venerdì 21 ottobre 2011

L’ultimo dittatore



Le cime dei monti attirano i fulmini, dice un vecchio adagio. Che mi veniva in mente quando pensavo alla fine ingloriosa di un Andreotti o di un Craxi. Nella civile Europa ai governanti che rubano o contribuiscono a mandare sul lastrico l’economia del paese, si concede benignamente l’esilio. Al massimo li si processa ignominiosamente, ma mai vengono condannati a morte. E’ il privilegio che i veri padroni del mondo concedono ai loro lacchè: aver salva la vita purché se ne vadano fuori dai piedi quand’è l’ora.
Sembrerebbe quindi, secondo le leggi imperscrutabili della Storia, che solo i veri leader vengano uccisi a furor di popolo. Sulla fine di Hitler ci sono dei dubbi, ma Giulio Cesare, Mussolini, Ceausescu, Saddam Hussein e tanti altri hanno avuto a che fare con il boia, con o senza “regolare” processo. Evito di proposito di citare Osama Bin Laden perché è un personaggio fittizio morto probabilmente di malattia nel dicembre del 2001. Con Napoleone è stata fatta un’eccezione e, forse, che li si condanni a morte o li si mandi in esilio, dipende dalla popolarità del soggetto in seno alla loggia massonica a cui era affiliato, giacché sono loro, i massoni, quasi sempre i registi degli eventi politici più significativi, soprattutto quando ci sono di mezzo soldi e potere.
 
Se tanto mi dà tanto, se è accettabile la regola che solo i veri leader vengono uccisi, sia Mussolini che Gheddafi lo sono stati. Con la differenza che dal 25 luglio 1943 al 28 aprile1945 Mussolini ha fatto in tempo a farsi odiare da un numero sempre crescente di oppositori, che ne avevano ben d’onde visti i metodi fascisti applicati dal Duce. Di Gheddafi non sappiamo niente, a meno che non si voglia prendere per vere le informazioni fornite dai nostri telegiornali, che si dimostrano più una sentina di menzogne che un mezzo onesto di trasmissione delle notizie. A un certo punto, tutto dipende dai punti di vista. I giornalisti, che sono anche loro una gran bella categoria di lacchè, seguiti a ruota, ma più lentamente, dagli storici, con la fine di Mussolini hanno dovuto riscrivere i testi scolastici. Il vento era girato e il passato glorioso del Ventennio andava riscritto, un po’ come succede nel romanzo di Orwell. Con Gheddafi si è cominciata l’operazione di demolizione del personaggio prima ancora che morisse, poiché negli alti vertici del potere avevano deciso che doveva essere eliminato.
Nell’operazione di denigrazione messa in atto sistematicamente verso chi si vuole sconfiggere, la parte del leone la fanno i costumi sessuali. Paradossalmente, nella coscienza cristiana che condanna l’adulterio, sia Mussolini che Berlusconi tradiscono la propria moglie, nel primo caso, e, nel secondo, si danno a correre la cavallina anche se l’età non glielo consentirebbe. Viceversa, nel caso di Gheddafi, non risulta che abbia tradito la moglie Safia e gli otto figli, alcuni avuti anche dalla prima moglie, stanno lì a testimoniarlo. Evidentemente, per i musulmani il divorzio è ammesso, ma non l’adulterio e una prima conclusione a cui si può giungere è che Mussolini e Berlusconi non hanno preso sul serio i dettami della loro religione, a differenza di Gheddafi che, come milioni di altri correligionari, con Allah non scherzano.
Semmai, se l’harem del sultano è un fenomeno tradizionale della cultura araba, io ci vedrei bene un Berlusconi circondato di odalische, che non un Gheddafi tutto casa, tenda e famiglia. Sulla ferocia del Rais se ne può discutere, ma sulla sua moralità non ci sono critiche a cui appigliarsi. Stabilito che le fosse comuni di cui era accusato all’inizio della sedicente rivolta sono dei falsi, che abbia messo in prigione gli oppositori politici, ammesso che ce ne siano stati, è fisiologico: succede anche nelle democrazie, dove non solo vengono messi in prigione ma spesso anche uccisi a botte e torturati. Del primo caso sono piene le cronache e il più delle volte non si tratta di oppositori politici ma di drogati su cui è facile sfogarsi e che inspiegabilmente suscitano il più feroce disprezzo nelle guardie carcerarie. Sulle torture abbiamo la testimonianza del brigatista rosso Cesare Di Lenarda a cui vennero somministrate scosse elettriche nei testicoli e dell’altra brigatista Anna Sudati, entrambi miei concittadini, che fu lasciata molte ore seminuda, ammanettata a un albero nel cortile della caserma, in pieno inverno. E questi sono solo due casi di cui sono a conoscenza.
Che i dittatori torturino gli avversari politici è un fatto comune a tutti i regimi. A quel punto la religione non c’entra, perché – ubi major, minor cessat - subentra una religione più potente: il potere. Così abbiamo le torture inflitte dai fascisti italiani ai partigiani catturati, quelle degli sgherri del generale Franco ai prigionieri nelle carceri spagnole e le vittime della ferocia del generale Pinochet in Cile. E fin qui stiamo parlando di cattolici, con l’aggravante che il capo del cattolicesimo è andato anche a stringere la mano al boia cileno. Se l’islamismo avesse un papa, mi piacerebbe sapere se sarebbe andato ad arruffianarsi con Gheddafi. Noi associamo ai musulmani il concetto di fanatismo, ma a ben guardare non siamo diversi da loro, se si prendono a paragone le battaglie fuori dagli stadi. Per i musulmani il nostro tifo violento è incomprensibile e noi sembriamo insensati fanatici, per una cosa futile come il calcio, mentre a noi sembrano fanatici loro, per una cosa futile come la religione. Dal punto di vista psicologico, secondo me c’è un potenziale di aggressività che deve scaturire e che prende forme diverse a seconda delle opzioni fornite dal contesto sociale. C’entrano anche ormoni come il testosterone, come dimostrato dalla giovane età dei Black Bloc, che inconsapevolmente hanno impersonato il ruolo di giovani guerrieri della tribù allargata chiamata società civile. Se si rendessero conto di comportarsi come uomini primitivi e di seguire gli stessi impulsi primordiali dei nostri antenati ominidi, forse si vergognerebbero. E’ per questo che sono nate la politica e la democrazia: invece di spaccare le teste, le contiamo. Conquista civile che ci eravamo illusi fosse ben salda e acquisita.
I padroni del mondo, che si circondano di esperti psicologi, conoscono i loro polli. Sanno incanalare l’impulso dei guerrieri della tribù per i loro scopi di profitto e mantenimento del potere. In casi estremi possono far scoppiare guerre così da neutralizzare l’istinto di distruzione tipico dei giovani e, nel contempo, ridurre un po’ la popolazione mondiale. Le due immani carneficine del secolo scorso sono state esperimenti in tal senso e ci sono forti sospetti che sul tavolo degli Illuminati ci sia il piano della resa dei conti finale, la terza e apocalittica guerra mondiale.
Nel frattempo, così come cambiano il clima, cambiano a loro piacimento gli assetti geopolitici del pianeta. Se indicativamente gli italiani ci hanno messo due anni per maturare l’odio per il Duce e organizzarsi in formazioni partigiane, con Gheddafi ci hanno messo solo otto mesi. Peccato che quelli che sono stati fatti passare per ribelli libici non siano altro che mercenari venuti da fuori e penso che avremmo delle sorprese se facessimo una statistica e andassimo a vedere la nazionalità dei cosiddetti insorti. I quali ci hanno messo tanto tempo a far fuori il Rais perché hanno scoperto che il suo esercito gli era rimasto fedele, cioè non tutti i militari libici erano disposti a lasciarsi corrompere.
Questo fatto dovrebbe far comprendere che se Gheddafi fosse stato quel dittatore feroce che viene descritto, gli alti vertici del suo esercito sarebbero stati i primi a tradirlo, se non altro per prendere il suo posto. E invece, a giudicare dalle condizioni economiche della Libia prima dell’intervento degli occidentali, sembra che la popolazione lo amasse. O comunque non avesse nulla da eccepire sulla sua condotta. Anche se il Rais proveniva dalle file dei militari ed era il risultato di un golpe, può essere che abbia fatto qualcosa di buono per il suo paese e che alla gente non sarebbe passata per la testa l’idea di mandarlo in pensione. E invece sono arrivati i cosiddetti insorti, pagati probabilmente con le nostre tasse, dotati di armi fornite dalla NATO, e anche la Libia, dopo l’Egitto e la Tunisia, ha dovuto capitolare.
In realtà, i paesi musulmani sono l’ultimo ostacolo all’avanzare del capitalismo globalista e questa è la ragione di tanto accanimento dell’Occidente verso gli arabi. Dalla diffamazione degli attentati a falsa bandiera, primo fra tutti quello dell’undici settembre, alle guerre della fittizia primavera araba, è in atto una precisa strategia volta a demonizzare i musulmani, allo scopo di piegarne la volontà e renderli sottomessi al Nuovo Ordine Mondiale. Con noi ci sono già riusciti. Restano solo loro da amalgamare.
La giornalista Stella Pende, che ha intervistato Gheddafi nel 2005, sulla rivista “Chi” del 21 settembre scorso si chiede come sia possibile che un uomo malvagio come lui potesse diventare tenero e affettuoso con i suoi nipotini, come un qualsiasi nonno Libero impersonato da Lino Banfi in tivù. Chissà, magari non era così malvagio come noi occidentali lo avevamo descritto. Non si dice anche del diavolo che non è mai così brutto come lo si dipinge?
Stella Pende afferma che: “Hitler amava ricambiato i suoi canarini, Bokassa aveva un debole per i corvi che nutriva ogni mattina nelle gabbie, Saddam Hussein curava personalmente le rose bianche del suo giardino” (pag. 95). Ha dimenticato Nerone che suonava la lira e Stalin che scriveva poesie!
D’altra parte, anche il nostro attuale Leader voleva aiutare la nipote di Mubarak! Tutti i dittatori hanno un cuore d’oro e soprattutto una faccia di bronzo. Fa parte della natura umana.
Piuttosto che lasciarmi confondere le idee dai comportamenti inconciliabili di un “feroce” dittatore che nello stesso tempo si dimostra nonno affettuoso, mi preoccuperei delle menzogne propinateci dai telegiornali, che insistono a farci passare per quello che in realtà non siamo. Insistono a descrivere gl’insorti come le armate del Bene, che combattono contro quelle del Male. Reiterano la menzogna che la rivolta sia stata spontanea, sia stata voluta dai libici che bramavano l’avvento della democrazia, quando chiunque abbia letto i libri di Terzani sa che gli arabi, la nostra democrazia, non la vogliono. Non sanno che farsene dei nostri valori edonistici e materialistici. Non ci pensano proprio a imitarci e quei pochi arabi che lo fanno sono considerati come rinnegati della fede e finiscono spesso per fare da manovali per la CIA, come nel caso di Atta e dei suoi presunti complici. Qui la religione si fa sentire, eccome. I differenti modelli culturali pesano e i musulmani non vogliono rinunciare ai loro. Non sono ciechi, hanno le parabole sul tetto di casa e vedono la nostra laida società in televisione, con tette e culi al vento a ogni piè sospinto. E ne sono schifati. Magari non si rendono conto che la società non è precisamente quella che si vede in tivù e commettono lo stesso errore degli albanesi, ma che la nostra sia una società decadente non vi sono dubbi.
Come valuterebbe un libico, “liberato” dalla tirannia di Gheddafi, gli scontri di Roma dei giorni scorsi? Questa è la democrazia che vogliono o non piuttosto è l’èlite mondialista che preme per imporgliela e sottomettere gli ultimi paesi riottosi?
Hanno impallinato il cinghiale, disse qualcuno apprendendo la notizia dell’avviso di garanzia a Craxi. Ieri ne hanno impallinato un altro. La logica venatoria continua a farla da padrone, nelle menti di uomini di ogni razza, etnia e colore. Se ad uccidere il re fosse stato un suo suddito, come i nostrani anarchici che ci provavano con gli esponenti della nostrana monarchia, potrei anche accettarlo. Con sdegno, ma lo accetterei. Ma qui si è trattato di una cospirazione internazionale ai danni di un paese sovrano, manovrata dai servizi segreti occidentali e le nostre responsabilità in tutta la faccenda sono palesi. L’uccisione dei prigionieri è condannata dalle convenzioni di Ginevra e se l’Occidente volesse veramente “esportare” la democrazia, dovrebbe cominciare processando e condannando il colpevole. Ma non succederà. E anche questa è un’ulteriore prova delle subdole manovre e dell’ipocrisia dell’Occidente neocolonialista.

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