Si dice che i cinesi mangino tutto ciò che ha quattro gambe, fuorché
le sedie. E subito viene in mente che, se ci si riduce a mangiare di
tutto fuorché il legno è a causa di un’incoercibile atavica fame, che i
cinesi, come anche tutte le popolazioni del mondo, hanno conosciuto
molto bene.
Il fattore decisivo sono sempre state le risorse del
territorio, di modo che se ci si mette a coltivare la terra vicino al
Nilo, si avranno le periodiche inondazioni che renderanno i campi
fertili e la fame si sentirà di meno, ma se ci si mette a coltivare la
terra in alta montagna, la vita sarà grama e la fame si farà sentire più
facilmente.
Con questa elementare premessa, possiamo capire che
anche nel territorio italiano, le popolazioni si sono distribuite più
facilmente in pianura piuttosto che in montagna, e anche coloro che
hanno scelto di stabilirsi sui monti, hanno preferito abitare nel fondo
valle piuttosto che sulla cima delle montagne.
Gli irriducibili o
i tendenzialmente misantropi andranno a vivere in posti impossibili,
con scarsità di risorse. L’abbrutimento dovuto alla fame renderà tali
popolazioni impegnate allo spasimo nella ricerca del cibo, persone
ombrose, scontrose e poco acculturate. Sempre che non decidano di
migrare in cerca di lavoro, dando una svolta alle proprie esistenze.
In
Italia abbiamo un caso eclatante di arroccamento e di isolamento
culturale, che si ripercuote anche sulla parlata locale. Il misoneismo e
la xenofobia la fanno da padrone, con un pizzico di anarchia e di
ribellismo che rende tali enclavi etniche refrattarie all’obbedienza
alle leggi dello Stato e, per converso, simpatiche agli anarchici.
Penso
che abbiate già capito che sto parlando dei montanari della provincia
di Brescia, bracconieri per vocazione, nonché fautori entusiasti della
Lega Nord, partito non a caso ostile agli stranieri e allo Stato
italiano. Quando penso all’idea platonica di un buzzurro, a me viene
facile pensare ad un abitante della Val Camonica, in cui abitano i
discendenti dei Camuni, o della Val Trompia, abitata dai Trompiuni,
costruttori di armi automatiche o della Val Sabbia, abitata dai
Sabbiuni.
Vi ho avuto a che fare direttamente poche volte, ma
quelle volte sono state esiziali. Affacciandosi fuori della stazione di
Brescia, frequentata da centinaia di persone di colore, si ha quasi
l’impressione che viga una specie di Nemesi: i bresciani sono xenofobi e
allora Dio manda loro gli africani, più o meno come alle ranocchie che
volevano un re e a cui Zeus manda un travicello.
C’è stato un uomo che ha avuto a che fare con Camuni, Trompiuni e Sabbiuni molto più di me. E veniva anche da molto più lontano
di me. Veniva da Aachen, che in italiano si traduce Aquisgrana, e si
chiamava Eugen Toennis. Dico si chiamava perché è morto d’infarto
all’età di quarantadue anni durante una pedalata in bicicletta. E poi
dicono che lo sport all’aria aperta fa bene!
Eugen venne a cercarmi nel 1984, su indicazione di Carlo Consiglio allora come oggi presidente della Lega Abolizione Caccia. Venne a cercarmi quando mi ero appena trasferito a Romans di Varmo, in un casale di campagna senza elettricità, nel 1984.
Che
fossi senza luce non m’impediva di organizzare azioni di disturbo alla
caccia e all’uccellagione, di giorno. E azioni di sabotaggio di
uccellande e capanni da caccia, di notte. Gli esposti ai carabinieri e
le visite alle ferramenta le facevo malvolentieri e lasciavo che fosse
Eugen a farle, quelle volte che dalla Germania veniva a trovarmi. Io mi
limitavo ad accompagnarlo.
I
carabinieri accoglievano i nostri esposti, dopo che eravamo passati
dalle ferramenta e aver scoperto che vendevano taglioline di metallo
senza denti, per i passeriformi, e a volte anche tagliole più grandi,
dentate, per le volpi. In entrambi i casi si trattava di strumenti il
cui uso è proibito, ma non la vendita. Siccome siamo in Italia, patria
dell’ipocrisia e dei furbetti, il commerciante immancabilmente diceva
che le taglioline erano per i topi, mentre delle tagliole non diceva
niente.
Ai carabinieri, oltre allo scontrino fiscale con
l’indirizzo della ferramenta, lasciavamo anche i “corpi del reato”.
Povero Eugen! Com’era ingenuo! Fisicamente era in Italia, paese di
furbetti e lazzaroni, ma mentalmente era ancora in Germania, dove le
leggi vengono fatte applicare. Io sapevo, non tanto per esperienza
diretta perché ero ancora in un certo senso “vergine”, ma forse per
un’atavica sanguigna consapevolezza, che nessun giudice o pretore
avrebbe perso anche solo un minuto del suo prezioso tempo a considerare
queste inezie, questi reati venatori. Che se ne occupino i
guardiacaccia, pensava l’indaffaratissimo magistrato di turno.
E
così, erano forse più proficue le conferenze stampa che facevamo dopo
aver presentato l’esposto, anche se pure in quel caso era come gettare
in mare un messaggio dentro una bottiglia e sperare che le onde lo
portassero a destinazione. Si sperava di fare azione educativa su un
popolo di cialtroni congeniti e di tribali leghisti menefreghisti. E
tanto per non smentire le forze sproporzionate in campo nonché la nostra
ingenuità di educatori, il quotidiano letto dai friulani, il Messaggero
Veneto, si guadava bene dal pubblicare alcunché sulle nostre conferenze
stampa, mentre quello letto dai triestini, il Piccolo – per cui
qualsiasi cosa che denigri i friulani va bene – invece le pubblicava.
Il
che si potrebbe intendere nel senso che il mitteleuropeo triestino è
più sensibile sui temi della protezione degli uccelli, mentre il
buzzurro friulano è più sensibile al sugo di pettirosso che funge da
contorno alla polenta. Ma si potrebbe anche intendere nel senso che
storicamente è in atto una manovra per tenere i friulani nell’ignoranza,
mentre i triestini nella cultura. Vedasi le lotte per avere
l’università a Udine.
Causa, effetto. Effetto, causa. D’altra
parte, se su un determinato territorio non è presente una certa attività
(e la cattura d’uccelletti migratori potrebbe essere assimilata ad
attività economica) è più agevole condannarla e lamentarsi della sua
inciviltà e illegalità, mentre se è tradizionalmente presente i
mass-media vi si adeguano e la musica cambia. Altrimenti, non mi spiego
come una redazione giornalistica condanni l’uccellagione, dove non c’è
mai stata, mentre un’analoga redazione giornalistica non la condanni
dove l’uccellagione esiste da sempre.
Forse che se gli abitanti di
Faedis, capitale friulana dell’aucupio, leggendo articoli che biasimano
l’uso dei roccoli avrebbero smesso di comprare il Messaggero Veneto?
Forse che gli abitanti di Trieste non trovando articoli che biasimano
gli uccellatori friulani avrebbero smesso di comprare il Piccolo?
Tanto
per fare un esempio di becero campanilismo, quando nel 1982, due anni
prima di conoscere Eugen, frequentavo l’università a Trieste, un collega
studente mi disse stizzito che i terroristi li avevamo noi friulani,
riferendosi a Cesare Di Lenarda,
mio compaesano, che qualche mese prima era stato arrestato all’interno
del covo dov’era prigioniero il generale Dozier e dove lui fungeva da
carceriere.
A
Eugen però questi campanilismi non interessavano. A un certo punto non
venne più in Friuli ma si diresse verso le valli bresciane, in virtù del
fatto che il medico deve andare dov’è maggiormente richiesta la sua
presenza. Conobbe nel frattempo Guido De Filippo,
anche lui della L.A.C. e anche lui prematuramente passato a miglior
vita e si unì al gruppo dei milanesi che regolarmente, in autunno,
sciamavano nelle valli bresciane alla ricerca di archetti.
L’apripista di tale attività volontaria di pulizia dei boschi fu Secondo Mensi,
metalmeccanico milanese che nel 1989 sarebbe stato arrestato con me ad
Azzida, quando ancora l’allevamento della FIDIA, poi comprato dalla
Harlan, era in costruzione.
Circolavano leggende tra noi volontari
protezionisti, come ci identificavamo all’epoca prima di adottare il
termine “animalisti”. Si diceva che nel bergamasco era così acuta la
richiesta di uccelletti, da parte dei ristoratori, che alcuni cacciatori
intraprendenti non esitavano ad utilizzare pipistrelli al posto degli
uccelli. Mi sono sempre chiesto come facessero a catturarli.
Si
diceva che a Caneva di Sacile esistesse il ristorante “Al Roccolo”, ma
non ho mai appurato la sua esistenza. Preferivo muovermi per andare a
distruggere le reti e i pali di roccoli, prodine e bressane, di cui
conoscevo l’ubicazione, andando a colpo sicuro. Su tutte le leggende
metropolitane aleggiava il detto: “Polenta e osei, cibo degli Dei”.
E
poi c’era la “Sagra dei Osei” di Sacile. Una volta, Guido pagò il
biglietto ed entrò a dare un’occhiata. Quando uscì disse di aver visto
un beccofrusone, specie da sempre protetta. Erano gli anni Ottanta, i
commercianti d’uccelli facevano il bello e il cattivo tempo, le guardie
venatorie chiudevano tutti e due gli occhi e noi stavamo fuori dalle
transenne con i nostri cartelli appesi al collo. Oggi gli animalisti,
molto più numerosi di quelli che mi accompagnavano trent’anni fa,
pagano il biglietto, entrano in massa e si piazzano nel cuore di Sacile,
dando non poco fastidio ai buzzurri in visita e non pochi denari agli
organizzatori. A me non sarebbe mai venuto in mente di fare una cosa del
genere. Fastidio sì, quanto più se ne può, ma denari no, nemmeno un
centesimo agli aguzzini di animali!
Nel bresciano la vendemmia di archetti e reti era cospicua. Se venivano trovati pettirossi appesi alla trappola si controllava se avevano
una o tutt’e due le zampe fratturate. Nel primo caso si tagliavano i
legamenti che tenevano uniti i due monconi e lo si lasciava andare,
perché avrebbe potuto sopravvivere anche con una sola zampa. Nel secondo
caso, con entrambe le zampe spezzate, lo si sopprimeva.
Noi italiani lasciavamo volentieri ai tedeschi questa incombenza.
Tuttavia,
c’era anche chi steccava alla bell’e meglio l’unica zampa spezzata e
portava i pettirossi così conciati a Milano, per affidarli alle cure di
un veterinario, sempre tenendo presente che, sballottati dentro borse e
zaini, non gli si faceva un grande favore, tenuto conto che quasi sempre
morivano dopo poche ore, a dispetto delle nostre migliori intenzioni.
Oggi sembra che esista un centro di cura che fa le cose per bene, con il
beneplacito delle autorità, ma a quel tempo, l’immancabile senso
d’impotenza e di rabbia ci faceva maledire bresciani, bracconieri e
umani in genere, tanto che molti di noi avrebbero visto consolidarsi
quella misantropia che ci contraddistingue in quanto animalisti, che è
un effetto delle cattiverie della gente cosiddetta normale e che ci fa
desiderare l’estinzione della razza umana.
Chi non ha passato
tutto questo non può capire e, quando auspichiamo la fine della nostra
specie, veniamo considerate persone malvagie.
Eugen era pieno di
energie. Saliva i sentieri di montagna senza il minimo sforzo e ogni
tanto si fumava una sigaretta. Non è stato il fumo ad ucciderlo, perché
ne fumava poche, ma qualche predisposizione congenita coronarica.
Tuttavia, se penso che anche l’attivissimo Guido De Filippo lo avrebbe
seguito dopo pochi anni nei pascoli del cielo, potrebbe affacciarsi alla
mia mente disturbata che, come le morti sospette degli ufologi, anche
nel caso di attivisti troppo attivi nel difendere la fauna sia in atto
un’operazione segreta di annientamento, gestita dai servizi segreti.
Poiché
anch’io ho il mio bel curriculum, dovrei sentirmi in pericolo, anche se
ultimamente ho perso i contatti con la L.A.C. e di capanni e roccoli
non ne vedo l’ombra da tempo. Ad ogni modo, se permettete, ora faccio i
dovuti gesti scaramantici e passo a raccontarvi un gustoso aneddoto che
riguarda il mio defunto amico tedesco.
Gustoso è l’aggettivo
giusto perché sia io che lui accompagnavamo di tanto in tanto
giornalisti di carta stampata o di cinepresa, ovviamente di nazionalità
tedesca piuttosto che italiana, giacché anche qui vale il principio del
Messaggero Veneto per buzzurri e del Piccolo per buzzurri di minor
grado. Di modo che i mass-media italiani sono idonei per i buzzurri
italiani, mentre i mass-media tedeschi sono adatti per buzzurri solo di
qualche grado inferiore.
Il gatto mediatico si morde la coda e ciascuno ha i mass-media che si merita.
In
un ristorante X da qualche parte in Lombardia c’era Eugen, il
giornalista televisivo germanico e suo figlio adolescente che gli faceva
da cameraman. Ordinarono polenta e osei. Fu loro servita fumante, con
succulenta polenta. Eugen e il giornalista cominciarono a mangiare le
coscette di fringuello. Gli ossicini crocchiavano tra i denti, ma
l’uccelletto viene più succhiato che masticato. Così mi pare che
funzioni.
Erano lì per documentare la barbarie, la gastronomia
tipica delle valli bresciane, ma succede un imprevisto: il ragazzo si fa
prendere da scrupoli. Non visto dai camerieri, invece di portarsi alla
bocca i sugosi cadaverini, se li infila nella camicia sbottonata,
facendoli passare tra mento e collo. A un certo punto, la macchia di
sugo diventa troppo evidente sul davanti e il ragazzo deve assentarsi
per andare in bagno a rimediare alla stupidaggine. Il Q.I. delle
popolazioni teutoniche ne risente.
Poi, siccome era molto bravo a
fingere, Eugen, sia in quell’occasione che in altre, si faceva passare
per giornalista di qualche improbabile testata. Tipo: “Mangia bene”.
Detta da lui, con il suo accento alla Joseph Ratzinger, era cosa
spassosa. In tal modo, chiedendo il permesso al proprietario, aveva
accesso alle cucine e poteva filmare i cuochi al lavoro sui cadaverini.
Il
padrone del ristorante gongolava come un deficiente, per una volta
tanto caduto lui nella trappola. Questo però succedeva negli anni in cui
la repressione del bracconaggio non era ancora eccessiva. A un certo
punto però i ristoratori si sono fatti furbi e l’accesso alle cucine non
veniva più concesso, giornalisti o non giornalisti.
Lui veniva in provincia di Brescia sempre accompagnato da ragazzi e ragazze. Dormivamo tutti in un camping di Iseo, con i cavi d’acciaio
che, sbattendo sugli alberi delle barche a vela ormeggiate nel lago,
fungevano da colonna sonora alle nostre brevi notti.
Negli ultimi
anni veniva accompagnato da quello che, seguendo consolidate modalità da
adepto, si comportava come il suo braccio destro. Se per esempio,
camminando in fila indiana nelle retrovie, mi attardavo presso un
appostamento di cacciatori con tanto di tordi esposti in alto nelle
gabbie e, in assenza dei proprietari, decidevo di poggiare una scala
sull’albero, raggiungere la gabbia e aprire la porticina della gabbia,
il Braccio Destro correva ad avvisare Eugen, come un bravo cane da
caccia che riporti la preda al cacciatore.
Tanto per restare in tema.
Eugen
allora ritornava sui suoi passi e con quella pazienza che si usa fra
vecchi amici mi coglieva con le mani nella marmellata, cioè con una mano
dentro la gabbietta, per afferrare il tordo, e mi spiegava che noi
eravamo lì per gli archetti e non per fare azioni di sabotaggio ai
cacciatori capannisti.
Lui me lo diceva con pazienza, che non era
saggio rovinare i buoni rapporti che negli anni eravamo riusciti ad
instaurare con le forze dell’ordine, ma gli attivisti della L.A.C. di
Milano, di pazienza, con me, guastatore di gabbie e rapporti con le
forze dell’ordine, ne avevano poca.
Ricordo che un giorno eravamo
solo io e Andrea, di Vigevano, e ci eravamo sganciati dal resto dei
colleghi anticaccia proprio per non confondere le acque e non mettere in
imbarazzo Guido e gli altri responsabili L.A.C.
Ebbene, passammo
un’intera mattinata a perlustrare le colline e quando trovavamo un
appostamento incustodito, con tanto di uccelli da richiamo esposti sugli
alberi, era uno spasso aprire quelle gabbie. Ovviamente facendo il meno
rumore possibile e stando bene attenti che non arrivasse qualcuno.
Furono così tanti gli uccelli liberati, compresi quelli che avevano le
penne delle ali non del tutto a posto, che dopo due giorni la notizia
apparve sui due quotidiani bresciani, che ovviamente – per la sindrome
dei mass-media buzzurri per lettori buzzurri – evidenziarono l’opera
vandalica degli animalisti.
Gli amici della L.A.C., forse pensando
che un esponente di A.L.F. può, se fatto arrabbiare, diventare
pericoloso, o forse solo per motivi logistici, sgridarono Andrea ma non
me, che ero il maggiore responsabile dell’azione di danneggiamento. Per
me era ordinaria amministrazione, per Andrea un isolato diversivo e
avrebbero potuto anche immaginare che Andrea in qualche modo fosse stato
plagiato. Questo insegna che coloro che dovrebbero parteggiare per gli
uccelli in libertà e non per la proprietà privata dei nostri nemici,
spesso diventano carnefici di chi passa all’azione, in questo caso il
povero Andrea che le ha sentite.
Siccome mi è capitato un episodio
simile anche nel vicentino, di cui magari parlerò un’altra volta, mi
viene il sospetto che questo fenomeno sia più esteso di quanto si possa
immaginare e per me rientra negli incomprensibili comportamenti umani
tipici di chi si dà martellate sulle innominabili ghiandole
dell’apparato genitale maschile. Ne ho avuto prova, recentemente, a Correzzana.
Con alleati così, la guerra la vinciamo di sicuro!
Non
basta l’atavica fame. Non bastano i golosi cinesi di casa nostra, i
trogloditi veneti e lombardi. Ci si devono mettere anche i perbenisti
protettori di uccelli e collaboratori delle forze dell’ordine. Questi
diligenti e sottomessi attivisti non si rendono conto che se siamo al
punto in cui gli archetti non sono stati ancora aboliti del tutto è
anche grazie a forestali, carabinieri e guardiacaccia che non hanno
fatto il loro fottuto dovere. Se invece di una ridicola multa facessero
provare la galera – quella vera – ai bracconieri, state pur certi che
gli archetti sparirebbero in quattro e quattr’otto, altro che cambio
generazionale, lento progresso morale o altre fesserie di questo tenore.
Uccelli fuori dalle gabbie e buzzurri buongustai in gabbio.
Questo è il mio motto.
Oggi vengo a sapere che in Cina friggono sul momento scorpioni vivi, davanti al cliente, così da mostrare la freschezza del.....prodotto:
RispondiEliminahttp://social-news.net1news.org/spiedini-di-scorpione-vivi-sono-nuova-specialità-video.html
SI LO LETTO PURE IO IERI
RispondiEliminali infilzano con una specie di stuzzicanti e li ,lasciano li ad agonizzare fino a che non li friggono vivi ovviamente
che gente di m...............
Si bravi. Continuatre con il vostro buonismo da strapazzo a uccidere le tradizioni locali. Verrà il giorno che mangerete tutti mangime per umani, sarete trattati come polli d'allevamento dal potere che tanto acclamate. Siete solo servi e non ve ne rendete conto
RispondiEliminaMa vaffanculo tu e le tradizioni locali: la sofferenza è altro da te. Stronzo.
EliminaMa vaffanculo tu e le tradizioni locali: la sofferenza è altro da te. Stronzo.
EliminaFiero di essere cacciatore, fiero di essere leghista e valtrumplino. Non vedo l'ora che tu venga a disturbare la MIA attività venatoria ;)
RispondiEliminaQuando imporranno nuovamente il servizio militare per questi scarti della società? Vorrei vedere questi complottisti cannaioli vegan e pagliacci dopo un anno di leva.
Poveracci che si paragonano ad un lavoratore e padre di famiglia e si credono tutta cultura, Poi leggi la seconda metà di questo articolo scritto proprio "col culo".
Merita più rispetto un montanaro che voi:
1- il cacciatore rispetta più l'ambiente che il verde imbecille, è iscritto alle associazioni venatorie e ai gruppi che controllano la distribuzione degli uccelli nel territorio, Il verde imbecille invece va a rubare le galline dai pollai, e le libera la notte così vengono sbranate dalle volpi selvatiche.
2- il verde imbecille crede che la caccia porterà all'estinzione degli uccellini, mangia vegano e si fuma le canne.
Il cacciatore, prende a ceffoni il figlio che fuma le canne perché sa che suo figlio, oltre che a rovinarsi la vita, alimenta il mercato della droga, e tutta la disumanità e la violenza che genera (ben oltre quella della caccia),
Il cacciatore, che ha una cultura da ornitologo, fidatevi, ha notato che di recente vengono sempre più a mancare i canti delle rondini;
La rondine non viene cacciata, viene avvelenata dai pesticidi dei campi agricoli che sfamano il vegano imbecille.
Fatto sta, che ogni montanaro, per quanto ignorante, ha l'orto dietro casa, e il cacciatore ha un montanaro di fiducia che gli fornisce il cibo "nostrano"
Dovreste essere fra i primi ad apprezzare la genuinità delle tradizioni di questa gente. Chissà che un domani in ferramenta non vendano dei bei taglioloni per voi imbecilli.