martedì 11 ottobre 2011

Gli altri sono il nostro inferno



Lo diceva Jean Paul Sartre: “L’enfer c’est les l’autres”.
Ma chi sono questi altri, conosciuti anche come il nostro prossimo, che ci è stato richiesto – contronatura – di amare come noi stessi?
Gli altri sono:
1) Il vicino di casa troppo invadente e dispettoso [1]
(sottocategoria: i gatti o i cani del vicino rispettivamente da avvelenare o da prendere a fucilate);
2) L’automobilista che osa sorpassarci [2];
3) Il funzionario pubblico che ci fa penare per darci un certificato richiesto dalla pubblica amministrazione;
4) Il legislatore che taglia i finanziamenti agli insegnanti di sostegno e li aumenta all’aeronautica militare;
5) Il partner che, dopo il matrimonio, subisce un processo di mostrificazione [3];
6) I genitori o i figli che si rivelano impossibili da sopportare [4]
(sottocategoria dei figli: quelli non ancora nati che vengono abortiti e quei cani che, divenuti troppo ingombranti, vengono buttati via).
Di questo parleremo.
 
Tre casi recenti:

Acerra 23 settembre:
Malta 6 ottobre:
Venezia 7 ottobre:
Per chi non avesse voglia di leggersi gli articoli, sintetizzo che in tutt’e tre i casi sono stati i padroni dei cani a cercare di uccidere il proprio animale. Nel caso di Venezia il cane è stato salvato, dopo che il proprietario voleva annegarlo legandogli una bombola di gas al collo, ma negli altri due casi i cani sono morti, nonostante l’intervento per salvarli.
Il confronto con il boxer gettato nel cassonetto a Malta è utile perché, nonostante i maltesi siano un popolo primitivo, hanno leggi anglosassoni che mirano a proteggere gli animali e il padrone ha avuto per direttissima una condanna di nove mesi di prigione, mentre in Italia, anche nel caso di flagranza di reato come è successo ad Acerra, non è prevista detenzione ma solo multe.
Il che mi porta a concludere che se l’abbandono estivo dei cani è imputabile non solo ai padroni, ma anche a ristoranti, alberghi e negozi che vietano l’ingresso ai cani accompagnati, così le uccisioni arbitrarie da parte di persone ignoranti e senza scrupoli sono da addebitarsi a una legislazione da Terzo Mondo che paragona l’uccisione di un membro della famiglia a un divieto di sosta. Finché non ci saranno pene più severe, si ripeteranno di generazione in generazione gli stessi barbarici comportamenti, facendo di noi italiani lo zimbello e la vergogna d’Europa.
Se nel sud Italia trovano terreno fertile ben quattro tipi di mafie: Camorra, N’drangheta, Sacra Corona Unita e Mafia propriamente detta, è perché c’è una barbarie diffusa fra la popolazione di cui il maltrattamento degli animali è cartina al tornasole. Ma questo non posso dirlo sennò mi prendete per leghista.
Se nel profondo sud come nel profondo nord d’Italia i cani vengono bolliti vivi, impiccati, presi a fucilate, avvelenati e trascinati legati dietro l’auto, è perché c’è una parte di popolazione dedita al lavoro dei campi o all’allevamento o al lavoro alienante di fabbrica che con il proprio criminale comportamento dà spesso dimostrazione della bassezza umana. In altre parole, ci sono migliaia di uomini zotici, cafoni, burini, villici e villani che non hanno mai preso in mano un libro in vita loro, a parte il sussidiario, e che costituiscono la feccia putrida della società. Ma questo non posso dirlo sennò mi prendete per un cittadino snob e arrogante che odia l’agreste vita dei campi, tanto decantata da poeti e scrittori dell’antichità.
Perciò, onde ridurre al minimo le contestazioni, lascerò che siano i fatti di cronaca a parlare per me. Aggiungo solo che, confrontando i tre casi sopra riportati, avvenuti nell’anno del Signore 2011, con quelli accaduti negli anni scorsi, noto che non vi è stato alcun miglioramento nella società, a livello pratico, se non forse un aumento della sensibilità da parte di sempre più persone. Ma anche tale sensibilità viene criticata e contrastata da un esercito di imbecilli, vera stirpe italica.
In Italia c’è una casistica immensa di casi di violenza ai danni dei cani, ma ne riporto qui solo alcuni, tratti dal mio disordinatissimo archivio personale. Si noti che i casi riportati non sono accaduti solo nel meridione d’Italia, ma rappresentano lo Stivale da nord a sud, indifferentemente e quindi non mi si può accusare di razzismo o di appartenenza alla Lega Nord.
1982. I sindaci dei comuni di Scandiano, Casalgrande, Baiso e Castellarano, in provincia di Reggio Emilia, emettono ordinanze per la soppressione dei cani randagi. In tutto diciotto volontari armati di fucile si fanno avanti per attuare le battute di caccia. Diciassettemila lire per ogni cane abbattuto vengono messe in palio. Su denuncia delle associazioni zoofile (all’epoca non ci chiamavamo animalisti), viene interpellato il pretore di Scandiano che però manda assolti i sindaci ma condanna i guardiacaccia e i veterinari per falso ideologico, cioè per aver mentito ai pubblici amministratori. Quattro anni dopo, nel 1986, il Partito Radicale presenta un’interrogazione parlamentare sull’episodio, evento che, come quasi tutte le interrogazioni parlamentari, lascia il tempo che trova.
1983. A Firenze, un addetto alle scuderie del locale ippodromo impicca il suo maremmano che aveva morsicato un ragazzo. Interrogato in merito alla spietata esecuzione, rispose che lo aveva eliminato affinché non mordesse più nessuno.
A Roma, due pastori sardi legano dietro la loro FIAT Campagnola e trascinano per 5 Km sul Grande Raccordo Anulare un meticcio colpevole di aver ucciso alcune loro pecore. Il veterinario accorso sul posto, dopo che i criminali erano stati fermati da due guardie giurate, viste le gravi ferite riportate dall’animale, non poté far altro che sopprimerlo.
1984. A Ostia, in provincia di Roma, un bambino venne sbranato sulla spiaggia da un branco di cani vaganti. Nelle settimane seguenti un’ottantina di cani vengono trovati avvelenati o uccisi a bastonate, compresi cani di famiglia che non uscivano mai dal recinto di casa. Ignoti s’introducevano nottetempo nei giardini privati per ucciderli.
1986. A Sorrento, in provincia di Napoli, ci fu l’ennesima strage di cani impiccati e avvelenati. La denuncia del massacro venne inoltrata da un gruppo d’insegnanti elementari dopo che un cane preso a fucilate si era introdotto nel cortile della scuola per trovare rifugio. I bambini erano spaventati nel vedere i loro beniamini uccisi immotivatamente.
1994. A Pulfero, in provincia di Udine, un cinquantenne fracassò il cranio della sua cagnetta e la gettò, ancora viva, nel cassonetto delle immondizie. Denunciato, ebbe la solita multa irrisoria.
2002. A Tolmezzo, in provincia di Udine, un dipendente comunale addetto al canile municipale uccise a bastonate tre cani ospiti della struttura senza che venisse mai scoperto, né sanzionato.
A Casatico di Marcaria, in provincia di Mantova, due ortolani gettarono in un calderone d’acqua bollente il cane Aronne, che morì dopo dodici giorni di agonia. La proprietaria denunciò gli energumeni che si giustificarono dicendo che il cane calpestava le aiuole delle verdure. Patteggiarono ed ebbero 8.000 euro di multa, ma al mercato la gente evitava di comprare le loro verdure e per un periodo li trattò come appestati. Di notte qualcuno s’introdusse nel cortile dove era avvenuto il fattaccio e diede fuoco a un trattore ivi parcheggiato. Evidentemente, il senso di giustizia era leggermente migliorato rispetto ai vent’anni precedenti. Un esempio di come la società vada più veloce dei codici penali.
2003. A Carbonera, in provincia di Treviso, un settantacinquenne impiccò la cagnetta Eva senza che nessuno della sua famiglia lo fermasse. I dipendenti di una fabbrica lì vicino assistettero all’impiccagione, cercarono di intervenire ma i familiari dell’anziano non li fecero accedere al cortile. I carabinieri arrivati sul posto trovarono la cagnetta gettata sul letamaio, dato che il responsabile si era accorto di essere stato scoperto. L’uomo, multato, non volle mai spiegare le motivazioni del suo gesto. In seguito, ci fu un corteo per le strade di Treviso, a cui parteciparono circa trecento persone, che vollero portare l’attenzione dell’opinione pubblica su quell’episodio in particolare, ma anche su tutti quelli che rimangono nell’ombra, senza un colpevole. Se si va a vedere l’estrazione sociale dei soggetti coinvolti, nella quasi totalità sono o allevatori o contadini, ma la buona notizia è che la gente è disposta a mobilitarsi scendendo in corteo per le strade e anch’io vi andai con i due cagnetti che avevo all’epoca.
Morale della favola: continuano gli episodi di crudeltà e uccisioni arbitrarie da parte di componenti della società che si possono considerare come fossili viventi e che si spera possano estinguersi in breve, ma per fortuna cresce anche il convincimento che i cani (ma ovviamente anche i gatti) siano a tutti gli effetti membri della famiglia che li ha adottati. C’è come una forbice che si va allargando: da una parte l’entrata a pieno titolo di cani e gatti fra i possessori di diritti, cosa che fa storcere il naso agli specisti incalliti. E dall’altra un aumento inspiegabile e incontrollato di comportamenti barbari e illegali nello stesso tempo, come i combattimenti fra cani eseguiti da immigrati dai paesi dell’est europeo. Ma anche questo forse non lo posso dire, cioè non posso puntare il dito contro albanesi e serbi sennò vengo accusato di essere razzista.
Resta, per completare il percorso di riconoscimento dei diritti fondamentali a cani e gatti, il permesso di entrare nei supermercati e in chiesa, anche se quest’ultimo punto sarà il più difficile da attuare. Personalmente, in una società che si sta espandendo, se dovessi scegliere come nuovi cittadini (presso tutti i Comuni d’Italia c’è uno sportello che si chiama così) un albanese o un maremmano, non avrei dubbi, poiché il maremmano non viene a rapinarmi in casa con il passamontagna in testa. Oltretutto, se un rapinatore albanese è, per molti di noi, l’inferno, un carlino o un labrador sono, per molti di noi, il paradiso. Checché ne dicano i benpensanti antropocentrici. Che invito a smentirmi se ne sono capaci.


Note:

2 commenti: