domenica 11 marzo 2018

Il vero razzismo è comunista


Se i partigiani, fino al 25 aprile del ‘45, erano mossi dal nobile intendimento di liberare l’Italia dai tedeschi e dalla prepotenza del fascismo, i partigiani dopo il 25 aprile hanno assunto un aspetto del tutto diverso, considerato che le vendette che si sono prese nei confronti di chi aveva perso la guerra possono essere considerate come un elemento fisiologico di transizione e, nell’insieme, vanno sotto il nome di epurazione. Come fa notare giustamente Gianpaolo Pansa, quando finiscono le guerre civili succede sempre così. Tuttavia, quando alcuni elementi della Resistenza si misero in testa di voler attuare la rivoluzione comunista, eliminando fisicamente sacerdoti e ricchi possidenti agrari, che poco o nulla avevano avuto a che fare con il fascismo, si capì che erano in gioco alcune componenti psicologiche di stampo prettamente razzista, analoghe a quelle già viste negli stati meridionali degli USA un secolo prima.



Per capirci, nel 1868, in Georgia, una coppia di negri con sette figli aveva raggiunto un livello di agiatezza, con casa di proprietà, bestiame e campi di cotone, che per i bianchi del posto era inaudito e inaccettabile. Il Ku Klux Klan decise di far loro visita, ma quando in piena notte uomini mascherati si avvicinarono alla casa furono accolti dalla fucilata di uno dei ragazzi, incaricato dal padre di fare la guardia. La famiglia infatti aveva avuto sentore che i razzisti li avrebbero visitati. Uno degli uomini mascherati morì, colpito dalla fucilata del ragazzo, e questo segnò la loro condanna. Tanto è vero che, dopo un paio di notti, il KKK tornò con serie intenzioni ma nel frattempo il capofamiglia, Perry Jeffers, era fuggito con sei dei suoi figli. Imprudentemente, aveva lasciato in casa la moglie e il figlio più piccolo, fidando sul fatto che i razzisti non avrebbero fatto loro del male. E invece, il ragazzino fu ucciso subito, fu ricoperto con la mobilia e gli fu dato fuoco, mentre la madre fu appesa a un albero del cortile. Richiamato dagli spari, accorse il loro vecchio padrone bianco, che abitava lì vicino, che li usava come schiavi prima della guerra civile e che li aveva sempre trattati umanamente. Il vecchio riuscì a salvare le donna impiccata e a sottrarre alle fiamme il cadavere del ragazzino. Perry Jeffers e gli altri sei ragazzi trovarono dapprima rifugio presso uno sceriffo del posto, che a un certo punto, vista la marea montante dell’odio, decise di far loro passare il confine e li fece salire su un treno. Ma a una fermata salirono alcuni membri del KKK che finirono l’opera trucidando il negro e i suoi sei ragazzi. La loro colpa era solo quella di aver raggiunto una certa agiatezza economica.

Un’ottantina d’anni dopo, nel triangolo della morte tra Bologna, Modena e Reggio Emilia, alcuni partigiani che non volevano saperne di deporre le armi, cominciarono a far fuori i possidenti agricoli nell’intento di realizzare la rivoluzione comunista. Nelle loro visioni farneticanti di una società socialista senza padroni, Cornelio Ferrari, che il 9 ottobre del 1946 tornava in bicicletta da una visita ai suoi poderi, era d’ostacolo e doveva essere eliminato. E così altri “padroni”, il cui unico torto era quello di essere proprietari di campi, frutteti, vigne e cascinali. Leggo a pagina 299 de “Il sangue dei vinti” (Sperling & Kupfer, 2004): “Sino alla fine degli anni Quaranta, nella Bassa modenese la terra continuò a restituire cadaveri, scoperti per caso dai contadini o grazie a segnalazioni anonime ai carabinieri”. Il PCI dell’epoca era a conoscenza delle esecuzioni sommarie, ma non faceva nulla per fermare quegli assassini, tanto è vero che a un certo punto dovette intervenire Togliatti in persona per rimproverare i dirigenti comunisti della zona, sollecitandoli a porre fine a quegli insensati eccidi che rovinavano la reputazione del partito.


Se nel primo caso di razzismo si trattava di bianchi suprematisti che odiavano persone di colore, nel secondo caso si è trattato di caucasici che uccidevano altri caucasici, sulla base di un’ideologia nata nella mente di Marx ed Engels e in parte realizzata da Lenin e Stalin con il massacro di milioni di oppositori. I partigiani comunisti non ebbero dunque nemmeno la scusante di prendersela con membri di una “razza” diversa, poiché riuscirono a vedere un nemico di classe solamente sulla base delle loro idee politiche, con un’astrazione degna dei manuali di psichiatria. Che differenza c’è tra i razzisti anglosassoni della Carolina del sud e i partigiani comunisti di Modena e Reggio? 

Io ci vedo sempre lo stesso odio insensato, la stessa patologia mentale, quella cosa che comunemente viene chiamata razzismo. I partigiani – quei partigiani – si comportarono come razzisti e questo spiega perché a Firenze c’è stato un corteo antifascista con molti negri che gridavano “Basta razzismo” e molti bianchi che gridavano la stessa cosa, senza rendersi conto, gli uni e gli altri, schizofrenicamente, che i veri razzisti erano loro, con gli africani giustificati dalla non conoscenza della nostra storia e i caucasici, sedicenti antifascisti, meno giustificati e sicuramente un po’ più colpevoli. Che si studiassero la storia d’Italia tra il 25 aprile del 1945 e il gennaio del 1949, prima di sfilare in corteo gridando “No al fascismo”!

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