venerdì 25 gennaio 2019

Una magistratura sempre più grottesca


Testo di Paolo Becchi

Non accade mai, ma se ti chiami Matteo Salvini può succedere. Ogni volta che la Procura della Repubblica (la magistratura inquirente) chiede l’archiviazione nei confronti dell’indagato, quasi sempre il Tribunale (la magistratura giudicante) dispone l’archiviazione. È raro che un Tribunale faccia di testa sua. Ma se di mezzo c’è Salvini, che tra le altre cose ha svuotato la mangiatoia ai molti che lucrano sull’immigrazione, allora la magistratura si sente in “dovere” di processarlo. Vediamo cosa può succedere adesso. 


Il Tribunale dei Ministri, competente per i reati ministeriali (cioè commessi dai membri del governo nell’esercizio delle loro funzioni), giudica solo nella fase delle indagini preliminari (quelle attuali). Dopo di che, una volta che si è deciso di fare il processo, gli atti dal Tribunale dei Ministri passano alla presidenza della camera di appartenenza del ministro indagato, nel caso di Salvini il Senato. A quel punto la Giunta per le autorizzazioni a procedere, presa una decisione, dovrà poi trasmetterla all’aula per il voto finale, che dovrà arrivare entro il termine di due mesi. Se l’aula del Senato respinge la richiesta a maggioranza assoluta, il processo non avrà luogo. In caso contrario il ministro sarà processato non più dal Tribunale dei Ministri bensì da quello ordinario, come se si trattasse di un comune delinquente.

La linea difensiva di Salvini è semplice, il ministro dell’Interno potrà invocare di aver agito «per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante», ovvero «per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo». In pratica quell’ampio spazio della discrezionalità amministrativa di cui dispone un qualsiasi ministro della Repubblica che, stando alla formula del giuramento pronunciato davanti al capo dello Stato il giorno dell’insediamento del governo, esercita le sue funzioni «nell’interesse esclusivo della Nazione».

INTERESSI DIVERSI
Il problema non è “tecnico” ma politico. Gli apparati dello Stato, in questo caso una parte dell’Ordine giudiziario, qualche volta non rispondono al supremo interesse della Nazione ma a logiche del tutto differenti, talvolta di appartenenza politica, talvolta per soddisfare indicibili interessi in gioco. Processare un ministro perché tenta di salvaguardare la sicurezza dei suoi cittadini è però grottesco. Il caso è di dominio pubblico e riguarda l’ordine che Salvini diede nel mese agosto di non far sbarcare nessuno dalla nave Diciotti, colma di migranti. Matteo, con quella decisione, non fece altro che salvaguardare la sicurezza nazionale, cercando di perseguire un preminente interesse pubblico (quello della sicurezza per l’appunto) nell’esercizio delle sue funzioni di ministro competente in materia.

In caso di condanna si creerebbe un precedente molto pericoloso perché, da quel momento in poi, per paura di finire sotto processo, qualsiasi altro ministro dell’Interno non impartirebbe più ordini come quello impartito da Salvini. E allora addio sicurezza. Salvini farebbe bene ad evitare un processo politico che potrebbe anche concludersi con una sentenza di condanna. La cosa migliore da fare è che Lega e M5S, unitamente a Forza Italia e Fratelli d’Italia, votino compatti in Senato per respingere l’autorizzazione a procedere. Contro un processo politico occorre che il Parlamento risponda con un atto politico. I numeri a Palazzo Madama ci sono e l’Italia non ha bisogno di martiri.

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