mercoledì 3 aprile 2013

Cipro, la selvaggia


NB: questo mio articolo è stato pubblicato il 7 maggio 2003 su “Il Nuovo Friuli”, con il titolo “Passeri a perdere”.




Nello stesso istante, da qualche parte sull’isola, c’è un passero che si dibatte in una rete, una bimbetta che sguazza nella piscina dell’albergo Seagull e un tedesco panciuto che divora il suo hamburger Mc Donald’s. Dei tre, chi si diverte di più è la bimbetta. Lei è in paradiso, il passero sta vivendo un incubo, insieme a tanti altri suoi sfortunati conspecifici, mentre il tedesco panciuto pagherà con l’infarto, prima o poi, i piaceri della carne.
Io ho visto tutte e tre le scene ed ero lì, a Cipro, anche quest’anno, per far cessare l’incubo dei passeri. E delle capinere. Del tedesco panciuto e della sua prossima fine cardiovascolare m’interessa relativamente. Se avessi il potere di far cessare l’inferno a cui gli uomini sottopongono gli animali, lo farei, e invece il mio potere si limita alla distruzione dei bastoncini invischiati posti sugli alberi nei dintorni di Paralimni e di qualche rete sistemata verticalmente negli orti di Agia Napa.

Come l’anno scorso, non ero solo, ma in compagnia di amici che sono riusciti a prendersi
qualche giorno di ferie alla fine di aprile. E’ in primavera che gli uccelli migratori sorvolano Cipro diretti a nord, ma sono magrolini, mentre in autunno, quando scendono, sono belli grassi: è per questo che i ciprioti, come i maltesi, in ottobre perdono il lume della ragione, non vedono altro e in quasi tutti gli orti spuntano reti alte fino a quattro metri. Ci penseranno le loro mogli, o i cuochi dei ristoranti, a spennarli e  cucinarli a dovere.
Quel gentiluomo di campagna che a Protaras, su un unico albero, aveva ben cinquantacinque bastoncini cosparsi di vischio, che abbiamo meticolosamente provveduto a distruggere, teneva, poco discosto dalla sua baracca, anche una rete, importata dall’Italia, lunga una trentina di metri. Da essa pendevano, come foglie morte, i cadaverini rinsecchiti di circa trenta passeri. Dal che si capisce che il proprietario della magione, oltreché bracconiere, ha il palato fine: i passeri li lascia morire senza prendersi il disturbo di toglierli dalla rete perché non hanno le carni saporite come le capinere e i beccafichi. Un po’ come succede negli oceani dove, per prendere i tonni, si uccidono migliaia di delfini e tartarughe. Spazzatura, per i pescatori. Come giudicare tanta ferocia? E’ ancora un essere umano quello che lascia morire d’inedia centinaia di animali per la sua pigrizia o in lui è avvenuta una qualche metamorfosi? In questi casi si deve parlare di involuzione morale della specie umana o di che cos’altro? Vorrei domandarlo a qualche teologo.

Lascio in sospeso il quesito metafisico. Per il momento, a quel villico, gli abbiamo solo strappato la rete e tolto i bastoncini, ma la prossima volta, dato che torneremo a Cipro a fine settembre, forse gli buchiamo le gomme del trattore,  gli rompiamo la damigiana del vino e gli liberiamo anche le galline. Erano le due del pomeriggio e il padrone avrebbe potuto tornare da un momento all’altro e invece Robert, il nostro ospite gallese, se la prendeva comoda. Troppo comoda per i miei gusti. Ma si sa, i gallesi sono tutti un po’ temerari e incoscienti. Si è perfino preso la briga di dare acqua ai due maialini nella gabbia, lui che la carne di maiale la mangia senza scomporsi. Poiché non c’era alcun recipiente ha tagliato con un temperino il fondo di una bottiglia di plastica e vi ha versato l’acqua che avevamo in macchina.
Già arrivare in auto dentro una proprietà privata è da folli, ma se ci fosse stato qualcuno avremmo potuto dire che ci eravamo persi. La cosa strana dal mio punto di vista - questione che ci ha impegnato in animate discussioni - è l’incoerenza che gli fa odiare i maltrattamenti verso gli animali e nel contempo gli permette di nutrirsi di essi. Robert dice che nei mattatoi la situazione è sotto controllo, mentre nei campi, con le capinere e le sterpazzole in migrazione a dibattersi invischiate a testa in giù, c’è dolore e sofferenza. Robert non è mai stato in un mattatoio.
Quella che non gli dava proprio tregua, quando ci fermavamo per una pausa in qualche bar, oppure la sera al ristorante, era la Nandini, che a dispetto del nome simil-italiano è anglosassone verace. Esperta di dietologia, sa unire le motivazioni per le quali non è giusto mangiare gli altri animali, con gli argomenti scientifici circa la nocività della carne per l’organismo umano. Di primo acchito, mentre stai per assaporare le delizie di una bistecca e ti capita qualcuno come la Nandini, provi un senso di fastidio. Posso immaginarlo. Ma non è l’ennesimo essere umano che ti guasta i piaceri della vita, è la tua coscienza che parla, che ha un temporaneo risveglio. La tua coscienza, o forse il Dio stesso, si serve della Nandini come portavoce.

Se n’è accorto anche Sergio, partito con noi dalla Malpensa il 25 aprile ma rientrato prima,
ogni volta che ordinava una pizza con la mozzarella. Per sua sfortuna, appena si sedeva al ristorante la sua allergia ai pollini cominciava a perseguitarlo, la qual cosa permetteva agevolmente alla portavoce del Dio di fargli notare la sofferenza del vitellino sottratto alla madre e la presenza di antibiotici nel formaggio, i quali, assunti per anni insieme ai latticini, fanno abbassare le difese immunitarie e insorgere le allergie. Sergio, dopo la cura Nandini, avrà di che riflettere e se deciderà di eliminare latte uova e formaggi, avremo tutti modo di verificare, sempreché la sua allergia scompaia, se la Nandini aveva ragione. Ser John, come lo chiamava Robert, sarà la nostra cavia umana, o meglio, la nostra cartina al tornasole.
Anche Walter mangia formaggio e anche lui è rientrato il 30 aprile insieme a Sergio, ma non ha allergie. Per il momento.  Essendo presidente dell’associazione “Animalisti Italiani”, ci attendiamo che dia l’esempio, diventando vegan: l’onore di essere capi coincide con l’onere della coerenza.
Walter e Sergio stavano per  ritornarsene in Italia quasi senza colpo ferire, allorché io e la Nandini, il giorno prima della loro partenza, abbiamo trovato un posto pieno di bastoncini con capinere, luì e sterpazzole ancora vive attaccate al vischio per le zampe e le ali. Rientrati in albergo, Sergio e Walter hanno voluto essere accompagnati nello stesso luogo. E infatti, si lascia sempre indietro qualcosa. Quel giorno abbiamo totalizzato 327 bastoncini rimossi dai rami, tredici uccelletti vivi staccati ripuliti e liberati e due contenitori che i bracconieri usano per trasportare i bastoncini e che vengono nascosti in mezzo alla vegetazione.
 Per staccare gli uccelli ci serviamo di uno spruzzino come quelli che si usano per inumidire le piante d’appartamento. L’acqua saponata consente di staccare le zampe e le penne dal vischio senza che vi rimangano residui. Talvolta l’uccelletto è così fradicio che non riesce a volare via e allora lo lasciamo ad asciugarsi sotto qualche cespuglio. 

Il primo maggio abbiamo trovato, e rimosso, un altoparlante con cui i bracconieri diffondono
i canti degli uccelli per attirare i migratori vicino alle loro insidie. Ma è stato solo il giorno dopo che abbiamo cominciato a trovare gli uccelli morti attaccati ai bastoncini, ed è stato proprio dentro il Parco Nazionale di Capo Greco. Secondo me si era sparsa la voce che qualcuno andava in giro a togliere i bastoni e il bracconiere che abitualmente va nel parco deve aver ricevuto una telefonata dai suoi amici, evitando di fare il suo giro giornaliero. Questo spiegherebbe il rinvenimento di sei uccelli morti trovati il due maggio e otto il giorno dopo, tra cui una tortora, una calandra e tre beccafichi. Se noi abbiamo un po’ di paura ad incontrare il cacciatore, lui ha un po’ di paura ad incontrare noi. E gli uccelli muoiono disidratati.
Migliore fortuna invece hanno avuto l’assiolo, il rigogolo e le sei capinere che in quei due giorni abbiamo salvato da sicura morte. Di tutti, quello che se l’è vista brutta, non era un uccello ma un rettile, un giovane stellione. Era preso veramente male. Tutta la schiena, la coda e la testa erano incollate al bastoncino. Ci abbiamo messo un bel po’ prima di staccarlo, ma alla fine è andato via bene. 
Il massimo della temerarietà lo abbiamo raggiunto io e la Nandini, da soli, il 4 maggio, il giorno prima della partenza. Erano le otto del mattino, ma essendo domenica il cipriota non era ancora andato al podere. La Nandini trova una matassa di filo elettrico sotto un cespuglio. Il filo porta a una baracca in muratura, chiusa da una porta di legno. La porta è chiusa con un lucchetto e una catenella. Strappo il lucchetto (in certe situazioni le energie aumentano misteriosamente) e dentro trovo su un tavolo un autoradio, un trasformatore e un altoparlante. Buttati per terra due portabastoni contenenti bastoncini già pronti all’uso. Il mio zainetto è già quasi pieno a causa del binocolo e della videocamera. Non ci sta più nulla. Per un attimo ho la consapevolezza della pericolosità della mia situazione. Afferro alla bell’e meglio le apparecchiature elettromagnetiche e corro verso la Nandini che era rimasta acquattata cinquanta metri lontano. Deposito l’armamentario ai piedi della mia amica e ritorno alla baracca per prendere i due contenitori. Poi via di corsa verso la macchina parcheggiata un chilometro lontano. Arrivati in un posto sicuro, mi fermo a contare i bastoncini – erano 175 – mentre la Nandini va a prendere l’auto. E’ a quel punto che sento una voce d’uomo lontana provenire dalla direzione della baracca. Sono solo. Avverto una botta di adrenalina nello stomaco. Dopo cinque minuti arriva l’auto, la salvezza. Sgommiamo, come si può sgommare su una strada sterrata. Parcheggiando all’albergo copriamo la refurtiva con una maglietta e un asciugamano.
Quesito giudiziario: come si sarebbe comportato un giudice di Nicosia di fronte a un suo compatriota colpevole di bracconaggio e due stranieri colpevoli di furto con scasso e violazione di proprietà privata? Sempreché il suo compatriota non si fosse macchiato anche di assassinio, come è avvenuto due anni fa quando l’auto del direttore del Game Service, il servizio di vigilanza venatoria,  è saltata in aria, per una bomba, con dentro il suo proprietario. I colpevoli non sono mai stati trovati.

Il mondo si divide in due gruppi: quelli che hanno fiducia nella giustizia e quelli che non ce l’hanno. Robert, per esempio, dopo aver trovato la rete nel podere del gentiluomo di campagna, aveva pensato di lasciarla lì e di tornare la notte insieme ai guardiacaccia, per sorprendere il bracconiere con le mani nel sacco, ma poi, telefonando per un consiglio sul da farsi al suo datore di lavoro, dato che Robert è pagato dal Bird Life Cyprus,  ha deciso, con la mia approvazione e mentre Caterina, la sua ragazza, faceva da palo, di passare all’azione diretta, distruggendo la rete, perché sarebbero passate due settimane prima che il giudice desse l’autorizzazione all’agguato notturno. Nel frattempo i guardiacaccia avrebbero avuto tutto il tempo di avvertire il loro amico bracconiere di far sparire la rete. Le cose stanno proprio così: come nel bresciano con gli archetti, il bracconaggio va avanti perché non c’è soluzione di continuità tra guardiacaccia e bracconieri. Si può dunque avere fiducia nella giustizia?
Io mi sono ridotto a fare il ladro e lo scassinatore – avrei preferito farne a meno - per amore verso gli uccelli e per odio verso i magistrati, i guardiacaccia, i cacciatori, cioè per quella barbara umanità che li opprime e li perseguita. Sogno un mondo migliore e cerco di realizzarlo. Un mondo in cui non sia necessario che in dieci giorni di primavera a Cipro alcune persone debbano aggirarsi fra le spine e i cardi per rimuovere 1104 bastoni invischiati, per salvare un totale di 34 uccelli e constatarne la morte di altri 56. Un mondo in cui gli uccelli siano lasciati migrare tranquillamente, ammirati per la loro bellezza anziché uccisi per la loro carne e in cui tutti gli animali, uomo compreso, siano lasciati in pace e possano godere la vita senza che qualcuno li consideri vuoti a perdere.






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