sabato 11 febbraio 2023

Il male di vivere e il male di morire



Mio articolo del 10 febbraio 2016

La giornata di martedì 9 febbraio per me è cominciata malissimo, ma è finita bene. E quando dico bene intendo, in senso leopardiano, assenza di male. Durante le due ore del mattino in cui ho aspettato la partenza del taxi brousse che ci avrebbe portato a Ranohira, un cane è stato investito da una macchina, sotto i miei occhi. Il cane si è rialzato ed è scappato via e, mentre lo seguivo per accertarmi delle sue condizioni, la gente rideva. Non avrebbero riso se ad essere investito fosse stato un bambino, il che dimostra che lo slogan del mio blog “Gli animali sono nostri bambini” è più un mio desiderio che non la dura realtà del mondo, dove impera l'antropocentrismo più sfrenato, foriero di tutti i mali della società. Quando l'ho trovato era disteso su un fianco, agonizzante, vicino a un portone. L'ho trovato grazie alla presenza di un capannello di persone che assisteva a debita distanza alla sua morte. Mi ci sono avvicinato e ho presieduto alla sua fine, facendo in modo che morisse in pace senza ricevere ulteriori insulti dalla specie più pericolosa dell'universo. Un carretto con merci, spinto da dietro da alcuni uomini, veniva verso di noi, incuneandosi tra il muro e uno dei taxi brousse parcheggiati alla gare routiere. Non capendo dove volesse andare, se doveva entrare nel cortile di fronte al quale il cagnetto era andato a morire o cosa, ho chiesto a Tina che mi traducesse la domanda: “Dove devo spostarlo, in modo che non intralci il passaggio?”, ma Tina, come il suo solito, si è rifiutata di collaborare.



Quando ho a che fare con animali in Madagascar, specie in situazioni di emergenza, io entro in crisi e lei pure, perché si vergogna di essere la compagna di un vazaha malato di mente, secondo la percezione che lei e i suoi connazionali hanno della vita. Per fortuna il carretto non doveva entrare nel cortile privato, ma caricare merce sul tetto del pulmino. Mentre, il cane aveva gli ultimi spasimi lo accarezzavo e gli sussurravo: “Muori, muori, muori presto!”, dando agli astanti il privilegio di assistere a uno spettacolo raro, uno straniero che si commuove per un cane morente, cosa quest'ultima tutt'altro che rara sulle strade del Madagascar dove polli, oche, anatre, capre e zebù vagano liberi in mezzo al traffico, nella più totale indisciplina degli automobilisti.



Per gli animali “da carne”, tuttavia, c'è più rispetto perché sono proprietà di qualcuno e vengono considerati beni, mentre i cani senza padrone non contano nulla e l'autista del fuoristrada che ha investito il.....mio cagnetto non ci ha pensato minimamente a premere il pedale del freno. Prima di abbandonare il cadavere del cane al suo destino, una volta irrigiditosi, l'ho guardato a lungo in faccia, notando gli occhi ormai divenuti inespressivi, e ho osservato se avesse espulso il contenuto dell'intestino a causa del rilassamento degli sfinteri. Trattandosi di un cane magrissimo e pieno di fame, l'intestino era vuoto e la conferma della sopraggiunta dipartita è venuta dall'immobilità totale del suo corpo. Senza degnare di uno sguardo gli spettatori, me ne sono tornato, scosso, verso la panchina dell'ufficio, ad aspettare che il nostro Sprinter Mercedes partisse. Tina mi ripeteva che ci avrebbero pensato loro a spostarlo. Ma ormai non me ne importava più.



Di altri sfinteri rilassati devo dare conto ora. Quelli di una donna che viaggiava col marito e i due figli piccoli. La diarrea aveva cominciato a manifestarsi dopo solo una quindicina di Km ma gli altri passeggeri attribuivano l'odore di cacca ai bimbi che aveva in braccio. A un certo punto, però, il flusso di liquami puteolenti aveva travalicato mutande, gonna e sedile, finché durante una sosta a Sakaraha (e stiamo parlando di un centinaio di chilometri dopo) l'indignazione generale dei passeggeri è scoppiata. L'autista ha dovuto fare una sosta forzata, facendo perdere tempo alla gente, mentre i passeggeri la rimproveravano dicendole: “Sei una persona adulta, non un bambino, perché non hai chiesto all'autista di fermarsi?”. La donna rispondeva imbarazzata: “Zaho marari”, io sono malata. Il marito stava zitto. E' scesa ed è andata al fiume a lavarsi. Molti passeggeri, una volta a terra, spiegavano alla gente del posto l'accaduto e, come nel caso del cagnetto quando veniva investito, ridevano, compresa Tina a cui ho cercato di spiegare che ci vuole rispetto verso chi è malato. I malgasci hanno una vera idiosincrasia verso gli escrementi. Tina, per strada, quando sente solo l'odore di merda umana, non può fare a meno di sputare. Idem con l'odore di urina. Come ciliegina sulla torta, poco prima che lo Sprinter ripartisse da Sakaraha, la figlioletta della donna si è esibita in un pianto isterico, chiamando la mamma, mentre il padre che la teneva per mano non sapeva come acquietarla. Tina non è riuscita a capire il motivo dell'angoscia della piccola, ma presumo che si sia trattato di una sua separazione dalla madre. Piccoli drammi.


Drammi come quello della ragazza che viaggiava con noi e che, arrivati a Ranohira, ha ricevuto una telefonata che le annunciava il decesso della sorella. Ha chiesto pertanto all'autista di salire sul tetto per recuperarle il bagaglio, che però era in mezzo a tutti gli altri, coperti da un telone e legati saldamente con spago. Ragione per cui l'autista si è rifiutato di consegnarle la valigia, dicendole che sarebbe rimasta in custodia presso l'ufficio della Kofiam di Tanà. Alla ragazza non è rimasto altro da fare che avviarsi nella direzione dalla quale eravamo giunti, con la sola borsetta, sperando di trovare un taxi brousse che la riportasse a Tulear. Probabilmente, avrà anche telefonato ai parenti di Tanà che la aspettavano, dicendo loro di andare a recuperare il suo bagaglio. La morte aveva colpito due volte quel giorno, con il suo odore di merda, una volta sotto i miei occhi e un'altra sotto forma di abituale notizia riguardante una ragazza in viaggio e sua sorella deceduta. L'odore escrementizio non è giunto fino alle mie nari perché ho viaggiato davanti con il finestrino spalancato, ma anche se avessi dovuto viaggiare cento Km, dietro, con “aria pesante”, non mi sarei di certo messo a ridere di una povera donna martoriata dalle amebe.



A me la morte non fa ridere, che si tratti di cani, di cristiani o di ricci. Non sto parlando di quelli che vengono investiti sulle nostre strade in autunno, quando si preparano per andare in letargo, ma dei ricci del Madagascar, come quelli che si vedono sul vassoio di una ragazza della brousse, esposti in vendita. Quando i pulmini si fermano per far scendere passeggeri o anche perché fermati dai poliziotti nei posti di blocco, subito accorrono ragazze con dolci, frutta, formaggi, pezzi di pollo arrosto e, come mi era capitato di vedere una sola volta anni fa, ricci cotti. Il dilemma è: si tratta del tenrec, riccio primitivo, quasi un fossile vivente, endemico del Madagascar, o del normale riccio spinoso simile a quelli delle nostre latitudini? Tina è convinta che si tratti del secondo, anche perché il tenrec è rarissimo, se non proprio estinto del tutto.



Alla sera, cercando un posto dove cenare, abbiamo avuto la fortuna di capitare all'hotely Ramirandava, poiché di norma preferiamo evitare i ristoranti come quello dell'Orchidée dove siamo alloggiati, perché applicano prezzi per vazaha, cioè troppo alti. Gli hotely sono i ristoranti per i malgasci e in genere hanno solo carne e pesce, ma stavolta ne abbiamo trovato uno che offriva riso e piselli. Abbiamo speso in tutto solo 6.000 ariary! Le mofo kida, banane in pastella, prese appena fritte sulla strada, hanno costituito il dessert, mentre la birra era gelata al punto giusto, cosa più unica che rara quando si fa sosta nei piccoli centri della brousse. Per questa sola ragione, una cena eccellente dal nostro punto di vista di sobri vegetariani (parlo per me, ovviamente), posso dire che la giornata è finita bene, cioè senza un'ulteriore manifestazione del male di vivere.

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