Per conoscere la vera età di una donna basta guardarle le mani. Se
sono maculate, ossute e dalla pelle diafana appartengono a una donna
vecchia.
Per sapere quando è stato scritto un romanzo di fantascienza basta vedere come viene descritta la tecnologia. In “Cronache marziane”, di Ray Bradbury,
ci sono pistole, fucili e bombe a mano. Alla fine di tutti i primi
quattro viaggi d’esplorazione su Marte gli astronauti umani muoiono
regolarmente, perché forse l’autore voleva metterci in guardia circa la
temerarietà del voler abbandonare nostra madre Gaia. D’altra parte, se i
nostri creatori Anunnaki sono venuti dal cielo, è ovvio che noi scimmie
manipolate geneticamente si voglia seguire le orme dei padri.
“Cronache
marziane” è stato pubblicato negli USA nel 1950, ben sessantadue anni
fa. In Italia è arrivato quattro anni dopo, proprio durante la grande
ondata di avvistamenti ufologici del 1954. Tanto per contestualizzare
l’evento, negli anni Cinquanta esplodeva il sogno americano, l’economia
girava a pieno regime, i giovani in stile Happy Days
assaporavano le ultime vestigia dell’ingenuità puritana dei loro padri,
ma con un occhio alla gioventù bruciata di James Dean, mentre il bel
tenebroso Marlon Brando furoreggiava con film su ribelli e
anticonformisti. Stereotipi, questi, che sarebbero sfociati nel romanzo
“On the road”, di Jack Kerouac e nel movimento hippy degli anni
Sessanta, che, insieme alla guerra in Vietnam, segneranno la fine del
sogno americano.
Nel 1961 vengono rapiti i coniugi Hill. E siccome
“Cronache marziane” contiene una blanda morale ecologista, dobbiamo
aggiungere che nel 1962, dodici anni dopo, esce “Primavera Silenziosa”,
di Rachel Carson.
E’ uno di quei romanzi in cui i negri vengono
chiamati negri, senza i tanti falsi moralismi che sarebbero venuti dopo,
ma che non
sarebbero serviti minimamente a rendere la gente meno razzista di
quello che è. Nel capitolo “Su negli azzurri spazi”, riferito al giugno
del 2003, i negri lasciano l’America e s’imbarcano sui razzi da loro
stessi costruiti per trasferirsi su Marte. Ciò provoca sgomento nei
bianchi W.A.S.P. che vedono venir meno mano d’opera a basso costo,
nonché un facile bersaglio per le loro frustrazioni. Bradbury pone
questo esodo verso la nuova siderale terra promessa cinquantatré anni
dopo l’uscita del suo libro e sicuramente non avrebbe mai immaginato che
un afroamericano, di lì a poco, sarebbe diventato presidente degli
Stati Uniti.
Il negro viene descritto come ancora succube del
bianco, paziente e sottomesso, con l’arrogante ex padrone che lo prende
in giro per la sua fede battista. Eravamo ancora in pieno Apartheid. La
prima studentessa afroamericana avrebbe varcato la soglia di
un’università nel 1957
e Martin Luther King sarebbe stato ucciso nel 1968. L’altro giorno,
forse come manovra occulta a favore di Obama, una ragazza di colore
sembra si sia data fuoco,
accusando in un primo momento tre uomini incappucciati, di cucluxclana
memoria. Io, quando sento notizie come questa, penso subito ai candidati
manciuriani, manovrati dai candidati alle presidenziali, come mostrato
nel film omonimo interpretato dal bravissimo Denzel Washington.
Alla
fine del capitolo, il padrone bianco deve accettare il cambiamento
epocale che i viaggi spaziali permettono anche alla classe derelitta dei
neri d’America. Ma quando ciò accade, secondo la trama del romanzo,
ormai siamo già quattro anni dopo la prima spedizione, a cui seguirono
altre tre, prima che la colonizzazione di Marte si avviasse pienamente.
Le
prime quattro spedizioni sono di genere surreale. Muoiono quasi tutti.
Nel febbraio del 1999 il capitano York e il suo pilota vengono uccisi da
un marziano cacciatore, marito di Ylla, la romantica sensitiva che
aveva sognato l’arrivo di due stranieri.
Nell’agosto dello stesso
anno, il capitano Williams e altri tre astronauti vengono mandati alla
ricerca della prima spedizione e finiscono in maniera surreale anche
loro, uccisi da uno psichiatra marziano che li aveva presi in cura nel
suo manicomio e che gli spara considerandoli mere allucinazioni.
Nell’aprile
del 2000, scomparsa nel nulla anche la seconda spedizione, viene
inviato su Marte il capitano Black, insieme a quindici suoi compagni di
volo e tutti faranno una brutta fine, ma lo faranno in un modo degno
della serie “Ai confini della realtà”.
Infatti,
appena atterrati, si trovano di fronte ad alcuni villaggi del tutto
simili a quelli che hanno lasciato sulla Terra e ciò gli fa in un primo
momento sospettare di avere in realtà fatto un viaggio nel tempo e di
essere misteriosamente arrivati nell’Illinois degli anni Venti.
Un’altra
ipotesi che viene in mente ai nuovi arrivati è che si tratti di una
colonizzazione compiuta nei primi anni del Novecento, all’insaputa del
governo americano, da parte di europei che volevano così evitare il
massacro della prima guerra mondiale. Ma quando Black e i suoi uomini
cominciano ad incontrare i loro parenti defunti – Black suo fratello e i
suoi genitori – si affaccia alle loro incredule menti l’idea che Dio
abbia dato all’umanità una seconda possibilità, sistemando i morti
terrestri su Marte e chissà su quanti altri pianeti.
Nonostante il capitano avesse dato ai suoi uomini, tranne ai due che lo accompagnavano, tra cui un archeologo come nel film “Prometheus”,
la consegna di non lasciare l’astronave, tutti e sedici si riuniscono a
quei familiari che sulla Terra erano deceduti da tempo ma che su Marte
appaiono vivi e vegeti. Black viene calorosamente fatto accomodare nella
casa della sua infanzia, tale e quale come se la ricordava. E così
fanno tutti gli altri suoi uomini. Ma ad un certo punto, dopo che lui e
suo fratello redivivo si mettono a dormire nella vecchia cameretta, come
ai tempi della perduta infanzia, con i genitori commossi fino alle
lacrime per averlo reincontrato, ecco che un dubbio lo assale.
Impossibilitato
a chiudere occhio a causa delle emozioni della giornata, Black scende
dal letto e, al buio, si avvicina alla porta per fuggire,
in preda a un atroce sospetto. Ma il fratello, o quello che a lui così
somigliava, è sveglio. Scende anche lui dal letto e lo uccide.
Il
capitano Black, un attimo prima di morire per mano del marziano
ingannatore, capisce che anche il resto dell’equipaggio sta facendo o
farà di lì a poco la stessa fine, tutti vittime di un’atroce ipnosi
telepatica. Gli invasi, superiori in doti medianiche, si oppongono agli
invasori in un modo semplicemente inaspettato e sublime.
Con la
quarta spedizione, del giugno 2001, le cose vanno un po’ meglio per i
terrestri, perché ne muoiono solo sei su venti, cinque uccisi dal loro
commilitone Spender che, più che impazzire, si fa prendere da una crisi
di coscienza, e uno, Spender stesso, ucciso alla fine dal capitano
Wilder.
I sopravvissuti ritornano sulla Terra senza aver trovato
traccia delle prime tre spedizioni, ma gli scrupoli di Spender mettono
la pulce nell’orecchio non solo al suo capitano ma a tutti i lettori del
romanzo e qui diventa evidente l’analogia tra la colonizzazione di
Marte ad opera degli americani e quella degli Stati Uniti ad opera degli
europei, inglesi soprattutto.
Quando poi, nel capitolo intitolato
“Il verde mattino”, Driscoll il seminatore, arrivato su Marte sei mesi
dopo la quarta spedizione in qualità di colono, fa riferimento a Giovannino Seme di Mela, figura mitica dell’iconologia americana, l’allusione alla conquista del West diventa pienamente palese.
Spender
uccide cinque suoi colleghi e poi si fa uccidere dal capitano, dopo
averlo convinto della malvagità insita nel piano di occupazione del
nuovo pianeta. Nessuno di loro sa nulla dei marziani, che aleggiano come
presenza più metafisica che reale, ma tutti loro sanno quanto la
fortuna dei coloni europei su suolo americano ha rappresentato una
corrispondente sfortuna per i nativi amerindi. Il senso di colpa è ciò
che fa di Spender un Unabomber ante litteram e lo porta, in un tete-à-tete
con il capitano a pronunciare queste veridiche parole: “Tutto ciò che è
diverso, insolito, non piace all’americano medio. Ciò che non ha
impianti igienici come quelli in uso a Chicago è per lo meno assurdo.
[omissis] E poi….la guerra. Ha sentito anche lei i discorsi in
Parlamento, prima di partire. Se le cose andranno bene, sperano
d’impiantare tre città di ricerche atomiche e depositi di bombe atomiche
su Marte. Il che significa che Marte è finito”.
Parole che fanno riflettere, pronunciate nel 1950, giacché indicano il germe di un ecologismo ancora di là da venire.
Nel
novembre 2002 arrivano i missionari, che non potevano mancare. Non a
caso, il sacerdote che li guida si chiama padre Peregrine, chiaro
riferimento ai padri pellegrini del May Flower. Un anno prima, il
testardo colono Driscoll si era rifiutato di tornare sulla Terra, su
parere medico, a causa degli svenimenti che lo coglievano per via della
scarsità d’ossigeno dell’atmosfera marziana. Lui, caparbiamente, si era
messo a seminare alberi, in quello che oggi si chiama terraforming.
Così
i missionari trovano un’aria migliore. Informatisi su dove trovare i
marziani da catechizzare, viene loro suggerito di andare nei saloons
a convertire giocatori d’azzardo e prostitute, ma Peregrine s’impunta e
vuole a tutti i costi un approccio con i nativi. Allora gli spiegano
che a volte sulle montagne si vedono sfere di luce e qui Bradbury ci
azzecca in pieno nonostante quello caduto nel 1947 a Roswell, tre anni
prima dell’uscita del romanzo, non fosse precisamente una sfera di luce,
ma un disco volante dadi e bulloni.
Peregrine viene accontentato.
Ha la sua esperienza mistica nel deserto. Quelli che poco tempo prima
prendevano sembianze umane, ingannando i terrestri invasori in un
estremo tentativo di difesa, qui hanno solo la forma di sfere di plasma.
E non sono aggressive, ma amichevoli, tanto che salvano la vita al
missionario e ai suoi riluttanti confratelli. O almeno così lui si
convince.
Una bella predica di Peregrine, pronunciata per spiegare
il suo irremovibile zelo, è degna di essere qui riportata: “Se domani
scoprissi che gli elefanti di mare improvvisamente posseggono il libero
arbitrio, capacità d’intelletto, sapessero bene quando fare una data
cosa è peccato, conoscessero il valore della vita e temperassero la
giustizia con la misericordia e la vita con l’amore, allora potreste
essere certi che io andrei a costruire una cattedrale sotto il mare. E
se i passeri dovessero miracolosamente, per volere del Signore, ottenere
domani anime eterne, io caricherei una chiesa di elio e mi darei a
rincorrerli per il cielo e li seguirei ovunque, perché tutte le anime,
quale che sia la forma che le contiene, se hanno il libero arbitrio e
sono consapevoli dei loro peccati, arderanno tra le fiamme dell’inferno,
ove non siano stati loro impartiti i sacramenti”.
Degno del migliore Hermann Hesse!
E
si vede che Ray Bradbury non era stato ancora toccato dalle rivelazioni
del padre dell’etologia, Konrad Lorenz, sebbene gli studi di
quest’ultimo sulle oche risalgano agli anni Trenta, ma condotti in un
altro continente, all’epoca impegnato nell’autodistruzione. Oggi, grazie
anche agli studi degli etologi posteriori a Lorenz, sappiamo che gli
animali, in fatto di consapevolezza, non hanno niente da imparare
dall’uomo, ancora troppo presuntuoso. Colpisce, inoltre, nel pistolotto
di Peregrine, il malinteso senso di responsabilità del clero mediatore
tra le anime e Dio, che spinge i missionari a voler convertire a tutti i
costi i cosiddetti selvaggi, nella fattispecie le sfere di luce
marziane. Atteggiamento che nei secoli di colonizzazione europea degli
altri continenti è stato funesto per migliaia di riottosi “infedeli”.
Anche qui, come nel caso del proto-ecologista Spender, padre Peregrine
incarna la coscienza sporca dell’America.
Il clou del romanzo si ha, secondo me, con “Il marziano”, e siamo già nel settembre del 2005, tre anni dopo l’arrivo dei missionari. Dei marziani che assumevano sembianze umane per liberarsi dagli invasori non c’è più traccia. Estinti? Bradbury non lo dice.
Anche
di quelli che indossavano maschere d’argento, che veleggiavano sulle
sabbie a bordo di fantastici velieri e che rappresentavano forse gli
ultimi innocui partigiani rassegnati, non v’è più traccia. C’è solo
qualche sparuto superstite come quello che fa amicizia, in un dialogo
sfasato e assurdo, con Tomas, nell’agosto 2002, vittime entrambe di una
finestra temporale più che di una reciproca allucinazione.
Oppure
quello che nel settembre 2005 si presenta in una notte di pioggia a casa
degli anziani coniugi LaFarge, prendendo le sembianze del loro figlio
morto, Tom. Se il vecchio LaFarge sospetta qualcosa, quando si ritrova
in casa un essere in tutto e per tutto somigliante al ragazzo defunto,
la moglie Anne non mostra alcun turbamento e accoglie Tom senza fare
storie.
Purtroppo però, nel prosieguo del racconto, accade
l’irreparabile giacché i due anziani genitori insistono a voler portare
Tom in città. Questi all’inizio si rifiuta, temendo di cadere in
trappola (sic), ma alla fine accondiscende. In città, dove i due vecchi
avrebbero voluto andare al cinema con Tom, avviene ciò che il ragazzo
temeva. Nel pigia pigia della folla all’ingresso del cine, i Lafarge
perdono di vista l’adolescente.
Subito sentono un clamore poco
distante, con voci di gente eccitata e un capannello di persone che si
avvia verso la casa di Joe Spaulding, loro vecchio conoscente. La
notizia corre in un lampo: la figlia defunta dei coniugi Spaulding,
Lavinia, è improvvisamente tornata.
All’inizio i LaFarge non ci
fanno caso e cercano Tom per tutta la città, ma poi il marito di Anne ha
un’intuizione. Corre nella notte alla casa di Joe Spaulding, si
acquatta nel giardino e vede una figura femminile affacciata al balcone.
Le si avvicina stando nell’ombra e le rivolge la parola: “Tom, sei
tu?”. Insiste a lungo, bisbigliando per non farsi sentire dal padrone di
casa. Alla fine, Lavinia, la figlia rediviva, gli risponde: “Vattene
papà, non posso più venire con te e la mamma. Ormai è troppo tardi. Te
l’avevo detto che sarei finito in trappola”.
Il Lafarge, pensando
alla moglie rimasta ad aspettarli trepidante, insiste fino alle lacrime,
implorando Tom di non morire una seconda volta, ché Anne non lo avrebbe
sopportato. Così, Lavinia salta giù e il Lafarge si ritrova tra le
braccia Tom, il suo ragazzo perso tra la calca fuori del cinema. Si
accendono luci in casa. Un uomo armato di fucile si affaccia alla
finestra. Tom e suo padre si mettono a correre verso il luogo
dell’appuntamento con Anne. Sentono degli spari alle loro spalle. E urla
di disperazione della moglie di Spaulding, che non trova più Lavinia.
LaFarge
e Tom si separano, dandosi appuntamento al molo dove li aspetta Anne.
Il vecchio arriva prima e fa in tempo ad assistere ad un evento
pazzesco. Tom è inseguito da una turba di persone, tra cui un poliziotto
che ha riconosciuto in lui un ricercato. Gli altri lo chiamano con nomi
diversi, chi quello del padre, chi quello della moglie, chi quello del
figlio.
Tom alla fine, conteso da mille mani rapaci, cade nelle
braccia di LaFarge, ma il suo volto è una maschera mutevole. Cambia
continuamente a seconda dei nomi che vengono pronunciati, a seconda
delle mani che lo toccano. Il più esagitato è Spaulding che implora
Lavinia di tornare a casa. Mentre il poliziotto cerca di mettere le
manette ai polsi del ricercato, Tom in un ultimo spasmo si accascia a
terra, morto, quasi liquefatto, irriconoscibile.
La piccola folla si disperde, il poliziotto si allontana brontolando, Spaulding torna a casa barcollando come un ubriaco. Anne piange sommessa poco distante.
Siamo
in pieno clima “Ai confini della realtà” e, insieme al capitolo della
terza spedizione, in cui gli astronauti vengono uccisi dai fantasmi dei
loro parenti morti, Bradbury si rivela un grande maestro della
fantascienza.
Non c’è molto da aggiungere, se non lo scontato
olocausto nucleare della Terra, al quale anche i coloni di Marte si
sentono chiamati, attratti più da un istintivo cupio dissolvi, che dal desiderio di combattere per la propria madre patria.
Nel
2026, prima che l’umanità si autodistrugga del tutto, alcuni pacifisti
terrestri vanno su Marte in una specie di seconda colonizzazione, con
piccole astronavi tenute nascoste in garage, come utilitarie, dopo che
quasi tutti i primi coloni erano tornati sulla Terra a morire tra le
fiamme atomiche.
Il finale di “Cronache marziane” ha un sapore
melanconico, come quello del marzapane, tinto però di speranza in
perfetto stile da Arca di Noè. Alla prima famiglia, padre, madre e tre
figli maschi, che giungono su un pianeta coperto dalle antiche rovine
marziane e da quelle più recenti dei coloni, sta per aggiungersi
un’altra famiglia loro amica, con tre figlie femmine.
Ray Bradbury
sembra voler dire che la continuità della specie umana è assicurata,
nonostante la nostra congenita stupidità.
Una razza veramente coriacea.
scusa, sto facendo prove tecniche per una utente di Sl che mi ha chiesto come commentare qui...
RispondiEliminaAnonimo misterioso e pure servizievole! :-)
EliminaSai dirmi se c'è qualcuno su Stampa Libera che senta la mia mancanza?
Sì. Io.
Eliminae sai che mistero! sono io che faccio prove tecniche:-)
Eliminagià, sembra incredibile ma qualche utente chiede di te e qualcuno vorrebbe postare commenti qui ma non riesce, ecco il perchè delle prove tecniche.
ciao :)
@ Wasp
Eliminasei stato davvero carino a manifestare il tuo affetto.. anche tu in fondo sei un'anima scaraventata sulla Terra e non sai perchè, come tutti noi. Ribadisco, che tenerezza, mica è colpa tua se sei cecato e non vedi le scie, magari ti ci vuole molto più tempo degli altri, un pò di pazienza.. :-)
ciao
Ciao Alessandra. Chi ti ha detto che io non vedo le scie, ti ha detto una bugia. Io le scie le vedo benissimo tant'è che ne ho fotografate e pubblicate talmente tante foto che ho dovuto aprire un nuovo blog dato che il vecchio non me ne accettava più.
EliminaQuelle che io non vedo sono le "scie chimiche" tanto decantate dagli sciacomici, con il formaggino dolce in testa.
Un mistero nel mistero: in virtù di quali misteriosi difetti genetici Angelo Nigrelli non si è ancora accorto che lo Stato, e le autorità costituite in genere, nel mentre si mostrano servizievoli con i cittadini, attuano i loro piani di sfruttamento e di oppressione nei loro confronti?
EliminaQuali argomenti gli si può presentare per renderlo edotto della malvagità intrinseca, benché occultata, della struttura statale o sovrastatale esistente nella società?
Non sarà perché io ragiono e non mi bevo tutte le belinate partorite da tante menti in sofferenza?
EliminaVivi l'attimo... e sii felice! Del doman non v'è certezza.
Non focalizzarti solo sul problema delle scie chimiche, ma allarga la visione a tutto il resto.
EliminaSe mi fermano per strada per un controllo e scoprono che non ho pagato bollo e assicurazione, mi sanzionano sequestrandomi la macchina, ovvero rubandomi la vettura.
E' criminalità legalizzata.
Legalizzata da cosa?
Dal principio della sopraffazione in base al quale loro hanno il potere perché sono più numerosi di me e possono privarmi della libertà, del denaro faticosamente guadagnato e perfino torturarmi, se questo li gratifica.
Per me sono veri nemici, ma sono troppo numerosi per combatterli. Se ne ammazzo uno, o due o dieci, in breve ne spuntano migliaia di altri, come nei peggiori incubi horror, e alla fine mi uccidono.
Queste non sono belinate. Queste sono le regole della società fin dall'alba dei tempi, da quando:
1) gli alieni sono sbarcati sulla Terra imponendo le loro regole;
2) gli ominidi litigiosi si sono evoluti fino a diventare legioni divise in razze e nazioni su base gerarchica.
Scegli tu quale delle due opzioni ti è più consona.
Il risultato non cambia. C'è chi comanda e chi obbedisce. Io non voglio fare né l'una né l'altra cosa, da vero anarchico, ma sembra che non sia possibile.
O ho sbagliato io a nascere su questo pianeta o sono sbagliati loro, con le loro regole spietate e violente.
E poi tu mi vieni a dire di essere felice!
Ti hanno dato il "soma" uxleiano, per caso?
:-)
ah ma allora funziona anche senza account.. :-/ ?
RispondiEliminaRoberto ho provato più volte a postare dei commenti ma non ci sono riuscita, ora faccio un altro tentativo.
RispondiEliminaloto
Ah, Loto!
EliminaFiorellino esotico!
Credo che tu debba fare l'account.
Anch'io con Safari non posso commentare, ma con Firefox sì.
Veramente io mi chiamo Laura, ma poichè su SL postavano altre Laure ho scelto un altro nick e in quel periodo poichè mi stavo interessando al Sutra del Loto, mi è venuto in mente quel nome, però minuscolo per rispetto al Sutra.
EliminaCiao
Benvenuta Laura! Spero di averti tra i miei abituali frequentatori.
EliminaSembra che Freeanimals stia diventando il centro di accoglienza per i transfughi di Stampa Libera.
:-)
Bene sembra funzionare. A presto
RispondiEliminaCommento di prova
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