Fonte: Linkiesta
Pensavamo di aver
risolto il problema. Sempre meno migranti nelle nostre coste, (-24%
rispetto al 2016 ), l’accordo tra Italia e Libia per
tenerli nei campi di detenzione, “l’invasione” fermata dopo
anni di indecisione politica. Che fine hanno fatto i migranti che non
sbarcano più? Non ce ne frega nulla, come quando buttiamo la
spazzatura. Mica importa dove va a finire. Quei “rifiuti” di
cui non vogliamo sentir parlare, fino a venerdì erano tenuti
prigionieri in condizioni indecenti dai trafficanti vicino alla città
costiera di Sabrata, a 100 km dalla capitale. Sono 14.500 migranti,
tra cui donne incinte, neonati e bambini senza genitori. Erano
bloccati in fattorie, case e magazzini nell’area costiera a metà
strada tra Tripoli e il confine con la Tunisia. Senza cibo, acqua,
vestiti, scarpe e servizi igienici. L’ha
rivelato l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i
rifugiati (Unhcr) che sta portando aiuti umanitari da una settimana.
Lavori forzati, abusi sessuali,
ferite causate da proiettili. La maggior parte dei migranti ha detto
ai volontari dell’Unhcr di aver subito almeno una violazione dei
diritti umani. Secondo
l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom), il
44% dei migranti detenuti intervistati vuole tornare a casa
preferendo la povertà e le guerre all’inferno vissuto fino a
questo momento. Le autorità del governo provvisorio libico hanno
trasferito i migranti in un hangar nella zona di Dahman per portarli
poi nei centri di detenzione ufficiali, dove potranno ricevere le
cure.
Pensavamo che il piano
di Minniti avesse risolto il problema per sempre. A
luglio il ministro dell’Interno aveva stretto un accordo con le
milizie “Martire Abu Anas al Dabbashi” e “Brigata 48”:
finanziamenti (tanti) per fermare i trafficanti e bloccare i migranti
sulle coste. Per questo sono crollati gli sbarchi, proprio da
Sabrata, fino a quel momento il principale punto di partenza dei
migranti provenienti dall’Africa sub sahariana. Ma
ci siamo scordati che in Libia c’è ancora una guerra civile in
corso.
A Tripoli comanda Fayez al Serraj,
capo del governo che l’Italia (per ora) appoggia e garante
dell’accordo con le due milizie, entrate in tutta fretta nel suo
esercito. A Bengasi però, comanda il generale Khalifa Haftar. A lui
rispondono i soldati del “Comando operativo contro lo Stato
islamico” che fino a venerdì hanno attaccato le milizie finanziate
dall’Italia che controllavano per noi i migranti. E mentre le
fazioni rivali combattevano per il controllo di Sabrata, i migranti
erano intrappolati in case e magazzini. Senza i carcerieri, fuggiti
per gli scontri ma senza anche aiuti umanitari. Una settimana fa la
battaglia tra le milizie è finita e più di tremila migranti sono
stati imprigionati e portati in un altro centro di detenzione
controllato dal "Comando operativo contro lo stato islamico",
anche lì senza aiuti umanitari.
Intanto le due milizie
finanziate dall'Italia sono state cacciate dalla Sabrata. E non è
detto che ritorneranno. Finora
la strategia italiana, avallata dall'Unione europea, è stata quella
di appoggiarsi al governo libico di Al Serraj, ma la sensazione è
quella di esserci affidati al cavallo sbagliato. Un piano di un Paese
nato per tamponare l'emergenza è diventato la strategia dell'intera
Unione europea. Ed ora è in crisi. Tutto
basato su accordi con milizie mercenarie che fino a qualche mese fa
erano gli stessi a proteggere i trafficanti.
Non sappiamo come finirà la guerra
civile, e soprattuto chi la vincerà. Un'ipotesi potrebbe essere
quella di finanziare le milizie dell'altra fazione, e non è un caso
che Haftar sia andato due settimane fa Roma a incontrare la ministra
della Difesa Roberta Pinotti e il ministro dell'Interno Minniti. A
parte il possibile voltafaccia diplomatico, cosa faremo se le truppe
di Al Serraj prenderanno di nuovo il controllo? Previsioni a parte, il modello
di Minniti sembra già in crisi. E il problema del rispetto dei
diritti umani nei campi di detenzione rimane. Capiamoci:
nessuno vuole tornare a quando i migranti morivano a migliaia in mare
ogni giorno. E l'Italia non si può addossare i problemi dell'Europa
solo sulle sue spalle. Ma
si possono creare percorsi legali sicuri per far arrivare chi ha
veramente bisogno di asilo politico? Si possono almeno rendere
decenti le condizioni di chi è rimasto in Libia? E se migliaia di
migranti continuano a morire, stipati in campi di detenzione che
assomigliano sempre più a campi di concentramento, per molti è
sempre meglio che vederli sbarcare a Lampedusa.
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