sabato 30 novembre 2019

Esiste giuridicamente il femminicidio?


Testo di Paolo Sensini

C'è guerra sui numeri riguardo alla cosiddetta "violenza di genere", ossia i comportamenti ritenuti ostili alle donne. Vi è chi, infatti, sulla base di elementi statistici, contesta le cifre fornite dagli organismi interessati a una legislazione volta a tutelare in maniera specifica il "sesso debole". E allora, per controbattere a chi mette in discussione tali risultanze, si dice che non importa quante siano le vittime effettive, ma che basterebbe anche un solo caso di violenza per giustificare l'introduzione di una legge riguardante il cosiddetto "femminicidio". Siccome però esistono anche violenze delle donne sugli uomini, fisiche o psichiche poco importa, ma anche su bambini, vecchi, disabili etc., ci si domanda allora come bisognerebbe procedere in tali casi. Forse la cosa migliore sarebbe smettere di creare fattispecie ad personam e lasciare intatta la Legge nella sua caratteristica fondante, cioè la generalità e l'astrattezza della norma. In altre parole, se uccidi una persona, donna e/o uomo che sia, vi è la giusta pena già prevista dal codice penale. Punto. 


Non può essere che se un uomo uccide una donna è più grave rispetto al contrario, ma ha la stessa identica gravità del primo caso. Insomma tutto questo dibattito è in piena sintonia con la tendenza attuale: creare giurisprudenze diverse a seconda del ruolo socioeconomico, tribale e/o personale che si ricopre all'interno del consorzio sociale, scardinando così alla base il concetto stesso di Diritto che è a fondamento della nostra civiltà. Ma ormai sono invalse ovunque le pratiche di giocare sull'emotività della gente e spettacolarizzare ogni evento pubblico e privato smontando così pezzo a pezzo le basi sulle quali l'Europa ha costruito la propria grandezza.

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