Testo di Mario Adinolfi
L'attacco di Barcellona
è l'ennesimo, costringe a ripetere parole già dette. Sette assalti
in tredici mesi, dalla promenade di Nizza alla rambla catalana, per
ripetere lo stesso messaggio: "Abbiate paura, odiamo voi e il
vostro stile di vita perverso, se potessimo vi uccideremmo uno ad
uno". Firmato: giovani islamici radicalizzati. Nel metodo c'è
una metafora: un grosso automezzo che viaggia a zig zag per
schiacciare più persone possibile, lanciato a folle velocità anche
contro donne e bambini. Noi siamo poca roba, formiche impotenti
contro questa novella "locomotiva, lanciata come fosse cosa
viva", secondo l'ottica delle nuove bandiere nere
dell'anarchismo musulmano. C'è chi fa l'analista di politica
internazionale e prova a tranquillizzarci dicendo che "l'Isis
sta perdendo terreno ovunque e il suo potere viene meno". Certo,
è vero, Isis è in difficolta a casa sua. E questo è molto peggio
per casa nostra, non a caso sul web si sono moltiplicati i messaggi
che invitano gli islamici europei a trasformare gli autoveicoli in
bombe. Se a Mosul e a Raqqa i seguaci di Al Baghdadi perdono, per
continuare ad esercitare fascino e potere sul mondo islamico radicale
devono portare a segno azioni come quella di Barcellona così da
attirare ancora l'attenzione in particolare dei più giovani, che dal
disagio sociale ed esistenziale sono trasformati in prede perfette
per una militarizzazione da soldati del jihad.
Se l'Isis comincia a colpire in
Spagna, con una serie di azioni coordinate come quelle delle ultime
ore, c'è da preoccuparsi anche a Roma: la penisola iberica infatti
fino a ieri non era stata mai colpita dalle azioni dei seguaci del
Califfato e non è irragionevole pensare che l'Isis voglia provare
nuovi scenari di guerra attaccando gli anelli deboli dell'Unione
Europea e quelli più esposti ai flussi migratori: la Spagna,
appunto, e l'Italia. Le ragioni dell'attacco "allo
stile di vita occidentale" sono evidentemente di natura
religiosa e solo un impeto religioso può portare gli attentatori a
uccidere sapendo che verranno a loro volta uccisi. L'isolamento delle
frange radicali all'interno del mondo islamico non è ancora
avvenuto, di certo non nei territori a dominazione musulmana, ma
neanche nelle comunità islamiche in territorio europeo. Sì, arriva
di solito il comunicato di qualche riga con cui si condanna
l'attentato, ma la verità è che il radicalismo religioso è
coltivato nelle moschee di tutto il mondo. Non c'è reale lutto per i
morti di Barcellona, di Nizza, di Parigi, di Londra, di Manchester,
di Stoccolma, di Berlino: c'è una ben simulata aria dispiaciuta, ma
nella sostanza ancora oggi il musulmano moderato non se la sente di
puntare il dito nella propria comunità contro il radicalizzato o
l'estremista. Non esistono casi di denuncia di islamici contro
correligionari radicalizzati in Italia, in Francia, in Spagna, in
Germania. Come mai?
Donald Trump venuto a conoscenza dei
fatti di Barcellona ha reagito a modo suo, con un tweet in cui ha
ricordato il generale Pershing, il più onorato generale della storia
militare americana, che vinse la prima guerra mondiale e allevò il
trittico di generali che vinse la seconda: Marshall, Patton,
Eisenhower. Nel 1911 Pershing era di stanza nelle Filippine, dove gli
americani venivano fatti oggetto di continui assalti da parte degli
islamici radicali. Pershing ne fece arrestare cinquanta, fece scavare
loro la fossa, fece sparare a cinquanta maiali e poi intingendo i
proiettili nel sangue di maiale fece uccidere quarantanove dei
cinquanta arrestati, liberandone uno affinché andasse a raccontare
ai compagni quel che era accaduto. Per quattro decenni non si
registrarono più assalti di fondamentalisti islamici nelle
Filippine.
Non credo, lo voglio dire subito, che
l'evocazione del metodo Pershing sia utile, ma di certo indica una
strada. Una strada sbagliata? D'accordo, una strada sbagliata. Ma
bisogna indicarne una alternativa: flussi migratori senza sosta né
regolamentazione sulle nostre coste, ius soli, sostituzione del
lavoratore italiano con centinaia di migliaia e poi milioni di
lavoratori sottopagati provenienti dalle zone povere del mondo? No,
neanche questa è una strada giusta, sarebbe come offrire il collo al
boia per fargli calare la ghigliottina. La soluzione, lo diciamo da anni, è
nel vituperato discorso di Ratisbona di Benedetto XVI. Bisogna
partire dal riconoscimento dell'Islam come religione violenta,
invocare una sua capacità di riforma che passi attraverso la
disponibilità all'incontro contaminante con la ragione e anche con
la democrazia, secondo un percorso compiuto secoli fa dal
cristianesimo che non per questo ha smarrito la radice profonda della
propria Fede. L'Europa deve unirsi davanti al simbolo proprio della
sua radice, che è la Croce, per tentare di respingere l'ennesimo
assalto di un Islam che da quattordici secoli assedia il nostro
continente con l'obiettivo di "sottomettere gli infedeli".
L'Europa ha sempre resistito unendosi sotto il vessillo della Croce,
unica vera matrice comune riconoscibile. Il rifiuto del cristianesimo
è alla base del tracollo dell'Europa stessa, il suo recupero può
essere base per la rinascita.
Affinché, quando dovessero chiederci
per quali valori noi ci opponiamo all'odio del fondamentalismo
islamico, possa spuntare un risposta cristiana: "Mi batto per
l'amore, la libertà e la verità, che sono pieni solo in Cristo".
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