In principio era il campylobacter.
Poi venne l’Homo sapiens, consapevole e responsabile. Melanie Joy è
una donna sapiente, laureata ad Harvard e insegnante all’università del
Massachusetts. Ha quarantasei anni ma ne aveva ventitre quando un
hamburger le fece il dono di contaminarla con il campylobacter,
facendola finire in ospedale attaccata alle flebo di antibiotici.
Provate
ad immaginare la più forte influenza intestinale che avete avuto e
moltiplicatela per dieci, ha detto alla conferenza di domenica sera, 18
novembre, a Pordenone. Ecco, quella è stata la mia esperienza con il
campylobacter, ha concluso. Non avendo mai avuto un’influenza
intestinale non posso rendermi conto della gravità della malattia, ma
posso immaginarla.
Fu un bene per lei, a conferma del fatto che
toccando il fondo si può solo risalire. E non tutti i mali vengono per
nuocere. Smise con la carne e le si aprirono gli occhi. Ora gira il
mondo tenendo efficaci conferenze, dove riesce perfino a far piangere
l’uditorio, in genere già informato su cosa stia dietro l’industria
della carne.
Il titolo della conferenza, arricchita da splendide
diapositive, infatti era: “Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e
indossiamo le mucche”
Concetto valido per noi occidentali, ma non
per induisti o musulmani. Siamo noi pasciuti caucasici, fino a ieri
dominatori del mondo, ad essere i principali responsabili della morte di
miliardi di creature, assassinate per la loro carne. Gli altri, i non
occidentali, farebbero la stessa cosa se solo ne avessero i mezzi. Noi
facciamo olocausti industriali, mentre loro li fanno a livello
artigianale.
Ovunque nel mondo impera lo specismo, che Melanie Joy chiama “ideologia carnista”.
Il succo è quello. In tutta la conferenza, durata un paio d’ore, Melanie non ha pronunciato la parola specismo, termine se non sbaglio coniato da Peter Singer,
ma l’argomento ruota sempre attorno alla prepotenza dell’uomo sulle
altre specie, propedeutica alla violenza dell’uomo sui membri della
propria.
Il settore della zootecnia negli Stati Uniti produce un
fatturato di 125 miliardi di dollari annui, mentre nel mondo si compie
una mattanza di 124.000 animali al minuto, pari a 65 miliardi all’anno.
Esclusi i pesci, naturalmente.
Ovunque voltiamo lo sguardo siamo
circondati da cadaveri di animali, confezionati in comode vaschette di
polistirolo. Se non abbiamo sotto gli occhi i pezzi di animale,
l’industria della carne ci tempesta di pubblicità ammaliante, con il
sorriso sornione di chi vuole venderci qualcosa, secondo le migliori
tecniche di marketing.
La mistificazione del consumo di
proteine animali è infatti il cavallo di battaglia del carnivorismo,
anzi, del carnismo. Ci viene trasmessa l’idea del capo di bestiame
vissuto libero e felice, fino alla conclusione fatale della sua vita, e
si occulta sistematicamente la realtà degli allevamenti intensivi, del
trasporto del bestiame e infine della sua macellazione.
L’inganno è globale, come recita uno dei film di Massimo Mazzucco,
e noi animalisti lo sappiamo molto bene. Quelli che non lo sanno sono i
consumatori di carne. E non devono saperlo, altrimenti il menzognero
castello di carta, allestito dall’industria carniera, crolla, come pure i
suoi profitti.
Per fronteggiare il pericolo connesso all’aumento
del numero dei vegetariani, che negli USA tocca già il 5 % della
popolazione, il governo fantoccio manovrato da sionisti, banchieri,
petrolieri e carnisti, ha addirittura promulgato una legge che vieta di
avvicinarsi agli allevamenti intensivi. Chiunque volesse fare fotografie
o filmati, anche da lontano, rischia il carcere, neanche fosse l’Area 51!
Lo spiega Dara Lovitz,
nel libro “Imbavagliare un movimento”, non ancora tradotto in italiano.
Un paese che uccide i suoi presidenti, che abbatte tre grattacieli con
le persone dentro, che invade gli altri stati sovrani grazie al
sotterfugio degli attacchi “false flag”,
può anche dichiarare terroristi coloro che cercano di far sapere al
grande pubblico dei consumatori inconsapevoli come è prodotta la
bistecca che mangiano. Da qui si capisce che razza di persone comandano
interi popoli, in una criptodittatura che non ha niente da invidiare
alle dittature conclamate.
Le persone non devono sapere che i
pulcini maschi vengono triturati vivi, che i porcellini di pochi giorni
vengono castrati con le forbici senza anestesia, che conigli, polli e
tacchini vengono sgozzati anch’essi senza alcuno stordimento preventivo e
che quello previsto per legge per gli animali più grossi spesso non li
stordisce affatto. Guai se la gente vedesse e sapesse. Meglio applicare
la politica dello struzzo. O delle tre scimmiette.
Ecco. A un
certo punto, dopo averci mostrato scene bucoliche di animali al pascolo
nelle fattorie animaliste, salvati dal macello, Melanie
Joy ha voluto mostrare al pubblico in sala quattro minuti di orrore
puro, dicendo che lo avrebbe fatto per accrescere la nostra
consapevolezza. Io, che da trent’anni vedo scene analoghe – e vista una
viste tutte – mi chiedevo perché dobbiamo essere così masochisti da
sottoporci a simili visioni. Poi pensavo che essendo psicologa forse
sapeva ciò che stava facendo e il suo scopo era di colpire allo stomaco
gli eventuali carnisti presenti in sala.
L’annuncio è stato già di per sé una sofferenza, amplificata dalla traduzione simultanea dall’inglese all’italiano della brava Daniela Galeota.
Quando poi si è passati alle immagini, lo strazio è durato più di
quattro minuti, in virtù del tempo psicologico che si allunga quando
viviamo esperienze sgradevoli e si accorcia quando ne viviamo di segno
opposto.
Sentivo attorno a me ragazze singhiozzare, nasi che
venivano soffiati e un frusciare di fazzoletti di carta, ma anch’io ho
dovuto combattere con quella cosa che non si sa dove abbia sede, se nel
cervello, nel cuore o da qualche altra parte, quella cosa che si chiama
Empatia. O neuroni specchio, come va di moda chiamarla oggi.
Melanie,
in questo modo, ci ha conquistati, ha fatto fare un sobbalzo allo
spirito di corpo, se ancora ce ne fosse stato bisogno e lo si è visto
alla fine della conferenza con l’applauso che non cessava mai, come
durante i congressi del partito di Ceausescu,
dove nessuno aveva il coraggio di smettere per primo di applaudire.
Dietro di me, tuttavia, avevo un signore che durante le scene
dell’allevatore che sbatte a terra i porcellini malformati, ridacchiava,
e quando si vedevano le scene dei delfini giapponesi sviscerati ancora
vivi, faceva commenti idioti che non ho inteso bene. E i casi come il
suo fanno sorgere l’interrogativo sul perché certe persone reagiscano in
modo indifferente e quasi divertito di fronte a scene di violenza.
Un
interrogativo che gli animalisti si portano dietro da sempre e su cui
solo da poco sono forse riuscito a trovare una soluzione: non tutti gli
esseri umani hanno l’anima. Anima nel senso di coscienza. Lo dice uno che con le anime ci sa fare, ci lavora, quel tale Corrado Malanga ipnotizzatore di addotti.
Il
filmato atroce finì, l’ondata emotiva uscì dalla porta per disperdersi
nella piovigginosa serata pordenonese. Le cento sedie della sala erano
tutte occupate. Altri cinquanta sono dovuti rimanere in piedi. Non
c’erano bambini. Gli organizzatori, Massimo Lo Scavo e sua moglie
Daniela, traduttrice simultanea, non si aspettavano un tale successo di
pubblico e io mi chiedo quale riscontro abbia avuto un tale evento. Se
tanto mi dà tanto e siccome è in atto un meticoloso occultamento della
realtà, affinché la gente viva come in una Matrix, immagino che il
Gazzettino non ne abbia fatto cenno. La gente non deve sapere. O, se
proprio se ne deve parlare, si faccia ricorso a quelle che Melanie
chiama le “3 enne”. Mangiare carne è: 1) normale; 2) naturale; 3)
necessario.
E’ normale secondo il sentire comune perché
rientra nella norma codificata dalla consuetudine, che ha stabilito
essere i rapporti di forza alla base della convivenza umana. Così,
quella stessa legge non scritta che permette agli ebrei di bombardare Gaza,
permette al legislatore di rendere legale il sistematico assassinio di
animali. Perché così si è sempre fatto. E’ la norma, bellezza!
E’
naturale perché, come diceva Dario Fo in “Mistero buffo”, la storia la
fanno i popoli ma sono i re che la scrivono. E dunque, le maestrine a
scuola e le suorine all’asilo c’insegnano con devozione che si è sempre
cacciato gli animali per nutrirsi delle loro carni, omettendo di dire
che si è anche sempre provato repulsione per un cibo sanguinolento e che
solo con la cottura lo si è reso edibile. Il modello neanderthaliano
come esempio da seguire.
E’ necessario mangiare carne,
infine, perché è necessario tenere in piedi il principio di
sopraffazione, senza il quale Monti non può imporre nuove tasse, Obama
non può mantenere le truppe in Afghanistan e l’aborigeno australiano non
può cacciare il varano, venendo cacciato a sua volta dalla terra del
sogno, dai soliti bianchi prepotenti. Ma a noi interessa solo il primo
caso: Monti e i suoi piani di affossamento dell’Italia. Degli afgani,
degli aborigeni e degli animali non ce ne può fregare di meno. Così
pensa l’uomo della strada.
Tornando in tema, l’industria
della carne opera massicce distorsioni cognitive sui cervelli dei
clienti, cominciando dalla negazione del
fenomeno e successivamente accampando false giustificazioni. Lo scopo è
di creare quel GAP che consenta ai consumatori di non collegare le
fibre muscolari che hanno nel piatto con l’animale vivo a cui erano
appartenute. Per tutta la sua giovinezza, anche con Melanie questo GAP
aveva funzionato e ciascuno di noi pentiti della carne può confermarlo.
Se
il fenomeno viene negato, non siamo chiamati a prendere posizione,
giacché ci viene detto che si tratta di fisime di persone troppo
sensibili o malate mentalmente. Un po’ come avviene anche con le scie
chimiche nei cieli, laddove coloro che le vedono, interrogandosi sulla
loro natura, vengono definiti paranoici o, burlescamente,
“sciacomicari”.
Al fine di contribuire alla negazione del fenomeno
– e tale negazione potrebbe far venire in mente il negazionismo
dell’Olocausto sul quale conviene qui sorvolare – gli allevatori moderni
usano riferirsi ai capi di bestiame mediante numeri anziché nomi. Solo
così, spersonalizzando ogni singolo animale, viene più facile avviarlo
al macello, tenuto conto che i nostri nonni, che allevavano animali in
un’epoca pre-industriale, i nomi glieli davano lo stesso, alle mucche,
ma ciò non impediva loro di mandarle a morire quando arrivava il momento
opportuno. Forse alcuni di loro stavano male tre giorni, dopo che era
passato il commerciante di bestiame, ma ciò costituisce solo una pallida
attenuante del crimine commesso, nonché la riprova che per l’essere
umano non è naturale sopprimere altre vite. Nemmeno sotto la pressione
della fame.
Quando
il fenomeno non può proprio essere negato - ha proseguito Melanie - si
accampano le giustificazioni, di cui le tre ENNE già trattate sono la
colonna portante. Il risultato è una massa di consumatori assuefatti
all’ideologia dominante, necrofila e mortifera, che ci rende tutti
vittime dei profitti di pochi industriali della carne. L’ambiente ne
risente, e secondo l’ONU gli allevamenti intensivi sono la prima causa
d’inquinamento. Gli addetti al confezionamento della carne si feriscono e
si ammalano per i traumi da stress come succede ai soldati in guerra. I
consumatori si ammalano di Campylobacter e di mille altre malattie
degenerative connesse al consumo di carne e i vegetariani vivono una
vita d’inferno anche solo passeggiando per le strade di città,
imbattendosi in macellerie e pelliccerie. Non parliamo poi quando vanno
ad assistere a una conferenza di Melanie Joy!
Su tutti, gli
animali fatti nascere e macellati per il capriccio umano travestito da
necessità, animali che pagano un prezzo altissimo e fanno desiderare a
noi consapevoli e amanti della giustizia che l’umanità si estingua una
volta per tutte, se proprio non è in grado di evolversi moralmente come
stiamo facendo noi.
Se il neanderthaliano non può essere preso a modello, forse lo è l’animalista vegano, che vive senza che la sua vita sia di detrimento a qualsiasi essere vivente. Purtroppo, non lo possiamo dire perché sennò ci tacciano di snobismo.
Noi
che abbiamo fatto il salto del fosso accusiamo quelli ancora dall’altra
parte di essere responsabili della morte di miliardi di creature. Loro
ci accusano di essere snob rompiscatole, e anche un po’ picchiatelli.
Chi ha ragione? Meglio vivere in una matrix e sentirsi felici o uscirne
fuori e provare tutto il dolore del mondo? Meglio una dolce bugia o
un’amara verità?
In fondo, è solo questione di come percepiamo la
realtà. John Fitzgerald Kennedy disse: “Credere ai miti permette la
comodità dell’opinione senza il disagio del pensiero”.
Sappiamo che fine ha fatto. E anche lui è diventato un mito.
Melanie
Joy ha concluso il suo intervento esortando il pubblico a non
rinunciare mai a rendere testimonianza sulla realtà del carnismo, perché
solo così possiamo sperare di realizzare in noi quel cambiamento che
vogliamo vedere nel mondo.
Parola di un famoso vegetariano convinto.
Grazie per il tuo ennesimo bellissimo articolo da un tuo grande ammiratore
RispondiEliminaGrazie a te, Vittorio.
EliminaFaccio solo del mio meglio.
Per il peggio c'è tempo.
Ciao
Questo bellissimo articolo me lo ero perso, l'ho visto ora.
RispondiEliminaGran donna la Melanie!
cit"Meglio vivere in una matrix e sentirsi felici o uscirne fuori e provare tutto il dolore del mondo?"
preferisco la seconda, ma questo non vuol dire che sia giusto così, forse è soltanto che sono masochista :-) la consapevolezza è dolore, non c'è dubbio, ma la non consapevolezza è una vita finta,di plastica, una quasi-morte.