Un Hare Krisna una volta fece un’arguta osservazione: se Dio avesse voluto che noi mangiassimo gli animali, li avrebbe creati già cotti!
Da questa intuizione potrei partire per chiedere come mai Dio, a Noè appena uscito dall’Arca, disse che avrebbe potuto mangiare gli animali senza avvisarlo della pericolosità di alcuni di essi. E cioè, perché non ci mise in guardia del fatto che forse gli animali si sarebbero opposti al suo volere? Che eretiche, queste bestie!
Come mai non avvisò i superstiti del Diluvio che anche tra i pacifici bovini si sarebbero annidati pericolosi maschi aggressivi che non si sarebbero lasciati macellare tanto facilmente, ma che avrebbero venduta cara la pelle?
Forse Dio voleva che gli uomini si accorgessero da soli quali animali sarebbero stati facili da uccidere e quali no, ma se avesse aggiunto una postilla, fra le tante astruse avvertenze del Levitico e del Deuteronomio, quei due allevatori piacentini morti il 5 ottobre scorso sarebbero stati più attenti e forse sarebbero ancora vivi:
Io, laicamente, penso che Dio non abbia mai detto che gli animali si potevano mangiare e credo che l’Homo sapiens abbia imparato a sue spese quali piante e quali animali sono commestibili. Ancora in epoca medievale ci furono dei monaci che mangiarono lo stramonio, trovato in cortile dal loro sprovveduto cuoco, e ci lasciarono le penne. Chissà quanti nostri progenitori morirono per aver mangiato bacche velenose o per essere stati incornati da bisonti o sbranati da tigri dai denti a sciabola!
La concessione data da Dio nel Genesi è in realtà un escamotage dei rabbini che non volevano rinunciare alle saporite carni arrostite di bovini, ovini e caprini e disonestamente misero in bocca a Dio l’autorizzazione a nutrirsi di carne animale, dopo che già da qualche secolo gli ebrei avevano smesso di mangiare quella umana. I preti, si sa, di qualunque religione siano, sono dei gran furbacchioni, come disse anche Nietzsche.
Oltretutto, gli esseri umani hanno da molto tempo, da prima ancora che venisse scritta la Bibbia, una certa predilezione per mucche e tori. Le prime per la bontà delle loro carni (e la facilità con cui si lasciano macellare) e i secondi per il vigore e la forza che dimostrano. Lo si vede negli affreschi di Cnosso, a Creta, con le evoluzioni acrobatiche di giovani atleti e con la tauromachia che in Spagna e Messico non è stata ancora abolita. Addirittura Pasifae [1], moglie di Minosse, si accoppiò con un bellissimo toro, dalla loro unione nacque il Minotauro e questo significa che anche ai greci la forza dei tori faceva una certa impressione.
Il fascino esercitato dai tori sugli uomini, compresi i babilonesi che li raffiguravano alati, secondo me risiede nelle corna. Infatti, ci sono amanti della caccia grossa che si riempiono la casa con trofei di gazzelle, antilopi e altri ruminanti dotati di micidiali protuberanze frontali. Fra di essi, il pericolosissimo bufalo cafro è il più ambito. Ovviamente, tra gli acrobatici giovinetti cretesi che riuscivano a non farsi incornare dai tori, volteggiando su di essi, e i sedentari cacciatori moderni armati di fucile dal mirino telescopico, non c’è confronto, in fatto di coraggio. Eppure, anche alle nostre latitudini, presso menti patologiche, o forse solo arcaiche, un bel cervo dal palco ramificato resta un bersaglio desiderabile. I maschi, com’è noto, portano le corna più vistose e, al di là di un facile e scontato umorismo, i cacciatori amano uccidere i maschi dei cervidi o dei bovidi portatori di bei palchi.
Come le femministe hanno inventato la cosiddetta invidia del pene, io mi chiedo: esisterà mica, tra i cacciatori, l’invidia delle corna? Sarà mica per un’inconscia consapevolezza di scarsa virilità che i cacciatori – invidiosamente – ammazzano i cervi maschi? O, in Africa, le gazzelle e le impala meglio dotate? Sarà per una sensazione d’impotenza che, sotto sotto, i toreri spagnoli infieriscono sui tori nelle arene?
Se i cinesi, nella loro stupida medicina tradizionale, riescono ad attribuire poteri afrodisiaci al corno di rinoceronte, solo per la sua forma, non sarà che le corna dei tori suscitino lo stesso subliminale sentimento d’ammirazione di tipo sessuale, moltiplicato per due? Anche le femmine dei bovini hanno le corna, ma c’è qualcosa in esse che le rende inadatte a ricoprire il ruolo di feticci sessuali. E così i castrati buoi. E’ la mansuetudine.
“T’amo o pio bove, e mite un sentimento di vigore e di pace al cor m’infondi”, cantava il Poeta [2]. Al bue, privato del testosterone, è attribuito il vigore e la pace, ma al toro è rimasto il vigore e la guerra. Errore fatale averlo dimenticato.
In che percentuale l’aggressività è contenuta nelle ghiandole sessuali maschili? Ci sono mai stati, nella Storia, eunuchi che siano diventati feroci dittatori? I padroni del mondo che mirano ad attuare politiche di ingegneria sociale, come mai non hanno ancora attuato poderose campagne di sterilizzazione della popolazione maschile? Forse aspettano che il NWO sia ben installato e nel frattempo ci lasciano integri, così che, scannandoci reciprocamente, essi possano trarre profitti economici dalla guerre e successive ricostruzioni.
Ma torniamo alle corna. Il toro che ha ucciso i due allevatori non ha fatto altro che seguire il suo istinto. Cosa seguono gli allevatori quando ammazzano le mucche? L’istinto o il raziocinio? Forse il mattatoio, con la sua impeccabile catena di smontaggio, è la sommatoria del raziocinio applicato all’istinto. Il massimo della distruttività umana. L’apoteosi della nostra ferocia sedimentata nei millenni.
A me la storia del toro “assassino” di Piacenza ricorda un episodio accaduto in un campo di concentramento nazista durante la seconda guerra mondiale. Siccome i gerarchi nazisti trattavano i prigionieri come schiavi, c’era uno di loro che faceva danzare nude alcune avvenenti ragazze ebree. L’umiliazione andò avanti per un certo tempo, finché una di esse, esasperata, dopo aver guadagnato la fiducia del suo aguzzino, un giorno danzando gli si avvicinò e, con mossa rapida, gli sottrasse l’arma d’ordinanza, fece fuoco su di lui e lo uccise, tra lo stupore degli altri ufficiali presenti che subito la misero a morte. Non so per quanto tempo quella ragazza dovette sopportare le angherie di quei gerarchi, ma alla fine si tolse la soddisfazione di freddarne uno, poco prima che gli altri togliessero la vita a lei. Forse avrà pensato: meglio morire con un ultimo atto di libertà, piuttosto che vivere da schiavi.
Più o meno quello che deve aver pensato il toro di Piacenza, poco prima che uno dei suoi padroni umani lo abbattesse. Se anche gli animali hanno l’anima, nel senso di una sorta di consapevolezza divina che li affratella a tutti i viventi, all’Uno, o a Dio che dir si voglia, le cose potrebbero essere andate proprio così, con un bovino, di norma considerato ottuso, capace di fare un’estrema scelta fatale.
Che gli animali allevati per la carne si trovino in una condizione di schiavi non ci possono essere dubbi. Solo gli schiavisti lo negano. Dal momento della nascita fino al mattatoio, la vita delle mucche è un esempio di come un carnefice possa arbitrariamente sfruttare le proprie vittime. A poche settimane di vita il vitello viene tolto dalla madre, con sofferenza per entrambi. Alcuni vengono nutriti con diete prive di ferro, per ottenere le cosiddette carni bianche, altri vengono fatti crescere ancora un po’ per macellarli più avanti. Le femmine lattifere vengono sottoposte a mungitura fino all’estremo, con una durata di vita media di tre anni. Le altre prendono la via del macello. I maschi non si castrano più poiché in agricoltura per arare si usano i trattori. Solo pochi maschi vengono lasciati interi per adibirli alla riproduzione. Si faceva la stessa cosa con i negri di razza Mandinga.
Senza minimamente badare alla filosofia dei chilometri zero, il cosiddetto bestiame viene fatto viaggiare su ruota da un capo all’altro dell’Europa. Per esempio, dalla Russia alla Puglia, passando per Gorizia e Trieste. Ci sono anche quelle mucche sfortunate che, arrivate al porto di Trieste, vengono fatte salire su navi e portate in nord Africa, dove saranno abbattute con metodi crudeli per rifornire i ristoranti per i turisti occidentali. Oggi gli animali da carne viaggiano sempre su camion bestiame, ma una volta era anche peggio, dato che con i treni ci mettevano più tempo. E il calvario durava più a lungo. In ogni caso, a dispetto delle leggi che prevedono la sosta per rifocillarli, gli animali non vengono quasi mai nutriti e dissetati durante le lunghe ore di viaggio. Le scene che si vedono all’arrivo, con animali morti o feriti, sono raccapriccianti e vanno ad aggiungersi al lungo elenco delle cose per cui tutti noi dovremmo vergognarci di appartenere alla razza umana. La razza padrona.
Arrivati alla destinazione finale, anche se le norme prevedono che gli animali in attesa di esecuzione non assistano all’uccisione di chi li precede, non avviene quasi mai che non ci sia contatto tra i vivi e i morti, vuoi per la disposizione logistica della struttura, vuoi per la mancanza di buona volontà da parte degli addetti alla macellazione.
Per gli spostamenti dalla stalla al camion e dal camion al mattatoio vengono usati pungoli elettrici, come nell’antichità, con gli schiavi umani, si usava la frusta. Frusta che si ritrova nelle corse di asini e cavalli, ma solo per proforma, a detta degli organizzatori. Durante l’allevamento, in virtù del principio che tende a massimizzare i benefici e minimizzare i costi, al bestiame si fornisce mangime sulla cui salubrità sarebbe utile indagare. Il mangime dato alle mucche in Gran Bretagna, che fu riconosciuto come causa dell’insorgere dell’encefalite spongiforme bovina, era costituito da pecore infette, morte e macinate. Un grosso guadagno per le industrie di mangimi, che ha causato un certo numero di decessi fra gli esseri umani. Un boomerang chiamato Nemesi.
Un aiutino viene anche dagli ormoni della crescita e dalle altre sostanze chimiche iniettate ai bovini, legalmente o illegalmente. Ché tanto non fa differenza, poiché l’importante è ottenere in fretta peso vivo da mettere sul mercato. Veterinari compiacenti se ne trovano sempre: basta allungare mazzette, come si è sempre fatto. I consumatori ingurgitano felici.
Poi ci penserà COOP Consumatori a pubblicizzare la “carne prodotta con amore”. La Sinistra è amica dell’ambiente, no?
Se quell’anonimo toro “assassino” di Rompeggio Ferriere, colpevole di lesa maestà, ha agito per difendersi la vita, i due allevatori sono morti nell’adempimento del loro lavoro. Come i nostri soldati in Afghanistan. Questi ultimi esportano Democrazia a gente ingrata che non la vuole e gli allevatori esportano il principio della supremazia umana ad animali ingrati che non vogliono saperne di lasciarsi sfruttare. Secondo me Dio, concedendoci la carne degli animali come cibo, non ha tenuto conto di tutti gli aspetti della faccenda e si è un pochino distratto. Cos’avrà mai avuto per la testa?
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