Testo di Guido Ceronetti - liberamente
tratto da "Lo scrittore inesistente"
- aprile 1995
Sulla
distruzione organizzata e ingentissima di animali a sangue caldo eccessivamente
miti quando cadono queste strazianti feste religiose, vale la pena che anche
una pagina politica dica qualcosa. Trattandosi
di un ottimo affare, industriale-commerciale e turistico, parlarne sveglia
subito il cane politico,nella sua funzione di guardiano degli affari. Ma la
faccenda riguarda un po' tutto, in quanto un consumodi massa che gronda
sofferenza e sangue di esseri viventi non è un fatto privo di conseguenze. Di conseguenze
che la ragione calcolante non può mettere in percentuali. Si tratta di
conseguenze che non si vedono. Ma nessun atto passa senza lasciare un segno.
Tiratemi
fuori dai libri un qualsiasi greco antico e vi dirà che uno o dieci animali
sacrificati possono chiamarsi un rito propiziatorio, ma
trecento-cinquecentomila messi in fila per macellazione in serie e poi a
sgocciolare in giganteschi mercati refrigerati, per milioni di bocche
indifferenti, e neppure affamate, in base ad un appuntamento con il calendario,
sono peccato di misura oltrepassata, di legge divina violata, il più certo dei
peccati in qualsiasi società o tempo, e l'unico che non resti mai impunito,
l'unico che non sia perdonato.
Non
ho tabelle. Immagino che la sola Europa occidentale consumi, nei giorni di
Pasqua, tra cristiani, atei, ebrei e mussulmani acclimatati, parecchi milioni
di capi di ovini.
Tutto questo in città e campagne da cui la festosità della
festa è da un pezzo sparita. Ci vuole l'agnello perchè è Pasqua. Ma perchè è
Pasqua? Si chiede l'agnello.
Allora ecco: beati quelli per cui non è Pasqua e
che memori del legame nostro col tutto, mangeranno cose di giorni qualunque
senza contenuti e ricordi di sangue, senza lamenti da mattatoio; una pasta e
fagioli nè d'Oriente nè d'Occidente, un'insalata nè ebraica nè
cristiana...Beati quelli che in ogni giorno dell'anno salveranno l'agnello. E
la vacca. E il vitello. E il coniglio. E il maiale. E lo struzzo.
Guardatevi
intorno. C'è da raccogliersi e pensare, ma non abbiamo motivi per far festa.
L'odore di eresia dell'astinenza dal mangiare l'agnello, ovviamente drastica e
si faccia regola di vita, disturba, giustamente, i cardinali. In un paese
cristiano sempre ebbe vita difficile, ti metteva fra i sospetti, astenersi
dalla carni. Sarebbe bello certamente lasciarli soli, vescovi e cardinali, a
mangiare arrosto di agnello in mezzo a un ribollire di astensioni
minacciosamente miti.
Siamo schiavi del ventre in un pianeta senza pietà: ma
giustificazioni e autorizzazioni divine a mense macchiate di sangue sono
intollerabili storture.
La fusione fra consumo di massa e tradizione religiosa
ha qualcosa di perverso che ci colloca tutti quanti nel disegno incosciente,
come un sintomo patologico inavvertito, di una bieca e opaca soddisfazione. Una
festa di finzione, che sopravvive per forza di calendario, in un ambiente
stravolto, non ha niente di buono, di rasserenante e finisce in sbracate
indigestioni.
Gli allevamenti di animali da macello, vere concentrazioni di
dolore, rispecchiano la vocazione al genocidio, agli stermini di massa. E' uno
dei grandi silenzi di colpa e di infamia delle economie di prosperità.
L'animale che patisce ci giudica. Uomini spiritualmente nulli e tecnicamente
potentissimi verso ogni debole si drizzano sadici. Come si vede la riflessione
sull'agnello porta a considerazioni molto attuali sul senso e la freccia di
questa economia del consumo e della distruzione, e sul nocciolo sadico di un'antropolatria
che è il frutto velenoso dell'empietà e dell'indifferenza.
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