domenica 29 maggio 2011

Rettili, rettiliani & affini


Parlando di scie chimiche con l’uomo della strada si finisce sempre per parlare dell’Area 51, mentre se un uomo della strada inizia una discussione con un complottista, secondo Umberto Eco, si finisce sempre per parlare dei Templari. La differenza tra scie chimiche e Area 51 è che le prime sono un fenomeno reale, mentre di quello che succede nell’Area 51 non me ne importa granché e mi dispiace che la gente comune associ problemi reali a questioni fittizie. Anzi, ho il sospetto che certe trasmissioni televisive abbiano assolto proprio il compito di fare di tutto ciò che esula dalla Matrix accettata e canonica, cioè gli enigmi e i misteri, un gran minestrone in cui mescolare le cose più strampalate insieme a temi che meriterebbero un serio esame. In questo modo si ottiene un livellamento verso il basso e si ottiene di far scadere agli occhi dell’opinione pubblica qualsiasi discorso in merito alla trama assassina dei governi assiduamente e occultamente impegnati a sfoltire l’umanità.
 
David Icke poteva far a meno di inventarsi la storia dei rettiliani, alieni cattivi in combutta con militari terrestri per compiere misfatti ai danni della popolazione. Se si fosse limitato a spiegare ciò di cui ha le prove, senza voli pindarici, avrebbe fatto un servizio migliore a quanti sono impegnati onestamente a smascherare i complotti governativi.
Io non lo so se esistono alieni squamosi in forma rettiloide, ma se dovessi incontrarne uno non mancherò di farlo sapere a chi mi legge su questo blog. So però che esistono esseri umani che amano collezionare serpenti e altri rettili. Lo so perché sabato 28 maggio ero a Longarone, in provincia di Belluno, per partecipare a una manifestazione di protesta organizzata dai 100 % Animalisti di Padova, contro questa peculiare abitudine di allevare rettili in casa.
Se tale passione fosse in fase di crescita, il che è da dimostrare, potrei affermare che abbia l’avallo dei rettiliani al potere (quelli cattivi), se solo io credessi alla loro esistenza. Ma siccome per ora non ci credo, ritengo che l’attrazione verso animali striscianti e senza zampe abbia una base psicologica del tutto umana, senza andare a ipotizzare lo zampino di extraterrestri in forma di rettile.
Nella letteratura, nei miti, nelle leggende e nella storia, si trovano molte tracce di questa ancestrale passione da parte degli uomini verso i serpenti. Penso a Cleopatra, a Eva, alla Madonna e a Donatella Rettore, che ne hanno avuto a che fare secondo modalità diverse. E mi scuso per gli accostamenti. Penso alla dama dei serpenti dell’isola di Creta, a Quetzalcoatl il serpente piumato e al paesino abruzzese di Cocullo, famoso in tutto il mondo per la processione religiosa in cui si mettono innocui colubri sulle spalle del santo patrono.
Il fascino del serpente va oltre la specie umana, giacché sembra che piccoli uccelli presi di mira dai serpenti arboricoli rimangano come ipnotizzati e si lascino catturare. Idem con i roditori che non hanno scampo di fronte ai recettori di calore di cui sono dotati i loro striscianti predatori.
Il rapporto che l’uomo ha con i serpenti è controverso. Molti li odiano, alcuni li amano. Siccome gli automobilisti americani, se vedono un serpente a sonagli sulla strada, invece di frenare accelerano, gli animalisti americani a volte mettono sull’asfalto serpenti di legno irti di chiodi, così da punire con una subitanea foratura quanti si ritengono giustizieri e decidono della vita e della morte dei crotali.
Tenere animali in gabbia o in recinti è una vecchia pratica: si chiamavano serragli ma potevano permetterselo solo i ricchi e i nobili. Oggi che il benessere diffuso ha fatto aumentare il numero delle persone benestanti, molti appartenenti alla classe borghese occidentale hanno cominciato a riempirsi la casa di rettili, anfibi e ragni giganti, con particolare predilezione per le specie più orride, probabilmente per stupire visitatori e amici.
Non voleva stupire nessuno Emanuele Galmann, figlio di Kuky, che fin da piccolo, cresciuto nella tenuta di famiglia in Kenya, aveva dimostrato questo speciale interesse per gli ofidi. Sua madre, finché il ragazzino teneva nei terrari serpenti innocui, lo lasciò fare, ma quando cominciò a catturare e allevare i mamba, detti il serpente dei sette passi, e altri pericolosissimi ofidi, Kuky cominciò a preoccuparsi e a dissentire verso tale insana passione. Purtroppo, il suo dissenso non fu sufficiente a salvare la vita del figlio, come non fu sufficiente la corsa verso l’ospedale più vicino. Il ragazzo morì in macchina, il veleno della vipera soffiante non gli lasciò scampo e quella povera madre vive tuttora con il rammarico verso se stessa per non essere stata più energica, vietando a Emanuele tale passatempo. Nel film, interpretato da Kim Basinger, lo sceneggiatore ha voluto dare un taglio ecologista buonista al finale, mostrando Kuky e altri dolenti amici di famiglia andare in processione al fiume a liberare gli altri serpenti. Nella realtà, stando al suo libro autobiografico, Kuky Galmann si vendicò seppellendo vivo il serpente responsabile della morte del figlio nella stessa fossa dove venne deposta la bara.
La passione per i serpenti si manifesta soprattutto nei giovani, e meno nelle persone anziane. Un ragazzino affetto da tale passione finì all’ospedale nel reparto avvelenati per aver voluto dare il bacino della buonanotte a uno dei suoi beniamini. E questo mi porta a fare alcune considerazioni. Vi è obiettivamente un genuino sentimento di affetto verso gli animali detenuti in acquari e terrari, ma spesso si dimentica che non si ha a che fare con mammiferi intelligenti e reattivi come cani e gatti. Poiché è del tutto legittimo manifestare attaccamento emotivo verso gli animali tradizionalmente considerati da compagnia, risulta meno accettabile che questi ruoli storici vengano assunti da specie animali incapaci di ricambiare l’affetto degli esseri umani. Le pulsioni che spingono una persona a tenere in casa una tartaruga azzannatrice o un ragno gigante amazzonico, sembra siano meno nobili di quelle che portano un essere umano a prendersi un cagnetto abbandonato in un canile.
Io posso capire che un’iguana ricordi un dinosauro di settanta milioni di anni fa e che abbia quindi il suo fascino, ma un appartamento composto di armadi, divani, tavoli e sedie non è l’ambiente in cui l’iguana vorrebbe vivere. Anzi, dove ha diritto di vivere. E questo, anche a dispetto del fatto che nei paesi d’origine, le iguane, la mangino. Comprare un’iguana in un negozio non è la stessa cosa che prelevare un cagnetto abbandonato, che altrimenti resterebbe a languire tutta la vita in un box di cemento, privo di quell’affetto che un essere umano potrebbe dargli. Se solo avesse la fortuna d’incontrarlo.
Anche nel caso in cui l’iguana comprata dovesse essere nata in cattività e non dovesse aver mai conosciuto la foresta centroamericana, non è una scusa per prendersene una in casa, giacché nella sua memoria genetica conserva il ricordo di quando viveva allo stato libero. Per tacere del fatto che forse non ama essere presa in braccio ed essere accarezzata, sempre che ci sia qualche appassionato d’iguane che la sera si sieda davanti al televisore con l’iguana in braccio, accarezzandola come se fosse un gatto.
Ma ne dubito. Oltretutto, certi animali a sangue freddo come rane e lombrichi, se li si prende in mano li si scotta, con i nostri 37 gradi centigradi.
Ho avuto un’iguana per un certo tempo, l’ho tenuta in braccio e senza guanti posso garantire che le sue unghiette non sono piacevoli da sentire sulla pelle. Essere presa in braccio non le piaceva per niente. Si sentiva in pericolo perché nel suo ambiente sono i predatori a ghermire le iguane e questo è un principio che vale per tutti i piccoli animali che in natura vengono predati. Naturalmente non la comprai in negozio, ma andai fino a Pavia, in seguito alla telefonata di un amico, per recuperarla presso il locale centro visite del parco del Ticino. Era entrata in un bar a Vigevano e si era infilata dietro il frigo. I vigili urbani non seppero mai chi fosse il suo proprietario e il barista chiamò i ragazzi del centro visite, che la tennero qualche giorno finché non andai io a prenderla. Rimase con me un anno, finché non la diedi a un erpetologo di Brescia.
Tenuto conto che tutti noi siamo cresciuti con l’idea che un criceto, una tartarughina o un pesciolino rosso siano compagni ideali per un bambino, c’è da chiedersi, divenuti maggiorenni, se la stessa cosa sia accettabile per un adulto. Posso capire che, avendo un giardino con un laghetto, si voglia tenere anatre ornamentali: se non finiscono in pentola possono anche definirsi fortunate, ma mettere in teche di vetro insetti stecco, fillidi e ragni giganti, per non dire gila, pitoni reticolati o clamidosauri, significa:
(1) sottoporre gli animali a una vita innaturale in piccoli spazi;
(2) toglierli dal loro ambiente naturale e quindi impedire alla specie di riprodursi;
(3) mettere a rischio l’incolumità pubblica in caso di fuga di specie potenzialmente pericolose;
(4) incrementare un commercio illegale in mano a gruppi criminali;
(5) nutrirli con prede vive che non hanno altra colpa di servire da cibo in modo cruento senza possibilità di scampo come avrebbero in natura.
Quest’ultimo punto è il più disdicevole ed è stato quello più disapprovato negli attacchi verbali degli animalisti, davanti alla fiera di Longarone. Sembra infatti che i possessori di serpenti costrittori amino riprendere i pasti dei loro pitoni e boa e mettere i filmati su You Tube, scambiandoseli come bravi collezionisti e…sbavando di fronte alla scena della morte violenta dei topolini, ratti e conigli usati come cibo. Non so quanti appassionati erpetofili godano a vedere i roditori ingurgitati dai serpenti, ma se consideriamo che anche gli amanti delle piante carnivore danno topi da mangiare alla nepente e ad altre simili piante, penso che qualcosa di patologico in tali persone ci sia, anche se non sono uno psichiatra.
Alle piante carnivore si danno ratti morti, che trovasi in vendita surgelati, ma ai serpenti bisogna dare prede vive. Se i possessori di rettili avessero un minimo di empatia e sapessero mettersi nei panni dei topi e dei conigli, non potrebbero proprio allevare ofidi. Siccome evidentemente non hanno tale empatia e restano indifferenti di fronte alla orribile fine dei roditori, potrebbero almeno rendersi conto che i coniglietti da compagnia e i ratti albini sono sempre più spesso allevati come “pets” da altri esseri umani e per tale motivo questi ultimi hanno tutte le ragioni per protestare contro i serpentari, come vengono affettuosamente chiamati dagli animalisti.
Lo scontro ideologico, quindi, è inevitabile: i collezionisti di serpenti danno da mangiare vivi quegli animaletti che sono considerati da compagnia, che si possono prendere in braccio e accarezzare e che producono un coinvolgimento emotivo molto più forte di quanto possano produrre rettili dai riflessi torbidi e scarsamente reattivi. Il giorno in cui i possessori di conigli saranno più numerosi dei possessori di serpenti, verranno varate leggi che vieteranno la detenzione dei secondi, così che non si debba più fare strage dei primi.
Oltretutto, allevare ratti e conigli non ha controindicazioni, cioè non si spopola la natura, non si fa correre il rischio di estinzione agli esemplari esistenti allo stato libero, sono vegetariani e non li si deve nutrire a discapito di altri animali e soprattutto non si fomenta la violenza in modo diseducativo nei confronti delle giovani generazioni. Se si vuole costruire una società pacifica, è necessario cominciare dalle piccole cose, compresa la compassione verso creature indifese e senza colpa.
La detenzione di rettili e anfibi è di per sé una forma di maltrattamento, complice il fatto che le leggi in proposito sono vaghe o addirittura assenti. La famosa direttiva CITES per la salvaguardia delle specie in via d’estinzione è stata abbondantemente disattesa e lo è tuttora. Tanto è vero che il commercio di animali è al terzo posto nel mondo della criminalità dopo armi e droga. La vendita di un solo esemplare di specie pregiata può ripagare il contrabbandiere di tutti i rischi che corre durante i viaggi aerei con merce che scotta. Pochi giorni fa all’aeroporto di Bangkok è stato fermato un uomo che in valigia aveva tre o quattro cuccioli di felino e un orsetto destinati negli emirati arabi. Solo ricchi sceicchi, a imitazione dei nobili europei del medioevo, possono permettersi di spendere grosse cifre per acquistare certi animali. I cuccioli erano stati sedati prima di essere messi in valigia. Personalmente spero che a quel contrabbandiere diano l’ergastolo, così da fargli passare la voglia di trafficare con gli animali. L’addetto al centro di recupero animali, in servizio presso l’aeroporto, disse che non aveva mai visto una cosa del genere. Io invece ho visto foto di un pecari ficcato in un tubo di plastica, cigni incerottati come salami, colibrì messi in bustine di cellophane e tartarughine californiane, messe in palline di plastica, tutti sistemi atti a ridurre lo spazio, messi nel doppiofondo di valigie e bauli e arrivati mezzi morti a destinazione, sempre che i forestali non riescano a intercettarli.
C’è una mortalità altissima fra i pappagalli e le scimmie che viaggiano in aereo. Si dice che solo uno su dieci arriva vivo. Alcune compagnie come la British Airways hanno vietato il trasporto di animali vivi, altre invece lo consentono perché….business is business. E i collezionisti privati non sono gli unici acquirenti; ci sono anche gli zoo, i circhi e i laboratori di vivisezione. Non saprei quale di tali destinazioni sia la meno peggio per un animale sottratto al suo ambiente. Infatti, gli animalisti sono giustamente contrari a tutte queste forme di oppressione. Se gli animalisti se la prendessero solo con i privati cittadini, sarebbero criticabili, ma siccome combattono tutte le forme di sfruttamento, la coerenza è rispettata.
Le reazioni dei partecipanti al “Reptile’s day” di Longarone hanno dimostrato di non essere veri amici degli animali, anche se fanno di tutto per sembrarlo, dato che un vero zoofilo rispetta la natura e le esigenze degli animali, benché i serpentari si spertichino per dimostrare la loro buona fede e l’onestà d’intenti. Se li vedessimo al nostro fianco quando protestiamo contro le sagre delle rane, dove le cosce di rana fritte sono il piatto principale, potremmo considerarli nostri compagni di lotta per contrastare l’ormai planetaria scomparsa degli anfibi. Se i serpentari fossero al nostro fianco quando di sera, in primavera, spostiamo i rospi dalle strade asfaltate affinché non vengano schiacciati, li considereremmo con maggior simpatia, e invece, quando c’è bisogno di dimostrare concretamente una passione disinteressata verso gli anfibi, non ci sono.
Il che mi porta amaramente a concludere che quella degli erpetofili è una passione egoistica, per non dire consumistica, dato che, come i pesci rossi venduti nelle fiere sono programmati per morire in breve tempo, così da costringere i genitori a comprarne un altro per far cessare le lacrime dei bimbi, analogamente i rettili importati e venduti nei negozi o nelle esposizioni come quella di Longarone se muoiono in breve tempo è, per i commercianti, tutto grasso che cola.
E’ un perverso meccanismo consumistico, in cui gli animali ci rimettono sempre e comunque. Il vero appassionato non può non tener conto di questo e dovrebbe altresì rendersi consapevole di essere solo una pedina nelle mani dei trafficanti, quegli stessi trafficanti che magari a parole dice di combattere.
Un antico principio induista recita così: “Love, devotion, surrender”, amore devozione rinuncia. Il vero amante degli animali (che non può prescindere dall’essere anche un amante della giustizia), una volta raggiunta la consapevolezza di ciò che sta dietro il commercio di fauna esotica e cosa implica la sua passione per i soggetti interessati, rinuncia ai serpenti. Il vero amore non è mai possessivo, ma accetta e anzi coltiva la rinuncia.

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