Mancava
qualche minuto alle sei di sera, la luce stava scemando e io leggevo “Il vicerè
di Ouidah”, di Bruce Chatwin. Odillon stava spaccando i legnetti di sapen con un coltello, facendone schegge più piccole
adatte per accendere il fuoco, suo fratello Sammy giocava da solo seduto sulla
sabbia, Annika aiutava sua madre ad accendere la fatapera, poiché avevamo in mente di fare le patate fritte.
Sentii degli scoppi e delle urla e pensai a una partita di pallone con la gente
che tifa per la propria squadra e qualcuno che tira petardi. Tina mi venne
vicino e mi chiese: “Hai sentito?”. Subito dopo, altri scoppi nell’aria e il
vicino di casa, un poliziotto in pensione, dall’altra parte del recinto di
lamiera, che chiedeva ad alta voce a se stesso: “Cosa sta succedendo?”.
Gli scoppi si ripeterono, insieme alle urla, e fu chiaro in quel momento che
erano spari di fucile. I bambini ci precedettero in casa in silenzio, come
facessero una normale esercitazione scolastica per affrontare le emergenze, e
si misero accovacciati tra il letto e il muro della camera. Le ante della
finestra, però, erano ancora aperte e vi filtrava l’ultima luce del giorno. Mi
chiusi alle spalle la porta di metallo traforata e stavo per chiudere anche quella
in legno, che vedo entrare nel nostro cortile la moglie del poliziotto in
pensione, nostro vicino di casa. Tina, al mio fianco, le urla: “Vai a casa che
ci sono i malaso!”. La donna, che
veniva dal mercato e non sapeva nulla, esegue. Tina aggiunge che sua figlia era
con noi, insieme agli altri bambini. Stavo quindi per chiudere definitivamente
la porta in legno che vedo un giovane correre davanti al nostro ingresso, oltre
la porta traforata in ferro. Vedo che gira ad angolo retto verso la latrina, ne
schiva la porta aperta e passa dietro casa, percorrendo pochi metri di uno
stretto corridoio tra il muro e il recinto di lamiere. Io l’ho visto, ma lui
non ha visto me, ed è stato un bene perché, trattandosi di uno dei quattro malaso, come abbiamo saputo più tardi, avrebbe potuto
memorizzare che in quella casa abitava un vazaha e organizzare qualche successiva irruzione ai miei
danni.
E invece, sentiamo il fragore di lamiere che cedono: il ragazzo, agilmente,
aveva scavalcato il recinto posteriore, causando un danno alla struttura. Forse
si è anche tagliato ma, come siamo venuti a sapere in seguito, di sicuro è
stato colpito dalla moglie del vicino che se l’è trovato faccia a faccia e che
era stata spinta da parte dal giovane durante la sua fuga. E ne aveva ben
d’onde! Siamo infatti venuti a sapere che, dopo essere stata spinta via, la
donna lo aveva colpito con un badile appoggiato al muro e la fretta del giovane
bandito era dovuta al fatto di essere inseguito da un poliziotto, un collega
del nostro vicino, armato di pistola. Il quale, sopraggiunto subito dopo, aveva
chiesto alla donna da che parte si fosse diretto il fuggitivo. Il poliziotto
era uscito dal portoncino d’ingresso al cortile, lasciandolo aperto, lo stesso
da cui era entrata la moglie del vicino, proveniente dal mercato. Si forma un
capannello di persone. C’è eccitazione nell’aria, come se si fosse rotto un
equilibrio. Anche i bambini sono usciti dalla loro tana.
Constatiamo i danni e veniamo chiamati a vedere anche il varco che il giovane
bandito, nella sua fuga disperata, si era aperto nello steccato di legno di katrafay del poliziotto pensionato. Si respira l’aria delle
grandi disgrazie e ci si sente uniti, affratellati, noi persone per bene. Tutti
vogliono parlare e hanno qualcosa da dire. Io non capisco una mazza di quello
che dicono ma avverto le loro emozioni, che mi contagiano irrazionalmente. Devo
riconoscere che Tina, tutte le volte che la sera si barricava in casa,
prospettandomi per me incredibili pericoli, non permettendomi di dormire con le
ante aperte nelle notti afose, aveva ragione. Un malaso, da fuori, potrebbe sparare dalla finestra aperta o
anche colpirci con un lefo.
Altri spari. Di nuovo un fuggi fuggi generale, compreso il poliziotto in
pensione, che, non avendo più l’arma in dotazione, ha paura come tutti gli
altri, per sé, per la moglie e la figlia. Passano lunghi minuti, ma un
messaggero ci porta la notizia che tre dei quattro banditi si sono
asserragliati in una casa e, all’esterno, ci sono una quindicina di poliziotti
armati che li stringono d’assedio. Sono le sette di sera e Tina mi dice che
andranno avanti fino a mezzanotte. Come minimo. La conclusione è scontata
perché a un certo unto le loro munizioni finiranno. I poliziotti non sembrano
avere fretta di catturarli, non si espongono e centellinano anch’essi le
munizioni, poiché lo Stato gliene passa pochine. Tina dice che siccome l’attesa
li farà arrabbiare, se i tre malaso
si arrenderanno saranno sicuramente malmenati, o dai poliziotti stessi o dalla
folla in attesa nelle vicinanze. Dice anche che il ragazzo che aveva
attraversato il nostro cortile fuggendo a quell’ora era già stato acciuffato e
probabilmente linciato.
Ma
cosa avevano fatto di tanto grave per meritare la pena di morte senza regolare
processo? Veniamo a sapere alcuni particolari e a me sembra una barzelletta. I
quattro si erano seduti al bar a bere qualcosa. Passa un uomo a piedi e
decidono di rapinarlo. Solo uno di loro è armato di pistola. All’uomo rubano
portafogli, cellulare e orologio, lasciandolo poi andare, ma un avventore che
aveva assistito alla scena chiama immediatamente la polizia. Che arriva con una
camionetta verde mentre ancora i quattro sono presso il bar. Il malaso armato spara, da lontano, verso la camionetta, costringendola
a fermarsi. Forse era ubriaco. Poi fuggono, con una quindicina di sbirri alle
calcagna. Uno si separa dal gruppo, ed è quello che ci è entrato in cortile,
tre restano uniti e vanno a infilarsi nel cul-de-sac di una casa disabitata. Non so quale delle
rispettive sorti è stata la migliore, se quella del ragazzo che ha tentato una
fuga solitaria, linciato dalla folla, o quella dei tre che si sono nascosti in
una casa, linciati dalla folla e dai poliziotti. Questo modo di amministrare la
giustizia va contro i diritti dell’uomo, ma fa risparmiare tempo ai giudici. A
Tina in questi giorni parlo della possibile futura terza guerra mondiale e lei,
in riferimento a quanto era appena successo, dice che la guerra in Madagascar
c’è già, da sempre.
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