Testo di Rita Jemma
Secondo il mito della caverna coloro che sono privi della
filosofia (i dormienti, in genere coloro che sono all'oscuro della
verità) sono paragonabili ai prigionieri di una caverna (nati e
cresciuti dentro questa caverna) vincolati a guardare in una sola
direzione perché sono legati a terra, con un fuoco dietro le spalle
e un muro di fronte. Tra loro e il muro non vi è nulla; tutto ciò
che essi vedono sono le proprie ombre, e quelle degli oggetti dietro
di loro, proiettate sul muro dalla luce del fuoco (tra loro e il
fuoco vi è un muretto tramite il quale alcuni uomini sporgono piante
oggetti e animali, la cui ombra viene proiettata sul muro di fronte i
prigionieri). Inevitabilmente essi considerano queste ombre come
reali e non hanno nozione degli oggetti a cui sono dovute.
Infine
qualcuno riesce a fuggire dalla caverna e a vedere la luce del sole
(al contatto con la luce colui che fugge prova un forte dolore agli
occhi); per la prima volta vede le cose reali e si rende conto che
fino a quel momento è stato ingannato dalle ombre. Il filosofo
(colui che trova la verità) sentirà che è suo dovere, verso coloro
che prima erano suoi compagni di prigionia, insegnar loro la verità
e mostrar loro la strada per uscire. Ma troverà molte difficoltà
nel persuaderli (perché dovrà spiegare una realtà che loro non
immaginano nemmeno, che vi è una natura, il sole, il cielo ecc..) e
sembrerà loro più stupido che non prima della fuga, ma non solo,
nel caso in cui provasse a portarli fuori questi al contatto con la
luce proverebbero il medesimo dolore dovuto al bagliore del sole, e
rifiuterebbero l'invito ad uscire, a conoscere.
Nessun commento:
Posta un commento