mercoledì 6 marzo 2013

Etica e morale, sorelle siamesi





Testo di Joe Fallisi







Etica e morale significano esattamente la stessa cosa e già il concetto generale di giustizia è superiore, perché dalle consuetudini normate (transeunti e relative ai vari gruppi umani) essa può e deve persino prescindere. 

Un qualunque vivisettore non è "privo di etica", se con questo termine si intende ciò che esso designa: costume che si fa regola. Allo stesso modo, per fare un altro esempio, l'infibulazione è "etica" in alcuni contesti tribali, ma non per questo cessa di rappresentare una delle forme più atroci di violenza sulle donne. Non di etica, infatti, o di morale hanno bisogno gli esseri viventi, ma di equità, principio – e possibile sentimento comune – rispetto alla giustizia ancora più alto e meno relativo. 


La cui base ritengo si possa trovare, paradossalmente, nella visione della natura non umana. Su di essa noi riversiamo l'immagine del "male", del "non senso" elaborata dalla nostra coscienza/falsa coscienza specifica (coscienza infelice). Nondimeno continua a vivere come meraviglioso insieme di organismi in perenne trasformazione armonica ed equilibrio, unione di cosmi, COSMO.

Il concetto di equo rimanda, in senso unitario, a quello di "equilibrio", di "armonia", e, appunto, di "cosmo". E il "meraviglioso insieme" di cui sopra rimane tale – può essere percepito e valutato in questi termini – anche in presenza di sofferenza e dolore, che sono, per qualunque ambito della manifestazione, elementi intrinseci alla vita, così come, del resto, il piacere e la gioia (su questo terreno, in relazione alla critica dell’ideologia consolatoria falsificante la realtà, Nietzsche ha scritto pagine di fuoco). 

Sta di fatto che ogni complesso strutturato e vario di organismi viventi non-umani offre alla contemplazione non proiettiva un’immagine di bellezza cosmica, cioè di armonia profonda in perpetuo divenire-equilibrio. Dove ogni forma che nasce e muore si integra in modo organico alle altre, nessuna impone su tutte la propria tirannia, né, tanto meno, tende a distruggere l'oikos, la casa comune, e/o a sostituirla con un suo simulacro fantasmatico. L'animale umano, viceversa – in modo specialissimo la "razza padrona" dell'uomo pallido negli ultimi cinque secoli – è proprio questo che fa in virtù del suo cervello prodigioso e tremendo e di una volontà di potenza che ha ormai come suo fine esplicito quello di non averne.

Le ideologie del "sol dell’avvenire" si sono dissolte come ectoplasmi e proprio quelle che hanno fornito il supporto e la giustificazione allo "sviluppo" e al "progresso" risultano sempre più al servizio della macchina divorante, ormai senza freno, mondo, bios, uomini, animali, natura. Adorno, anche lui accusato d'essere "reazionario", "nostalgico", vedeva -denunciava la ratio dell'illuminismo trasformarsi nel mostro che avrebbe portato alla reificazione definitiva delle anime e dei corpi: da mezzo grandioso di liberazione ad ancella prima, "scientifica", della tirannia e dello status quo. Questo processo è oggi talmente approfondito e generalizzato che sembra persino folle poterlo mettere in discussione al di là delle chiacchiere, perché tutti ci troviamo dentro l'ingranaggio, chiusi nella cupola di piombo... macinati, lavorati, plasmati... 

Così, non è illogico che  provengano in gran parte da ambiti "tradizionali", capaci, nel loro immobilismo, di mantenere un freno e una sorta di barriera alla corsa disastrosa, spunti critici utili a fare qualche minima breccia. Il tirannoantropo ora si contempla con orrore e vede in sé, invece del dio in terra "laico" ed  "emancipatore", un disgraziato, un poveraccio delirante, malatissimo, servo volontario e devastatore il cui telos è la pura astrazione, il nulla. Ma, piuttosto che invertire la rotta catastrofica, produce nuova falsa coscienza. Non gli servirà a niente.

Marx, Bakunin, Kropotkin, i rivoluzionari dell’800-900 quasi senza eccezione (al di fuori dei Naturiens e di pochissimi altri), non percepivano e neanche presentivano l'impatto sempre più catastrofico del "progresso" umano nei confronti del mondo. 

Si auguravano - immaginavano, tutti loro, con l'occhio puntato esclusivamente sull'uomo e la sua storia, un possibile avvenire radioso sol che quest'ultimo fosse riuscito a sbarazzarsi delle catene di classe. Senza rendersi conto che quei ceppi avevano a loro volta radici antichissime e sempre nuove nella tirannia infinita sulle altre specie e che la natura stessa, concepita come riserva di caccia, "bestia" - cosa da domare e riplasmare a piacimento e pozzo cui attingere senza tregua, un giorno (molto presto) avrebbe comunque presentato il conto. 

Non solo non è giunta la palingenesi della società, ma il tempo delle loro speranze è stato seguito, in rapida successione, da due massacri mondiali. Quel tentativo, quell'ipotesi, con tutte le sue grandezze, verità e illusioni, è dietro le nostre spalle. Nessun esorcismo, nessuna preghiera o giaculatoria ridarà vita ai morti. 

Joe Fallisi

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