Ventisei anni prima di
“Mediterraneo”, di Gabriele Salvatores, era uscito “Le
soldatesse”,
di Valerio
Zurlini. Le cose che i due film hanno in comune sono la seconda
guerra mondiale, la Grecia, i soldati italiani e le prostitute, oltre
a una mestizia di fondo e al “nostoi” di chi, vecchio, rievoca le
passate scelleratezze della guerra e gli amori infranti tra i goffi e
fintamente feroci italiani e le belle donne greche dall’aspetto
mediterraneo. In “Le soldatesse”, un irriconoscibile Tomas Milian
accenna all’amore perduto con Eftichia, che se ne va senza voltarsi
indietro, mentre in “Mediterraneo” tre dei reduci si ritrovano,
vecchietti, per una rimpatriata negli stessi luoghi che li videro
soldati combattenti. Nel film di Salvatores sembra più di vedere una
scampagnata fra amici, mentre in quello di Zurlini ci sono morti
ammazzati,
sia Camicie Nere che partigiani. E c’è anche un prete ortodosso,
in entrambi i film, a coprire con un velo di pietà le crudeltà
della guerra. Se negli anni si è creato lo stereotipo degli
“italiani brava gente”, nel film “Le soldatesse” si capisce
che i cattivi sono i soldati italiani, prima descritti come porci
schifosi e poi anche come occupanti abusivi di un territorio
martoriato, nonché culla della civiltà europea.
Cattivi tra i
cattivi sono i fascisti, e pure vili come il maresciallo Alessi.
Infatti, tranne costui che se la cava (la
merda galleggia sempre),
tutti gli altri fanno la fine che si meritano: cadono in
un’imboscata,
trenta in un colpo solo. Nel
1965, a vent’anni dalla fine della guerra, c’era bisogno
evidentemente di collocare il fascismo tra il male assoluto. Brava e
bella Lea Massari, che in seguito, come Brigitte Bardot, sarebbe
diventata animalista.
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