giovedì 24 aprile 2014

La patologia della globalizzazione

 

Il 70% delle nuove malattie che sono emerse negli esseri umani negli ultimi decenni sono di origine animale e, in parte, direttamente connesse con la ricerca umana di maggior cibo di origine animale. Questo è il dato di maggior significato che è emerso dal nuovo rapporto della Fao “World Livesstock 2013: Changing Landscapes Disease.
«La continua espansione dei terreni agricoli in aree selvagge, insieme al boom a livello mondiale della produzione animale, ha significato che il bestiame e la fauna selvatica sono maggiormente  in contatto, e noi stessi siamo a contatto, con animali molto più che in passato - ha dichiarato Ren Wang, vice direttore generale della Fao, del Dipartimento Agricoltura e tutela dei consumatori. Ciò significa che non possiamo affrontare la salute umana, la salute animale e la salute degli ecosistemi in modo isolato gli uni dagli altri, dobbiamo guardare a loro nell’insieme, e affrontare le cause della comparsa della malattia, la sua persistenza e diffusione, piuttosto che semplicemente combattere contro le malattie dopo che sono emerse».


I paesi in via di sviluppo devono affrontare un onere enorme per le malattie umane, del bestiame, e altre di origine animale ma che sono trasmettibili agli esseri umani e questo rappresenta un grave ostacolo allo sviluppo e alla sicurezza alimentare. Ricorrenti epidemie del bestiame incidono sulla sicurezza alimentare, sui mezzi di sussistenza e sulle economie nazionali e locali dei paesi poveri.
Nel frattempo, i rischi per la sicurezza alimentare e la resistenza agli antibiotici sono in aumento in tutto il mondo, anche a causa della globalizzazione e del cambiamento climatico. Secondo quanto riportato nel rapporto “World Livestock 2013” ,“l‘incremento demografico e la povertà, insieme a sistemi sanitari e infrastrutture igienico-sanitarie inadeguati, restano importanti motori della dinamica della malattia. Ma nella spinta a produrre più cibo, gli esseri umani hanno ricavato vaste aree di terreno agricolo in aree precedentemente selvatiche, mettendo se stessi e i loro animali in contatto con le malattie della fauna selvatica.  Infatti, la maggior parte delle malattie infettive che sono emerse negli esseri umani dal 1940 ad oggi si possono far risalire alla fauna selvatica- continua il rapporto Fao.

Ad esempio, è probabile che il virus della Sars emerso negli esseri umani sia stato trasmesso prima dai pipistrelli alle civette e, infine, si è esteso agli esseri umani attraverso i mercati di animali. In altri casi, si è verificato il contrario: il bestiame ha introdotto agenti patogeni in aree naturali, che hanno avuto conseguenze sulla salute della fauna selvatica.  Contemporaneamente molti più esseri umani sono in movimento rispetto al passato, e il volume delle merci e dei prodotti nel commercio internazionale è a livelli senza precedenti, fenomeni che danno agli organismi patogeni la possibilità di viaggiare per il globo con facilità”.  Le fluttuazioni climatiche, poi, stanno avendo un impatto diretto sul tasso di sopravvivenza ambientale degli agenti patogeni, soprattutto nelle zone calde e umide, mentre il cambiamento climatico influenza gli habitat degli ospiti, i modelli migratori e le dinamiche di trasmissione della malattia.  Nel rapporto viene specificato inoltre che il modo in cui gli esseri umani allevano e commerciano gli animali hanno avuto effetti su come le malattie emergono e si diffondono.
                                                                                                                                                                 
La maggiore richiesta, nella dieta, di proteine animali ha portato ad un aumento dell’allevamento di bestiame con vantaggi nutrizionali, ma che ha generato anche una serie di problemi come il rischio maggiore che agenti patogeni di origine animale passino all’uomo. Secondo la Fao per ovviare a questa criticità è necessario un maggior investimento in prevenzione. A tal fine l’organizzazione dell’Onu  sostiene l’approccio “un’unica salute”, guardando all’interazione tra fattori ambientali, salute degli animali e salute umana e facendo sì che professionisti della salute umana, veterinari, sociologi, economisti, ecologisti lavorino insieme nell’ambito di un quadro olistico.

Il rapporto della Fao individua quattro fronti principali d’intervento: ridurre gli oneri per gli esseri umani e per gli animali delle malattie endemiche derivanti dalla povertà; affrontare le minacce biologiche provocate dalla globalizzazione e dal cambiamento climatico; fornire gli alimenti di origine animale più sicuri; impedire che gli agenti patogeni passino dalla fauna selvatica agli animali domestici e all’uomo.
«C’è infine bisogno di meccanismi più forti per lo scambio internazionale delle informazioni sulle malattie degli animali in generale, così come sulle migliori pratiche di allevamento del bestiame e la gestione dei rischi per la salute degli animali, nell’ambito della strategia “Un’unica salute”», hanno concluso dalla Fao.

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