas con tre fornelli, quattro piccoli
pannelli solari, quattro materassi matrimoniali, due pompe dell’acqua per il
pozzo, due bidoni da 250 lt, un’autoclave e vario materiale lasciato da mio
padre nel momento della sua partenza. Tutto questo non era assolutamente
riportato nel contratto che seguirà.
All’interno
della casa invece trovammo un letto matrimoniale con doghe in legno, cinque
tavoli da due, un tavolo rotondo grande, svariate sedie, comodini, sgabelli,
una scrivania, due piccole librerie, tutto rigorosamente in palissandro,
quattro zanzariere nuove, tovaglie, asciugamani e cuscini.
Nell’aprire
i bungalows trovammo ben altri quattro letti matrimoniali oltre a materiale
vario che ci sarebbe tornato utile per la ristrutturazione [sabbia, mattoni,
mattonelle, seghe, cazzuole, tenaglie, martelli].
Nel
definire i futuri confini mio
padre diede a Gianluigi ‘Gigi’ la possibilità di scelta: poteva definire un
rettangolo intorno alla proprietà acquistata insieme a noi tre, includendo
anche una porzione di terreno adiacente alla casa ove creare un piccolo
giardino, oppure definire un quadrato, includendo nella proprietà acquistata
anche metà del cancello. Io, avendo ricevuto in donazione da mio padre il
terreno che dai bungalows continuava fino all’entrata, consigliai Gianluigi
“Gigi” di lasciar perdere l’ingresso, mettendo io a disposizione la mia parte
di terreno che lo comprendeva, prendendo quella porzione di terra adiacente
alla casa per poterne ricavare un giardino o altro.
Quella
fu la prima visita al posto, alla quale ne seguì un’altra esattamente un mese
dopo, i primi di giugno.
Intanto
noi quattro andavamo a vivere a Tulear per un mese, affittando due bungalows in
città, continuando a parlare per giorni e sere dei nostri progetti una volta
stabilitici a Beravy.
Comuni
erano i commenti su una città “sul mare ma senza mare”, può sembrare
paradossale come descrizione ma non lo è. Tulear non ha lungomare praticabile,
se di pratiche si vuol parlare bisogna far riferimento ai numerosi vazaha
[bianchi] ultrasessantenni che scelgono questa città non certo per le spiagge
ma per altri motivi. Sostanzialmente tre: 1) costo della vita bassissimo, cibo
di ottima qualità e privo di conservanti ed affitti irrisori, con la
possibilità di avere del personale alle proprie dipendenze a meno di un euro al
giorno [operai, cuochi, cameriere, badanti]
2)
costo della f**a bassissimo, cioè possibilità per tanti pensionati e non, di
avere a fianco una o più donne molto più giovani e inizialmente molto meno
esigenti delle europee [con il tempo il vazaha ‘fidanzato’ scoprirà di aver
stabilito una relazione non soltanto con la donna ma con l’intera famiglia
della stessa].
3)
continuazione di quel colonialismo formalmente terminato storicamente con
l’indipendenza dalla Francia in data 1960, ma tuttora esistente, che consiste
nel trattare da inferiori i malgasci, sfruttarne le risorse del paese,
collezionare come ‘trofei’ persone [le bellissime donne malgasce] ed animali
[lemuri, camaleonti. A tal proposito abbiamo un esempio lampante a Tulear, già
citato nel blog della persona che ha riferito fatti non reali in questo caso,
ma che seguivo già con interesse ed ammirazione, per le sue precise cronache
giornaliere su questo paese. Un blogger molto bravo, che già una volta ha
scritto della persona che sto per nominare. La persona è Aimone del Ponte,
ex macellaio, che oggi non uccide più animali per poterli vendere, ma li
rinchiude in gabbia vivi, nel suo personalissimo zoo, per poterli far ammirare
ai suoi amici quando vanno a trovarlo. Vi sono tartarughe ammassate in gabbie
minuscole, lemuri sempre in gabbia e malnutriti, a breve magari riuscirà anche
a sfoggiare un fossa. Ce lo auguriamo così la sua collezione privata aumenterà
di numero e valore].
E
ritorno con la memoria a quel mese passato nella brutta Tulear, città di vecchi
bavosi alle prese con ragazzine, così commentavamo noi quattro aggirandoci per
strade e mercati.
Soddisfatti
eravamo poi dei nostri acquisti di materiali finalizzati alla ristrutturazione,
nonché del generatore acquistato dopo vari preventivi e di tutto quello che
avevamo trovato a Beravy che ci avrebbe sgravato della spesa ulteriore e del
trasposto dalla città alla brousse
di eventuali letti, materassi ed
altro materiale trovato intatto nella struttura.
Eccoci
alla terza e definitiva trasferta da Tulear a Beravy [la prima a inizio maggio,
la seconda a inizio giugno, la terza in data 07/06/14].
Qui
le foto parleranno da sole, saranno i vostri occhi a leggere malcontento oppure
gioia nei volti. Leggerete commenti con date precise fatte dalle stesse persone
delle quali il curatore del blog si è prodigato a raccontarne la storia, o la
favola, a seconda se si fa riferimento a fatti oggettivi oppure a spunti
fantasiosi.
Per
un mese esatto, dal 7 giugno al 7 luglio Gianluigi “Gigi” ed Aurora hanno abitato
a Beravy, in uno dei bungalows, avendo iniziato nella casa in comune lavori di
ristrutturazione, volti a ricavare dall’unica casa due strutture abitative, in
cui Gianluigi “Gigi” ha personalmente contribuito a dare consigli ai muratori e
ha seguito i lavori giorno dopo giorno.
Lapalissiana
a questo punto la domanda: se a me non piace un posto e mi sento preso in giro
vi resto a vivere un mese dopo averlo visionato ben tre volte? Ne prendo
possesso impegnandomi ad acquistare materiale e ad ingaggiare manodopera
locale? Mostro sorrisi smaglianti all’obiettivo? Commento su Facebook che
questa casa “è la nostra, la vostra, aperta a chiunque voglia vivere
un’esperienza fuori dai soliti circuiti, fatta di strade un po’ dissestate ma
di stelle mozzafiato e di sorrisi di bambini meravigliosi”??
Se
di inganno si vuol parlare, potrei dire che io e il mio compagno ci sentiamo
ingannati da una serie di discorsi fatti nei mesi precedenti al nostro arrivo
in Madagascar, a cui ne sono seguiti altri fatti durante la nostra permanenza a
Tulear, ulteriormente seguiti da parole ed azioni concrete [ripeto, le foto
parleranno da sole] durante la coabitazione dei quattro qui a Beravy.
Coabitazione che, sempre a detta dei due, anzi di Gianluigi “Gigi”, in una
serie di messaggi scambiati su facebook e che riporterò qui, sembra essere la
chiave dell’insuccesso del progetto non ancora sviluppatosi e della sospensione
dei lavori da parte loro e della dipartita verso Tulear, la città prima tanto
criticata e all’improvviso ritornata a splendere sotto un sole e una luce
diversa. Siamo umani, si sa, cambiare idea è lecito e possibile. Bisogna però
assumersi le responsabilità dei propri atti ed evitare di descriversi agli
altri come i personaggi di una favola.
Qui
non c’è nessun Cappuccetto Rosso e nessun lupo. Nessun lupo travestito da
agnello.
Forse
c’era l’intenzione da parte dei due di prendere possesso di casa, ristorante e
terreno con i bungalows, visto che quando ho specificato per la prima volta le
rispettive proprietà, aggiungendo inoltre che io avrei messo a disposizione per
il progetto tutta la mia parte, ho intuito del malcontento, mai chiaramente
espresso, ma ben visibile da atteggiamenti che evito di descrivere e che hanno
portato a questa versione distorta data in pasto a terzi affinché ne uscisse un
bellissimo racconto, ben scritto davvero, ma non reale.
La
mia è una supposizione malevola, ma che trova riscontro nei commenti scritti
mesi fa su facebook in cui Gianluigi “Gigi” Colapietra scriveva di recarsi in
Madagascar a gestire un resort. Parole mai usate dal mio compagno né da me.
Dopo
venti anni di amicizia tra Gianluigi ‘Gigi’ ed Andrea si era arrivati
all’accordo, sigillato da una stretta di mano [che in molti casi vale più di
cento parole scritte] di acquisire la parte da loro rifiutata in modo
arbitrario. Gianluigi “Gigi” ed Aurora sono andati via da Beravy, dopo un mese
di lavori in atto, sostenendo di non essere portati per la vita di gruppo, cosa
che non ha nulla a che vedere con una ipotetica truffa o delusione. La
delusione la si dimostra subito, non dopo aver iniziato dei lavori e fatto
spendere dei soldi anche a noi, Melania ed Andrea.
Dovremmo
forse fare lo stesso anche noi? Parlare come cani bastonati delle nostre
difficoltà economiche e degli inutili sprechi di materiali e soldi buttati per
far fronte a spese di comune accordo fatte in quattro? Con un po’ di serietà e
chiarezza mentale si sarebbe evitato di iniziare qualsiasi lavoro, i due
avrebbero raccontato quello che comunque hanno raccontato e noi vivremmo come
viviamo senza avere due case non finite. Cosa dovremmo fare noi? Innanzitutto
denunciare chi diffama, chiedere i danni a chi non è stato adempiente ad un
contratto? [contratto assolutamente valido e letto e riletto più volte. La
legge non ammette ignoranza. Il contratto invece ammette la possibilità di un
rimborso in caso di impossibilità di conseguire la proprietà in questione]. Ci
sentiamo presi in giro da tutta questa faccenda per il semplice fatto che io ed
Andrea abbiamo mollato l’Italia perché convinti di creare qui una nuova vita
fatta di scambi culturali e di aiuti ai bambini locali e alla popolazione in
genere e veniamo a scoprire, dopo tutti i sacrifici fatti, che due persone che
da mesi parlavano con entusiasmo di aderire a questa nuova vita, sicuramente
inizialmente non facile, volevano in realtà aprire un’attività commerciale? E
tutte quelle cene fatte in Italia a parlare di portare medicine e vestiti ai
bimbi? Di sensibilizzare le persone all’ambiente e alla tutela delle risorse
immense del Madagascar? Del mettere ognuno le proprie competenze per far sì che
il progetto prendesse forma? Io avrei messo a disposizione le mie precedenti
esperienze svolte presso diverse associazioni in tutta Europa, nonché le lingue
parlate, tre per l’esattezza. Andrea in qualità di informatico esperto avrebbe
creato un sito ad hoc e pensato a diffonderlo in rete, sfruttando le reciproche
conoscenze. Aurora in qualità di infermiera si sarebbe prodigata ad aiutare il
prossimo. Gianluigi “Gigi” Colapietra, un OSS con aspirazioni mistiche parlava
di fare meditazione in spiaggia e di abbandonare la vita materialistica per
essere felici. A questo punto sul serio non comprendiamo bene il limite tra
verità e menzogna. La verità, diceva Nietzsche, è che la verità cambia. Un
conto è far circolare come veri messaggi sulla propria persona ed un conto è
metterli in pratica. Parlare dell’Africa dall’Italia su un comodo divano e
davanti un buon bicchiere di barolo chinato è facile, ancor più facile avere
persone che ti riempiono di complimenti per la scelta coraggiosa. Diverso è
viverci, in Africa, con i disagi dei mezzi di trasporto mai puntuali e spesso
troppo pieni, vivere ogni giorno prendendo secchi d’acqua dal pozzo [nella
descrizione ho dimenticato di dirvi che l’impianto elettrico è esistente e
funzionante, le case sono tutte dotate di bagno all’occidentale, con wc,
lavandino e doccia e tubi di scarico funzionanti, ma chiaramente vanno
ripristinati e quindi nel mese di soggiorno dei due presso Beravy è stato
quotidiano il disagio di affrontare la vita di cui tanto parlavano e
desideravano, sempre secondo le loro parole, riscontrabili sui rispettivi
profili per chi ha voglia, pazienza e molto tempo da perdere].
E’
troppo facile incolpare o, peggio ancora, diffamare qualcuno per l’incapacità
di ammettere a se stessi e agli altri il proprio insuccesso. Siamo tutti guru
con le comode pantofole calde ai piedi!
Andrea
dopo aver letto il blog e la favola annessa ha deciso di non acquistare più il
bene, come precedentemente detto all’ex amico Gianluigi “Gigi” Colapietra, che
sicuramente saprà vendere a buon prezzo a qualche Karana interessato,
avvalendosi magari dell’aiuto delle persone alle quali ha raccontato, omettendo
quanto invece riportato qui fedelmente, come si siano svolti realmente i fatti.
Fine
della cronistoria e inizio delle immagini e dei commenti, con date e
riferimenti NON DI FANTASIA, per citare ironicamente chi si è preso la briga di
mettere per iscritto una versione adulta del giochino del ‘telefono senza
fili’.
Che storia! Mi viene in mente che c'è molta gente in giro che sa viaggiare solo con la fantasia. Quando, ci si ritrova all'atto pratico però, le cose tendono presto a cambiare. Le comodità del mondo occidentale prendono presto il sopravvento. E' il caso di dire: la vera libertà la si sente solo dentro, non è il caso di sbandierarla a profusione ai quattro venti.
RispondiEliminaL'essere umano è per sua natura inaffidabile.
EliminaSiamo fortunati se nella nostra vita riusciamo a fare un tratto di strada assieme a un vero amico, finché il fatale destino non ci separa.
Il contratto dov'e' ?
RispondiEliminaIl testo integrale completo di contratto, conversazioni private tra i protagonisti e foto (diverse da quelle pubblicate qui) sono state inviate al curatore del blog, anonimo. A me interessava raccontare gli eventi così come si sono svolti. Non credo cambi molto leggere il contratto, anonimo. Melania Conte
RispondiEliminaNon ti dare troppo pensiero degli anonimi, Melania!
EliminaOgni tanto arrivano dei Trolls anche qui, benché al momento io non stia parlando di ufologia o scie chimiche.
La tua parola è più che sufficiente.
:-)
Ho fatto una domanda. Ho ricevuto una risposta. Altro che troll. Buona giornata a tutti.
RispondiEliminaE perché non ti presenti, visto che sei così gentile?
EliminaFare business in Madagascar e' tanto intelligente come vendere il ghiaccio agli eschimesi. Ci sono persone così' povere, che l'unica cosa che hanno sono i soldi. (Cit.)
RispondiEliminaGiusto come si può pensare di fare soldi qui in madagscar !!
EliminaQualcuno ci riesce.
EliminaDa noi è il governo a tartassarci, mentre qui sono i funzionari governativi, i poliziotti e i ladri.
E non saprei chi è peggio.
sono una dei protagonisti di questa storia, vorrei precisare che il precedente articolo scritto dal titolare di questo blog, è stato pubblicato in base a semplici "rumors" uditi in città di cui non è stata verificata la veridicità ed ovviamente senza la nostra autorizzazione. noi i diretti interessati eravamo all'oscuro di tutto, ciò non corrisponde al vero, e non intendiamo affrontare l'argomento in questo sede.
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