venerdì 15 luglio 2011

Il coraggio di dire signornò



L’ho comprato per un euro. Su una bancarella a Gorizia. S’intitola “Signornò” ed è stato pubblicato da Guaraldi nel 1973. E’ forse il primo libro di Francesco Gesualdi [1], scritto all’età di 23 anni. Un resoconto ragionato della sua personale esperienza come militare di leva. Da quando aveva otto anni, Franco fu allievo della scuola di Barbiana e amico di Don Lorenzo Milani fino alla di lui morte, avvenuta nel ’67.
A leggere il libro di Gesualdi si capisce che ha avuto un bravo maestro. Erano gli anni della contestazione, in Occidente, ma molte cose ancora non si sapevano e a un lettore smaliziato di oggi, il libro appare permeato di ingenuità. Per esempio, Gesualdi credeva nei valori della democrazia, mentre noi sappiamo che anche questa forma di governo è usata dai dominatori per manipolare la gente. Credeva anche che l’esercito fosse al servizio del popolo, anche se verso la fine del testo Gesualdi stesso avanza dubbi in proposito. Riteneva che si dovessero formare sindacati anche fra i militari di leva e portava a prova di ciò gli articoli della Costituzione che garantiscono libertà di pensiero e riunione, ma si rendeva anche conto che un cittadino, nel momento in cui viene arruolato, perde il suo status e diventa materia utilizzabile in guerra e in pace, come una pedina su un’enorme scacchiera. Nella prima parte del libro evidenzia le contraddizioni, le ingiustizie, il classismo e gli sprechi di denaro pubblico compiuti dalle gerarchie militari ai danni dei soldati di leva e del resto della popolazione. Gesualdi faceva l’autista e un giorno, per andare a prendere nove chili di miccia fu mandato con un camion capace di trasportare 150 quintali.
 
In un’altra occasione furono mandati quattro camion, di quelli che all’epoca facevano 900 metri con un litro di benzina, per andare a recuperare soldati che ne riempirono uno solo. Attendenti venivano usati presso le famiglie degli ufficiali, i quali non disdegnavano di servirsi delle derrate alimentari destinate alla truppa, di fare la cresta sulla spesa e di segnare sui rapporti cibo di prima qualità mentre nel rancio finiva quello di seconda scelta. E altri trucchetti di questo genere, che hanno un nome preciso, peculato, e che non sfuggivano all’attenzione dei giovani soldati. Di modo che, a fronte delle roboanti, ipocrite e retoriche prediche, fatte a voce o messe per iscritto negli opuscoli in circolazione, i ragazzi assistevano a continue dimostrazioni del contrario, cioè la pratica smentiva la teoria e i superiori si comportavano furbescamente senza curare di nasconderlo. Di fronte ad un insegnamento schizofrenico di tal fatta, i ragazzi che avrebbero dovuto diventare cittadini onesti crescevano con l’idea che i più furbi possono imbrogliare lo Stato e la collettività senza andare incontro a conseguenze legali. Il risultato, oggi, lo vediamo tutti i giorni, ma già allora le reclute cercavano di imboscarsi, di fare il meno possibile e di fingere di essere occupati, esattamente come vedevano fare ai loro superiori. Tutta finzione. Così, se doveva arrivare un’ispezione da parte di un pezzo grosso, si facevano dipingere i muri della caserma e in alcuni casi si preferiva allontanare la truppa onde evitare il rischio di brutte figure con il generale. E anche questo non sfuggiva all’attenzione dei ragazzi, i quali, messi in servizio per esempio nei capannoni dei camion passavano l’intera giornata con uno straccio in mano e si mettevano a lustrare i mezzi meccanici solo se vedevano arrivare qualche maresciallo. Idem quelli in fureria, che sono forse i più famosi in termini di pigrizia calcolata e perdita di tempo programmata. Brunetta si metterebbe le mani nei capelli!
Quando capitavano le esercitazioni e si doveva fingere di minare un ponte, le squadre dovevano sondare il terreno sapendo che non avrebbero trovato niente e lo facevano con poca serietà. Scherzando. Per imitare il rumore delle mine che esplodono venivano fatti scoppiare dei petardi. L’inseguimento della squadra che impersonava il nemico era condotto fiaccamente e come se si trattasse di un gioco. Gli stessi sergenti e capitani si rendevano conto che un addestramento così non serviva a niente e che in caso di situazione reale, di quei soldati ce ne sarebbe stata una carneficina.
Se quei superiori si rendevano conto dell’inutilità delle esercitazioni, con spreco di risorse e di denaro, sembravano invece non rendersi conto di un equivoco di fondo: le guerre moderne non si combattono con le baionette e le mine, ma con ordigni dalla potenza terribilmente devastante. Gesualdi fa riferimento alle bombe atomiche, dicendo che le gerarchie militari ragionano ancora come se ci trovassimo nel 1915-18, ma non poteva immaginare che negli anni seguenti la tecnologia avrebbe messo a disposizione dei governi armi di potenza ancora maggiore. Quelle climatiche, per Gesualdi, erano impensabili, mentre le chimiche e batteriologiche, alla fine degli anni Sessanta, stavano muovendo ancora i primi passi.
L’autore dice che la stupidità degli ufficiali è di vecchia data e riporta i casi in cui comandanti pazzi, durante la prima guerra mondiale, mandavano allo sbaraglio i soldati armati di baionetta contro nidi di mitragliatrici e tutti abbiamo visto il film “Uomini contro”, uscito nel 1970, in cui si vedono soldati protetti da inutili scafandri mandati incontro alle mitraglie, così come descritto da Emilio Lussu in “Un anno sull’altipiano”. Per evitare di essere mandati a morire in quel modo inutile, con o senza scafandro, molti soldati si automutilavano sparandosi sulle mani o sui piedi, facendosi iniezioni sottocutanee di benzina, accecandosi con sostanze irritanti o forandosi i timpani, con il rischio di non venir creduti dagli ufficiali medici e di essere mandati davanti alla corte marziale. E questo mi ha fatto venire in mente che anche molti animali rinchiusi nelle gabbie degli zoo si automutilano o uccidono i propri cuccioli rendendosi conto delle condizioni innaturali in cui sono tenuti. Di modo che, la vita del soldato in tempo di guerra rassomiglia a una prigione, se non altro una prigione di tipo mentale, e porta agli stessi gesti disperati. L’autolesionismo come extrema ratio. Il confronto tra animali prigionieri e soldati in battaglia dovrebbe portarci a considerare che abbiamo in comune con gli animali la stessa esigenza di libertà e di benessere e che a rinchiudere in gabbia le bestie e a mandare in guerra le persone è lo stesso malefico potere che domina il mondo anche in tutti gli altri settori della vita sociale. Si rinchiudono le “bestie feroci” in scatole di cemento per il sollazzo dei visitatori, come si mandano a morire ammazzati i fanti per il sollazzo delle entità aliene che godono alla vista del sangue e del dolore. Vampiri energetici che si nascondono dietro sembianze umane. Leggasi il bell’articolo di Santaruina sotto citato [2] sulla guerra fine a se stessa.
Ecco un’altra delle cose a cui Franco Gesualdi non avrebbe mai potuto arrivare: a comandare il mondo non sono i rappresentanti del popolo che gestiscono la politica visibile, ma occulte forze che restano nell’ombra e che traggono vantaggi economici dai conflitti ma nel contempo si trastullano con le nostre sofferenze come bambini davanti al teatrino delle marionette. Perché è così che ci considerano: burattini da manipolare.
Ma vediamo in dettaglio alcuni brani del testo, che ci fanno capire come si è evoluto l’esercito negli ultimi quarant’anni e che ci mostrano anche l’ingenuità di fondo del giovane autore.
“Ormai però non è più un segreto che i colpi di stato militari di destra sono appoggiati dagli USA. E’ appunto così che gli americani riescono ad opprimere i popoli senza far apparire la loro azione dominante. Invece di intervenire direttamente inviano aiuti finanziari a scopo poliziesco ai governi locali, addestrano le truppe alla lotta antipartigiana, organizzano colpi di stato militari là dove i governanti cominciano a cedere alle richiesta popolari”.
Se c’era chi, come Gesualdi, quarant’anni fa, sapeva che l’America manovra occultamente i fili dei governi di tutto il mondo, mediante i servizi segreti, come mai tale concetto non è entrato a far parte del sapere collettivo? Solo la Sinistra ne parlava, una volta, ma ora non più. Solo la Sinistra chiedeva l’uscita dell’Italia dalla NATO. Ora non più. Evidentemente, il gioco del finto dualismo e della falsa contrapposizione tra Destra e Sinistra deve aver portato a una forma di assuefazione e di rassegnazione, facendo sì che i partigiani della Destra rifiutassero lo scandalo delle criminali ingerenze americane nella vita politica delle altre nazioni, in quanto cavallo di battaglia della Sinistra e quest’ultima si adagiasse sugli allori di una sterile polemica priva di risultati, ovvero rassegnandosi a un dato di fatto perché così vanno le cose nel mondo e non possiamo metterci contro i nostri alleati (leggasi padroni).
“Il nostro popolo vive in uno stato di larga ignoranza e indifferenza. Quindi non può esserci democrazia. Spesso si vota in un certo modo per tradizione familiare o perché ci si fa imbrogliare dalle false promesse o perché la Chiesa lo consiglia [3]. Così riescono a vincere le elezioni coi voti dei poveri, quelli che invece vanno a proteggere gli interessi dei ricchi”.
E meno male che se n’era accorto! Quello di cui Gesualdi non si accorse – e non poteva essere diversamente – è che se a causa dell’analfabetismo e dell’ignoranza delle masse, negli anni Sessanta e Settanta, non ci poteva essere democrazia, ora che l’analfabetismo è stato formalmente sconfitto, qualcosa di molto perverso ha sostituito l’ignoranza fisiologica della gente: il condizionamento. Forse qualche anno più tardi Pasolini avrebbe messo in guardia circa il potere malefico della televisione, ma Gesualdi non poteva ancora immaginarsi che genere di manipolazione dei cervelli ci sarebbe stata nei decenni seguenti, tanto che, o per ignoranza o per manipolazione, i risultati sono identici e, oggi come allora, la democrazia è una farsa.
“Perché invece di insegnarci che l’unico tipo di difesa valida è quella armata, non si comincia fino dalle elementari a propagandare la bontà del metodo pacifista? Imprimendo nei giovani il senso di responsabilità”.
Qui si vede un accenno d’ingenuità da parte del giovane Gesualdi. E così, a distanza di quarant’anni, gli rispondo: forse perché il metodo pacifista non porta profitto ai padroni occulti del mondo. O forse perché anche la scuola fa parte delle agenzie culturali manipolate e manipolatrici ed è primo motore della disinformazione e della propaganda di guerra, tanto che se una volta, ai miei tempi, si andava un giorno all’anno, il 4 novembre, a visitare le caserme, adesso si va ancora più spesso, fanno salire i bambini nei posti di guida dei jet e dentro i carri armati e sono le caserme, attraverso i loro esperti, che vengono a trovarci in classe, con l’avallo dei capi d’istituto. Come mai Gesualdi non se n’era accorto? Eppure, è da mo’ che ai bambini si mostra la faccia pulita dell’esercito e se dopo la contestazione susseguente al ’68 l’inno nazionale venne un po’ trascurato, in questi ultimi anni si è ripreso a cantarlo nelle classi elementari, grazie anche al presidente Napolitano.
“Mentre il mondo soffre malattie incurabili come il cancro, invece di impegnare le nostre risorse e intelligenze nella ricerca della loro soluzione, ci si perfeziona nella ricerca di armi sempre più micidiali e criminose come quelle chimiche e batteriologiche”.
Qui forse Gesualdi tocca, ma non per colpa sua, il fondo dell’ingenuità. Non siamo obbligati ad essere onniscienti e onnisapienti e nemmeno Gesualdi poteva, in così giovane età, sapere che le stesse oligarchie che scatenano le guerre sono anche proprietarie delle industrie farmaceutiche che scatenano le malattie. La molla è la stessa: il profitto. Anche il nostro autore è rimasto ingannato, insieme a milioni di persone che lo sono tuttora, dalla facciata della ricerca scientifica, che si mostra linda e animata da buone intenzioni, nel mentre nasconde la cruda realtà del crimine pianificato e del sangue versato nei laboratori di vivisezione. Che sono, questi ultimi, benché saremmo portati a disinteressarcene, una maledizione per tutti noi, che prima o poi abbiamo a che fare con medici, medicine e cure ospedaliere.
“Le Forze Armate dovrebbero trasformarsi in un apparato di difesa civile con due nuovi compiti: 1) Diventare un corpo di soccorso in caso di gravi sciagure, alluvioni, terremoti, frane, ecc. e 2) Diventare uno dei mezzi dello Stato per [rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana] (art. 3 della Costituzione). Quindi costruendo aule, case, ospedali, strade, bonificando terreni in tutte le zone d’Italia più bisognose. Istituendo migliaia di corsi di alfabetizzazione, di licenze elementari e medie per adulti”.
Anche qui non si può non rilevare una certa ingenuità. O forse erano i tempi in cui ancora la gente aveva fiducia nello Stato. V’immaginate i soldati che fungono da insegnanti? Mi sembra che Gesualdi cada un po’ in contraddizione, se veramente pensava che all’esercito spettasse il compito di promuovere lo sviluppo culturale degli italiani e in ogni caso mostra di avere ben saldo il concetto pernicioso – ai nostri occhi – di sviluppo e crescita a suon di cemento e asfalto, case, scuole e ospedali, tutti miti che negli ultimi quarant’anni sono andati sgretolandosi senz’appello. Riguardo alla Protezione civile è stato accontentato perché è sorta subito dopo il terremoto del Friuli del ’76.
“Se si riuscisse a trasformare il servizio militare in un servizio civile, si potrebbe pensare seriamente anche al reclutamento delle donne”.
Anche qui è stato accontentato, giacché le donne sono entrate nell’esercito italiano nel 2007, grazie a un decreto apparso sulla Gazzetta Ufficiale del 4 gennaio 2000. E ciò è avvenuto due anni dopo che la leva obbligatoria, altrimenti conosciuta come naja, fu definitivamente abolita, dando inizio, a partire dal 1° gennaio 2005, all’attuale esercito di volontari professionisti. Cosa che ha posto fine parallelamente all’obiezione di coscienza, nata nel 1972 e quindi nello stesso periodo in cui Gesualdi scriveva la sua interessante testimonianza. Infine:
“Discussioni interminabili sulla non-violenza, razzismo, fame; svolte con tanto di bicchierino whisky fra le mani, seduti su comode poltrone, allietati dal suono di un disco spiritual e altri canti sulle miserie umane, mentre in cucina la domestica rigoverna”.
Vi ricorda niente? E’ una velata critica a quei figli di papà che si occupano di questioni sociali standosene ben al sicuro sotto l’ala protettrice del conto in banca, ma anche di questo Pasolini aveva già parlato, con quella famosa frase sull’appartenenza dei dimostranti alla classe borghese e dei poliziotti picchiatori a quella proletaria. Nulla di nuovo, insomma. Invece, se è lecito fare raffronti con il tempo attuale, quelle interminabili discussioni oziose mi ricordano un altro problema che sembra stia emergendo: l’ipnosi collettiva indotta da internet, che distoglie il singolo dalla vita reale ma, quel che è peggio, neutralizza ogni spinta rivoluzionaria, se mi si consente l’uso di tale termine fossile. Lascio la parola ancora a Santaruina [4] su un tema intrigante che ci riguarda tutti e vi saluto, ringraziandovi per la pazienza. 

11 commenti:

  1. Forse siamo meno "ingenui" di Gesualdi. Si sà che il militare migliore non è quello che pensa, ma quello che obbedisce. Non è un caso che la leva fosse ai 18 anni e non ai 40. Oggi non c'è il fattore età, ma esiste quello economico. Chi si arruola cerca una via preferenziale per avere un reddito sicuro. Ricordo il documentario di Micheal Moore, quando ricorreva i senatori americani che avevano votato per l'invasione dell'raq. Chiedeva loro come mai non ci fossero i loro figli, visto credevano a quella guerra infarcita di motivazioni "alte". Nessun senatore firmò il documento che Moore presentavo loro (atto di arruolamento volontario). L'insicurezza sociale/economica fornirà sempre la carne da cannone necessaria alle azioni che servono gli interessi (altro che Carta Costituzionale art. 11). Non si può scegliere senza essere liberi per davvero di scegliere. Gesualdi ha ragione... ma di strada da fare ce n'è tanta per davvero....

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  2. Anzitutto, grazie per esser arrivato fino in fondo e per il commento. Leggendo il libro mi sono trovato in disaccordo su molti punti con Gesualdi, quelli che ho esposto nell'articolo, ma soprattutto per la sua fiducia nello Stato. Mi sarebbe piaciuto trovare l'indirizzo elettronico di Gesualdi per mandargli il link e sentire se il suo pensiero è mutato rispetto al 1972, ma in rete non l'ho trovato. Io mi sto accorgendo ogni giorno che passa che siamo sotto attacco e che il nemico è lo Stato con i suoi apparati militari e polizieschi. Le armi che usano contro di noi sono le scie chimiche, i veleni dispersi nell'ambiente, medicine e vaccini e, buoni ultimi, i manganelli. Lo Stato è in guerra con i propri cittadini per imporre l'agenda degli Illuminati e Val di Susa ne è un paradigma. Non è da escludere che, causa aggravarsi della crisi economica, in un futuro prossimo ci saranno disordini paragonabili a una guerra civile. Il che sarà preludio per l'instaurazione del nuovo ordine mondiale. Ci aspettano tempi difficili, non trovi?

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  3. Ottimo, hai sottolineato la generosa ingenuità di Gesualdi. Questa dabbenaggine è a volte nociva, quanto la malafede. Sperare che lo stato diventi umano e civile è un adynaton. Esatto: il nemico è il Leviatano. Il paradosso è morire a causa dello stato, invocando il suo soccorrevole aiuto.

    Ciao

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  4. Zret, se fossi tuo discepolo alla maniera dei peripatetici, dovrei seguirti con un pesante dizionario sotto il braccio, ma per fortuna c'è internet e basta un clic:

    http://it.wikipedia.org/wiki/Adynaton

    Ancora non capisco come Gesualdi, diventato famoso per la guida al consumo critico, alla fine degli anni Sessanta non si fosse accorto dell'inganno che promanava dallo Stato: forse quest'ultimo riusciva a camuffare abilmente le proprie vere intenzioni e milioni di italiani ne erano ammaliati.
    Ciao e grazie.

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  5. Non si riesce, in alcuni casi, a capire dove finisca l'ingenuità e dove cominci, invece, la malafede. Certo, le istituzioni sanno plagiare e blandire, ma di fronte a certe plateali evidenze bisognerebbe svegliarsi.

    Mi permetto di parafrasare la conclusione di Sbilff: abbiamo poca strada da percorrere... verso il baratro.

    Ciao e grazie a te.

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  6. Sono delle belle riflessioni, le tue.

    LA giovane età, l'ingenuità, la forza dell'educazione ricevuta, sono molte le cause che potevano portare molte persone in buona fede a riporre le loro speranze nello stato.

    Per sviluppare un pensiero critico che andasse oltre al politicamente-culturalmente corretto all'epoca occorreva imbattersi in testi davvero rari, e per nulla diffusi, mentre per noi oggi è più facile sentire diverse campane, e farci la nostra idea in seguito.

    Un saluto a te.

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  7. Zret, conosco Sbilff (ah, questi soprannomi!) e so che è un irriducibile ottimista, mentre io sono esattamente l'opposto. Per questo siamo amici, poiché gli estremi si toccano. E ci equilibriamo a vicenda. Il numero di persone che, come te, parlano di baratro, è in aumento: forse dovrei cominciare a preoccuparmi anch'io.

    Santaruina, del '68 non ricordo niente, ma del '77 mi ricordo un sacco di cose. Per esempio comprai l'opuscolo di un anarchico siciliano, un certo Bonanno, che parlava del testamento politico di Sartre, in cui si faceva l'elogio della lotta armata. Nel 1981 fu arrestato un mio compaesano che faceva da guardiano al generale Dozier, a Padova, ed è ancora in carcere. Anche l'anarchico siciliano è finito in carcere ma con l'accusa di rapina in banca. Franco Gesualdi si è salvato perché ha avuto un maestro cattolico, Don Milani, ovvero un moderato, anche se lo scontro che ebbe con i cappellani militari è passato alla storia. Dell'anarchico e del brigatista nessuno si ricorderà, ma della Guida al Consumo Critico, che è il testo più famoso di Gesualdi, si ricorderanno in molti.
    Dunque, la violenza non paga e a Franco Gesualdi, l'ingenuità dei suoi vent'anni, gliela possiamo perdonare.

    Grazie a entrambi, Zret e Santaruina, di avermi fatto visita.
    Un saluto

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  8. Mi piace bighellonare per il blog e leggere i vecchi articoli. In questo caso, condivisibile per le analisi e le diagnosi, mi trovo, come al solito, critico riguardo a una risposta da te data: Le armi che usano contro di noi sono le scie chimiche, i veleni dispersi nell'ambiente, medicine e vaccini e, buoni ultimi, i manganelli.
    D’accordo sui manganelli e i veleni dispersi nell’ambiente (causa effluenti da produzioni non debitamente trattati), ma, come spesso anche qualcun altro ti ha fatto notare, come puoi pensare che i poteri usino gli altri metodi citati dato che loro stessi e le loro famiglie non vivono su Marte e hanno pure necessità di immunizzarsi e curarsi?
    I poteri, che non sono per niente occulti, non hanno bisogno di sotterfugi per operare. Lo fanno e basta. E troveranno sempre massa critica che plaude alle loro azioni, semplicemente con la forza mediatica da sempre utilizzata con strumenti ininterrottamente più aggiornati. Il genere umano è facilmente influenzabile unicamente perché ha bisogno che qualcuno, di cui si fida, gli indichi la “scelta migliore”. È molto meno disagevole se qualcuno decide al posto tuo e puoi sempre sostenere che hai agito a seguito di istruzioni e ordini ricevuti.
    Sono rara avis quelli che si pongono criticamente rispetto all’andazzo, le masse preferiscono aderire a fazioni. È sempre stato così e sempre sarà, senza occorrenza di fantomatiche cospirazioni. Che la CIA abbia da sempre finanziato forze contrarie alla “sinistra”, da decenni lo sanno anche i lattanti. Che bisogna esportare la democrazia solo dove insistono interessi economici, nemmeno è un segreto. C’è chi è pro e chi è contro, palesemente o con contestazioni limitate o di facciata. Giusto per fare degli esempi.
    Peraltro quelli che detengono il potere, di qualunque genere, erano, sono e saranno sempre conosciuti. Dov’è il segreto?

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    1. Condivido le conclusioni pessimistiche a cui giungi.

      Rispondo alla tua obiezione riguardo agli esecutori di irrorazioni clandestine dicendoti che i militari sono addestrati ad eseguire gli ordini senza discuterli.

      Se poi, a rilasciare sostanze velenose in atmosfera sono dei droni, non c'è neanche bisogno di mettere alla prova il senso critico e quello morale degli aviatori.

      Le scie chimiche non sono totalmente spiegate nei loro scopi, ma che esistano è un fatto accertato ed evidente.

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    2. Cui prodest? Intendo qualora fossero impiegate a scopo malevolo, sempre per l’effetto indiscriminato.

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    3. Conviene, in ultimo, a coloro che stanno plasmando un'umanità, ridotta, adatta a servirli sotto il NWO.

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