martedì 29 novembre 2011

Gettare il cuore oltre la tenda


I tedeschi sono diversi da noi. Quando si mettono in testa di combattere, combattono. Lo abbiamo visto nella seconda guerra mondiale e lo vediamo spesso durante le manifestazioni di protesta. Ciò che succede in Germania quando c’è di mezzo il nucleare, noi in Italia ce lo scordiamo [1]. Milletrecento arrestati! Ventimila poliziotti!
Negli anni migliori della nostra opposizione all’atomo civile, facevamo lunghe e festose catene umane tra Caorso e Piacenza, oppure andavamo a manifestare a Montalto di Castro. Siamo stati fin troppo bravi, come cittadini, a votare contro il nucleare nel referendum del 12 e 13 giugno scorso.

La Germania del nord, e in particolare la tratta ferroviaria che unisce Dannenberg alla Francia, è la Val di Susa tedesca: botte da orbi!
Ricordo ancora quando agli inizi degli anni Ottanta, il governo austriaco voleva ampliare l’aeroporto di Vienna, radendo al suolo non so quanti ettari di bosco. I manifestanti arrivarono da tutti i paesi germanofoni e si accamparono nella foresta, impedendo a ruspe e motoseghe di passare all’azione. Tennero in scacco la polizia per almeno un paio di settimane e alcuni attivisti legarono le amache a tre metri dal suolo, tra gli alberi, così che i poliziotti dovevano arrampicarsi sulle scale per tirarli giù.
Purtroppo non ho mai saputo se alla fine l’aeroporto fu ampliato: si tratta di quel genere di notizie che è meglio non far circolare troppo, onde evitare fenomeni di emulazione. Infatti, una ventina d’anni dopo, da noi è nato il comitato “No dal Molin”, contro l’ampliamento concesso dal comune di Vicenza alla base militare americana Ederle [2].
Quando seppi dell’accampamento alle porte di Vienna pensai che mi sarebbe piaciuto partecipare, ma conoscendo il principio del “pensare globalmente e agire localmente”, volli cercare di coinvolgere il maggior numero di attivisti della mia regione, o zone limitrofe, per impedire la costruzione di un allevamento di cavie. Si sapeva del progetto, ma i lavori non erano ancora iniziati. La mia idea era quella di montare le tende sul terreno concesso dal comune di San Pietro al Natisone all’azienda Fidia di Abano Terme [3], che a quell’epoca, grazie al Cronassial, era arrivata al quinto posto mondiale fra le industrie farmaceutiche. Poi venne il ciclone Tangentopoli e, scoperto, al valico con la Svizzera, il suo amministratore delegato con il baule dell’auto pieno di soldi, la Fidia precipitò agli ultimi posti della classifica.
Durante un congresso delle nascenti Liste Verdi, proposi ad Alfonso Pecoraro Scanio [4] di coinvolgere i verdi italiani nel progetto d’occupazione ad oltranza del terreno e, sebbene non mi dicesse né sì né no, colsi nel suo sguardo un che di compatimento, ovvero l’occhiata di un adulto che guarda i buoni propositi di un bambino per il nuovo anno. Forse gli facevo tenerezza, da quella brava volpe smaliziata che in fondo era.
In quel momento, Pecoraro Scanio non era nessuno, solo un avvocato rampante, ma l’arrivismo politico era già segnato nei suoi geni e lo avrebbe portato ad occupare la poltrona da ministro dell’ambiente. Sorvoliamo sul suo successivo operato, stendendo un velo pietoso.
Sorvoliamo pure sul movimento degli indignados, che anche in Italia ha piantato tende in alcune grandi città, poiché c’è chi dice che sia pilotato e, nonostante le botte che gli accampati si sono presi, messo in opera con l’approvazione dei banchieri.
Voglio invece menzionare l’iniziativa di due donne, che hanno annunciato di volersi accampare davanti ai cancelli dell’allevamento Green Hill, a Montichiari in provincia di Brescia, a partire dal 2 dicembre prossimo. Le due donne si chiamano Adriana Amerighi e sua figlia Benedetta Barsotti [5] e stanno per fare ciò che volevo fare io molti anni fa a San Pietro al Natisone, e non ho mai fatto. L’allevamento in quella valle del Friuli orientale poi si costruì lo stesso, anche se la Fidia, dopo essersi presa un bel gruzzolo di contributi regionali, lo vendette all’americana Harlan, leader mondiale nell’allevamento di topi e ratti per vivisezione.
Anche la Green Hill alleva cagnetti beagle per i laboratori, ma pare che ci siano buone possibilità che presto venga chiuso. Anche la Brambilla [6] se n’è interessata. Ora mi aspetto, nel caso in cui – deo gratias – il Green Hill venga chiuso, che qualcuno accusi gli animalisti di essere specisti, dal momento che un allevamento di cani riusciamo a chiuderlo, ma uno di topacci no. Come se dipendesse da noi chiudere gli allevamenti! E come se i posti di lavoro non siano diventati un tabù, contro cui è scandaloso scagliarsi!
Ho sempre sostenuto che le azioni dirette siano migliori delle manifestazioni con corteo per le strade delle città. Andare lì dove c’è il problema, facendolo anche diventare un problema d’ordine pubblico, se occorre, è senz’altro preferibile a un corteo silenzioso e, come si suol dire, pacifico. Dal punto di vista mediatico, il corteo pacifico avrà sì e no un trafiletto in cronaca locale, mentre un’azione diretta conquisterà le prime pagine dei giornali, specie se c’è sangue che scorre. Mi dispiace che le cose stiano così, perché noi, pacifisti, antinucleari e animalisti, siamo prevalentemente delle persone ragionevoli, ma se la nostra arma migliore è l’educazione del pubblico, è ovvio che vogliamo avere visibilità e raggiungere il maggior numero di persone.
Peccato che i giornali siano di proprietà dei padroni e ci dipingano come violenti e irragionevoli, rendendo le azioni dirette un’arma a doppio taglio e uno strumento da usarsi con cautela. Sarà per questo motivo che gli italiani ci pensano due volte prima di andare alle manifestazioni, anche quelle dichiaratamente pacifiche, figurarsi quelle più movimentate. Gli italiani si chiedono: “chi me lo fa fare?”, mentre i tedeschi, evidentemente, non hanno tale domanda retorica nel loro repertorio mentale.
I problemi, comunque, ai fini della buona riuscita di una manifestazione o di un’azione diretta, non vengono solo dai mass-media venduti ai padroni, ma anche dal nostro interno. Tutti abbiamo visto all’opera i black bloc e sappiamo da chi sono manovrati, ma di solito, chi organizza azioni di protesta, lo fa appellandosi alla Non Violenza, anche se il coraggio richiesto per condurre un’azione di tal fatta, non è alla portata di tutti.
Come se non bastassero le manganellate della polizia, a volte ci si mette di mezzo anche la sfortuna. Fu il caso di quel manifestante che nei pressi di Los Angeles voleva fermare un treno che trasportava munizioni. Benché il locomotore procedesse a bassa velocità, l’uomo non riuscì a saltar via in tempo dai binari e rimase gravemente ferito [7].
A volte non sono i treni a causare la morte dei dimostranti, anche se un macchinista, su quel treno californiano, ci sarà pure stato e avrebbe potuto frenare, ma sono gli oggetti stessi del contendere. E’ il caso di Vicki Moore, animalista inglese incornata da un toro a Pamplona o di David Chain, membro di “Earth first”, che intendeva impedire ad un taglialegna della società Pacific Lumber di abbattere una sequoia nel Grizzly Creek State Park e che morì schiacciato da un albero [8].
Spesso, a prescindere dalla presenza degli anarchici incappucciati funzionali al Sistema, ci sono ragazzi che si lasciano un po’ andare con le distruzioni. Ed è quasi fisiologico. Avvenne per esempio a Karwitz, in Germania, quando alcuni manifestanti scardinarono i binari della ferrovia, e sempre per impedire al treno delle scorie di transitare [9].
Insomma, prendere botte non piace a nessuno. Darle potrebbe piacere a qualcuno ma la cosa non è mai univoca e si deve mettere in conto anche di prenderle. Il perfetto ideale sarebbe la ragionevolezza, da entrambe le parti contendenti, ma la perfezione non è di questo mondo e quindi non ci resta che manifestare in tutti i modi possibili il nostro ponderato dissenso. Finché ce lo lasceranno fare. Accamparsi è buona cosa. Meglio se d’estate e con un bagno vicino. Meglio ancora con un pasto caldo a disposizione tre volte al giorno. Meglio ancora sarebbe starsene a casa, ma, come diceva quella canzone degli alpini, se-non-partissi-anch’io, sarebbe-una-viltà.
Dura la vita per chi vuol cambiare il mondo! Intanto che aspettiamo che la gente getti il cuore oltre la tenda, tocca darsi da fare.

Note:
[7] Corriere della Sera del 3.9.87
[8] Messaggero Veneto del 19.9.98
[9] Corriere della Sera del 7.5.96

Nessun commento:

Posta un commento