mercoledì 13 luglio 2011

Animali nocivi


“Non è uomo ma bruto chi si compiace di torturare un animale. E’ un’azione empia, altamente riprovata dalla morale; l’ignoranza la spiega, ma non può scusarla. Anche se l’animale fosse nocivo, sbarazziamocene con la morte, ma guardiamoci sempre dall’infliggere inutili dolori, dal far soffrire al solo scopo di far soffrire. Significherebbe inaridire in noi uno dei più nobili sentimenti: la compassione, risvegliando istinti feroci, che troppo spesso conducono alle terribili conseguenze del delitto. Chi si compiace di torturare le bestie non può compatire le miserie dei suoi simili; è un cuore duro, propenso al male”.
Jean Henry Fabre, “Gli ausiliari”


Mi corre l’obbligo di fare una doverosa premessa. Non è mia intenzione scrivere articoli per rattristare i lettori: ci pensa già la tivù a presentarci un mondo tormentato da accadimenti orribili, così da far venire meno la fiducia nelle buone qualità dell’uomo, che pure esistono, e ottenere un’utenza spaventata e malleabile, utile all’élite per portare a compimento i propri piani. Si deve però tener presente che gli animali sono la categoria di persone storicamente più maltrattata e oppressa e un articolo che parli dei rapporti uomo-animale è ovvio che non possa raccontare cose allegre. Del resto, ci pensano già i mass-media della “corrente principale” (mainstream) ad occultare le nostre responsabilità come specie superiore, tenendo nascosta la violenza con cui di solito trattiamo gli animali. Sarebbe quindi colpevole da parte mia presentare gli aspetti piacevoli ed edificanti di questo nostro rapporto con il mondo animale, limitandomi solo a quelli, e se ho quindi la tendenza a mettere in mostra gli aspetti crudi della faccenda è per colmare una lacuna delle altre fonti d’informazione che agiscono in modo omertoso.
 
Fatta questa premessa, auspico che foto e relativi commenti che farò in questo e in articoli futuri vengano accettati serenamente, con la giusta e sana indignazione, senza dar luogo né ad assuefazione, né a stati di depressione. Non è un’operazione facile, specie per le persone sensibili, ma confido nel sistema d’autodifesa che ciascuno di noi ha avuto in dotazione dalla natura: occhio non vede, cuore non duole.
E dunque. Dopo il cane decapitato a Carlentini, ecco ora a voi, a gran richiesta, le tartarughe impiccate [1].
Noi che siamo cresciuti a pane, Nutella e Corriere dei Piccoli, rimaniamo piuttosto turbati nel vedere come le tartarughine californiane possano essere catalogate nella categoria dei reprobi, insieme a nutrie, volpi, corvi, piccioni e, in cima alla lista dei banditi, pantegane.
Perché solo un odio covato nel tempo può spiegare il trattamento subito dalle due tartarughe impiccate in provincia di Pisa, un odio che nasce nel cuore e nella mente di qualcuno che, sfruttando la natura, finisce per considerare come concorrenti quelle specie che sono di diritto inserite nella catena alimentare, in qualità di predatori. Potrebbe essere il caso delle tartarughe, giustiziate da qualche pescatore che non sopportava l’idea di spartire il pescato con quei piccoli concorrenti. A questo punto c’è da chiedersi se anche la nostra specie ha diritto di comportarsi come i predatori naturali, perché se la risposta è negativa il comportamento di cacciatori e pescatori è ingiustificato, mentre se è affermativa ne consegue un’altra domanda: fino a che punto la nostra specie è, a pieno titolo, inserita negli ecosistemi? Fino dove arriva la nostra naturalità?
I pescatori canadesi, per esempio, accusano le foche di aver fatto scendere il numero dei merluzzi, autogiustificando le loro proprie stragi, mentre quelli nostrani fanno la stessa cosa con i cormorani. La conseguenza è che, quando non si fanno giustizia da soli, i pescatori riescono a far promulgare leggi per la riduzione numerica di foche e cormorani. Quelli canadesi hanno portato dalla loro parte perfino una senatrice del parlamento, Celine Hervieux-Payette, che ha mangiato carne di foca davanti alle cineprese dei telegiornali [2].
Da noi, al momento, c’è un dibattito sull’eventualità di sterminare le nutrie, accusate di essere troppo prolifiche e di rovinare gli argini dei fiumi. Nel loro caso si porta come aggravante il fatto di essere una specie non autoctona, mentre nel caso delle foche canadesi questo elemento non può essere tirato in ballo, visto che sono a casa loro. Confrontando i due esempi, foche e nutrie, si capisce che i pescatori trovano in ogni caso pretesti di vario genere, dato che vogliono a tutti i costi raggiungere il risultato dell’eliminazione dei concorrenti. Viene in mente la favola del lupo e dell’agnello, con il primo che cambiava le versioni dei capi d’accusa nei confronti del secondo, in base alle sue risposte, pur di arrivare a mettere in pratica il proposito di mangiarselo.
Anche le due Trachemys scripta giustiziate nella provincia pisana sono giunte da oltre Atlantico, ma non lo hanno fatto apposta, esattamente come le nutrie. Le tartarughe vennero importate per il bisogno di noi umani di circondarci di animali, in un’epoca in cui il benessere ci aveva fatto uscire dalla mentalità opportunistica che vedeva nell’animale nient’altro che uno strumento. Le nutrie, invece, vennero importate dal sudamerica per la loro pelliccia, scappando poi dagli allevamenti e riproducendosi allo stato libero: troppo amore (possessivo) nel primo caso, troppo poco (o nullo) nel secondo.
Secondo le leggi sulla caccia, le volpi possono essere cacciate in qualsiasi stagione, sia di giorno che di notte e con qualsiasi mezzo. Si può anche sparare alla cieca all’interno delle tane, ammazzando i cuccioli che eventualmente vi si trovino. I guardiacaccia, in passato, venivano coadiuvati da privati cittadini, che mettevano ingegnose trappole come quelle descritte da Mauro Corona [3]. Per esempio si appendeva una corda a un albero, con un boccone di carne all’estremità che nascondeva un amo a tre ganci. L’esca veniva posta all’altezza giusta di modo che la volpe potesse afferrarla solo con un salto e restasse appesa ai tre ganci, rimanendo penzoloni come un pesce pescato all’amo e andando incontro a una lunga agonia. Nei mari del sud i pescatori che hanno subito attacchi da parte di squali si vendicano con i selaci tirandoli sulla barca, mettendogli in bocca un pesce istrice, legandogli le fauci e ributtandoli in mare. Se siamo portati a provare poca compassione per un pesce primitivo piuttosto alieno per noi terrestri, è invece difficile non provare empatia per le volpi trattate così crudelmente, essendo esse nient’altro che canidi solitari, che solo per uno scherzo del destino non hanno preso il posto dei nostri cagnetti.
I corvidi, parimenti considerati nocivi, possono essere fucilati anche al di fuori della stagione venatoria, sparando, da terra, direttamente nei nidi. I guardiacaccia sono tenuti ad espletare questi sfoltimenti e un tempo nella lista dei proscritti c’erano anche gli uccelli rapaci. Tagliole venivano messe in cima ai pali per catturare poiane e gheppi che vi si posavano, restando così con le zampe amputate. E anche se i rapaci non vengono più considerati nocivi dal 1971, ancora vi sono zone come lo stretto di Messina dove la caccia tradizionale al falco pecchiaiolo continua ad essere praticata, per non parlare di altre sporadiche uccisioni che si verificano un po’ in tutta la penisola. Il motivo per cui i rapaci sono stati protetti dalla legge non risiede, temo, in un’accresciuta coscienza ecologica degli italiani, ma nella drastica diminuzione dei rapaci stessi, oltre al fatto che nessuno tiene galline e pulcini liberi nelle aie, dato che gli unici posti in cui, in campagna, si può trovare il pollame sono gli allevamenti intensivi, dove naturalmente le poiane non possono arrivare. Anche le volpi stanno diventando meno nocive di un tempo, per la stessa ragione, ma sulle Alpi il loro posto sta per essere preso niente meno che dall’orso.
L’impiccagione di un animale, o di un uomo, è un atto che va oltre la semplice eliminazione fisica. Si vuole infatti dare spettacolo ad uso degli astanti. Si vuole lanciare un messaggio a terzi. Così, le impiccagioni di banditi e criminali venivano quasi sempre fatte in pubblico, affinché il popolo si sapesse regolare. Colpisci uno per educarne cento. Tranne quelle eseguite in carcere ai gerarchi nazisti, in seguito al processo di Norimberga, tutte le impiccagioni prevedevano la presenza di un pubblico che avesse qualcosa su cui meditare. Così in Iran i condannati a morte vengono issati su alte gru, anche se non saprei dire se è una barbarie tuttora eseguita o se si tratta di una pratica a cui la magistratura iraniana ha rinunciato. In tempo di guerra ai partigiani veniva riservato lo stesso trattamento e i loro corpi venivano lasciati penzolare per un certo periodo, affinché tutti sapessero qual era il destino riservato agli oppositori del nazifascismo. E, fin qui, i meccanismi si capiscono. Fanno ribrezzo ma ne capiamo la logica.
Viceversa, impiccando cani, gatti e tartarughe, quale messaggio si vuole lanciare? Non può certo essere un messaggio rivolto a cani, gatti e tartarughe! O si tratta di uno sfogo vendicativo fine a se stesso o s’intende lanciare una sfida ai guardiacaccia e alle guardie forestali, come per dire: “Vedete, nonostante tutte le vostre leggi restrittive, non ci fermerete mai! Siamo troppo ganzi!”. Tipica logica da bracconiere. In ogni caso, anche senza essere animalisti, uno spettacolo del genere mette a disagio, perché implica una sfida alle leggi di protezione della natura, tanto faticosamente conquistate, e quindi il guanto è come se venisse gettato in faccia a tutta la comunità che si è data delle regole, in fatto di prelievi venatori o altre forme legalizzate di assassinio. Se dunque abbiamo delle uccisioni legali, abbiamo parallelamente anche delle uccisioni fuori dalla legge, semmai ancora più riprovevoli delle precedenti.
L’articolo di Geapress che riporta il fattaccio riferisce che il laghetto sulle rive del quale sono state trovate le tartarughe è frequentato da molti pescatori rumeni. Ora, senza che mi si debba, come al solito, rivolgere critiche di razzismo, lasciatemi dedurre che se a impiccare le tartarughe è stato un rumeno, vuol dire che durante l’infanzia non aveva ricevuto in dono quel tipo di animaletti, e forse neanche di altro genere. In altre parole, mentre ai bambini occidentali si regalano criceti, gattini e cuccioli di cane, a quelli dell’Europa dell’est, a Natale, si regalano noci, carbone commestibile e altri giochi per l’infanzia, ma mai animali vivi. Perché, probabilmente, non c’è la consuetudine di farlo. Questo è un bene, per un verso, perché l’animale non è una cosa, ma è un male per un altro, perché aumenta la distanza tra uomo e animale. Paradossalmente, ricevere in dono un cucciolo fa di noi adulti occidentali delle persone più equilibrate e dotate di senso di responsabilità: se ce ne siamo presi cura da piccoli, continueremo a sentirci in dovere di prendercene cura anche da grandi.
Questo spiega secondo me perché cinesi, filippini, coreani e vietnamiti mangino carne di cane: perché quando erano bambini nessuno gliene ha regalato uno!
Infine, un’ultima considerazione. La logica dell’animale nocivo è strettamente legata, almeno a livello subcosciente, a quella di uomo nocivo. Se siamo disposti ad elargire la morte ai cosiddetti animali nocivi, definiti tali da noi stessi, ci verrà spontaneo elargire la massima pena anche a quegli uomini che le nostre convenzioni sociali definiscono nello stesso modo. Sarebbe un atto di coerenza.
Se invece siamo contro la pena di morte, anche nel caso di quegli uomini che tanto nocivi si sono rivelati per la società, dovremmo anche essere contro lo sfoltimento di topi, talpe, volpi e compagnia bella. Anche qui sarebbe solo questione di coerenza. E quindi, se miriamo all’instaurazione di una società in cui non trovi posto non solo la pena di morte ma anche il delitto che sta alla base della punizione, allora anche le sentenze senza appello di nocività di qualunque specie animale (che oltretutto svolge solo le proprie funzioni naturali), non dovrebbero essere emanate, né tanto meno messe in pratica. La conseguenza ultima è che tutti coloro che auspicano lo sterminio di animali arbitrariamente definiti nocivi sono moralmente condannabili e non possono trovare posto in un’eventuale futura società di giusti.
Contadini, cacciatori e pescatori siete avvisati!

2 commenti:

  1. Bell'articolo. Anche il gatto è nella lista degli animali nocivi (e la capra e l'elefante e la volpe...)! Vi rendete conto? Se una specie animale contrasta i nostri interessi diventa nociva. La motivazione più frequente della nocività è il numero troppo elevato di esemplari. Se si da ragione a questa posizione bisogna però ricordarsi che l'animale più nocivo è l'uomo!

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