Testo di Paolo Becchi
A pochi mesi dallo sfratto, Juncker cerca di rifarsi una verginità. Peccato che quello che dice non abbia alcun senso. Nelle sue dichiarazioni di ieri, rese in aula a Strasburgo in occasione delle celebrazioni dei vent’anni della moneta unica, il Presidente della Commissione europea ha tentato di fare un mea culpa ammettendo che «non siamo stati sufficientemente solidali con la Grecia e con i greci». E no caro Juncker, non puoi mangiarti i figli come il Conte Ugolino e poi far finta di piangere.
L’atteggiamento che la Commissione europea assunse con la Grecia nell’estate 2015 fu tirannico proprio per i meccanismi che regolano l’euro. La moneta unica, infatti, impone il pareggio di bilancio e la riduzione a ritmi serrati del debito pubblico, che tradotto significa esattamente quello che le istituzioni europee fecero alla Grecia quasi quattro anni fa. Per salvare l’euro era necessario distruggere i diritti sociali dei greci, dalla sanità alle pensioni e ai salari, esattamente quello che la Commissione presieduta da Juncker mise in atto nei confronti di uno Tsipras costretto alla resa incondizionata. La simbologia della cravatta, che il premier greco tornò a mettersi dopo l’accordo, rappresenta ancora oggi la dimensione figurativa dell’eurozona: l’impiccagione dei popoli sull’altare della sostenibilità finanziaria per garantire i cosiddetti creditori, cioè coloro che prestano agli Stati i soldi a strozzo (Bce, Ue e Fondo Monetario Internazionale).
POCO CREDIBILE
Il fatto che quelle di Juncker siano lacrime di coccodrillo è dimostrato dalle sue stesse parole con le quali tenta di salvare capre e cavoli: «L’euro è un progetto che ha avuto successo, cui all’inizio credevano in pochi». Come si può dire una cosa del genere? L’euro è ancora oggi, dopo vent’anni, una moneta senza Stato e senza una Banca centrale che funga da prestatrice illimitata di ultima istanza, tant’è che alla sua prima crisi gli Stati sono stati costretti a scaricare il peso delle speculazioni su cittadini e imprese.
ATENE SVENTRATA
Certo, se consideriamo che la Grecia è stata letteralmente sventrata nei suoi diritti fondamentali, l’euro in effetti è stato un grande successo. Ma un successo per la finanza internazionale, non per il popolo greco! Non a caso, tanto per elencare uno dei tanti aspetti critici della moneta unica, per poter tornare ad essere competitivi gli Stati dell’eurozona – non potendo più scaricare il peso della competitività sulla moneta – sono costretti a scaricarlo sul lavoro, cioè sui salari e i diritti dei lavoratori e sulle imprese con l’aumento delle tasse.
E questo sarebbe un successo?
In realtà Juncker ci prende per i fondelli, cercando di garantirsi ancora un futuro e forse qualche posto da pensionato di lusso glielo troveranno, in fin dei conti il suo sporco lavoro lo ha portato a compimento: l’euro non è stato certo un successo ma dopo venti anni ancora resiste, sempre più barcollante come Juncker.
......e l'ebreo ingrassa!
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