lunedì 19 novembre 2012

Il favoloso mondo di Melanie

In principio era il campylobacter. Poi venne l’Homo sapiens, consapevole e responsabile.  Melanie Joy è una donna sapiente, laureata ad Harvard e insegnante all’università del Massachusetts. Ha quarantasei anni ma ne aveva ventitre quando un hamburger le fece il dono di contaminarla con il campylobacter, facendola finire in ospedale attaccata alle flebo di antibiotici.
Provate ad immaginare la più forte influenza intestinale che avete avuto e moltiplicatela per dieci, ha detto alla conferenza di domenica sera, 18 novembre, a Pordenone. Ecco, quella è stata la mia esperienza con il campylobacter, ha concluso. Non avendo mai avuto un’influenza intestinale non posso rendermi conto della gravità della malattia, ma posso immaginarla.
Fu un bene per lei, a conferma del fatto che toccando il fondo si può solo risalire. E non tutti i mali vengono per nuocere. Smise con la carne e le si aprirono gli occhi. Ora gira il mondo tenendo efficaci conferenze, dove riesce perfino a far piangere l’uditorio, in genere già informato su cosa stia dietro l’industria della carne.
Il titolo della conferenza, arricchita da splendide diapositive, infatti era: “Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche”
Concetto valido per noi occidentali, ma non per induisti o musulmani. Siamo noi pasciuti caucasici, fino a ieri dominatori del mondo, ad essere i principali responsabili della morte di miliardi di creature, assassinate per la loro carne. Gli altri, i non occidentali, farebbero la stessa cosa se solo ne avessero i mezzi. Noi facciamo olocausti industriali, mentre loro li fanno a livello artigianale.
Ovunque nel mondo impera lo specismo, che Melanie Joy chiama “ideologia carnista”.


Il succo è quello. In tutta la conferenza, durata un paio d’ore, Melanie non ha pronunciato la parola specismo, termine se non sbaglio coniato da Peter Singer, ma l’argomento ruota sempre attorno alla prepotenza dell’uomo sulle altre specie, propedeutica alla violenza dell’uomo sui membri della propria.
Il settore della zootecnia negli Stati Uniti produce un fatturato di 125 miliardi di dollari annui, mentre nel mondo si compie una mattanza di 124.000 animali al minuto, pari a 65 miliardi all’anno. Esclusi i pesci, naturalmente.

Ovunque voltiamo lo sguardo siamo circondati da cadaveri di animali, confezionati in comode vaschette di polistirolo. Se non abbiamo sotto gli occhi i pezzi di animale, l’industria della carne ci tempesta di pubblicità ammaliante, con il sorriso sornione di chi vuole venderci qualcosa, secondo le migliori tecniche di marketing.
La mistificazione del consumo di proteine animali è infatti il cavallo di battaglia del carnivorismo, anzi, del carnismo. Ci viene trasmessa l’idea del capo di bestiame vissuto libero e felice, fino alla conclusione fatale della sua vita, e si occulta sistematicamente la realtà degli allevamenti intensivi, del trasporto del bestiame e infine della sua macellazione.

L’inganno è globale, come recita uno dei film di Massimo Mazzucco, e noi animalisti lo sappiamo molto bene. Quelli che non lo sanno sono i consumatori di carne. E non devono saperlo, altrimenti il menzognero castello di carta, allestito dall’industria carniera, crolla, come pure i suoi profitti.
Per fronteggiare il pericolo connesso all’aumento del numero dei vegetariani, che negli USA tocca già il 5 % della popolazione, il governo fantoccio manovrato da sionisti, banchieri, petrolieri e carnisti, ha addirittura promulgato una legge che vieta di avvicinarsi agli allevamenti intensivi. Chiunque volesse fare fotografie o filmati, anche da lontano, rischia il carcere, neanche fosse l’Area 51!

Lo spiega Dara Lovitz, nel libro “Imbavagliare un movimento”, non ancora tradotto in italiano. Un paese che uccide i suoi presidenti, che abbatte tre grattacieli con le persone dentro, che invade gli altri stati sovrani grazie al sotterfugio degli attacchi “false flag”, può anche dichiarare terroristi coloro che cercano di far sapere al grande pubblico dei consumatori inconsapevoli come è prodotta la bistecca che mangiano. Da qui si capisce che razza di persone comandano interi popoli, in una criptodittatura che non ha niente da invidiare alle dittature conclamate.
Le persone non devono sapere che i pulcini maschi vengono triturati vivi, che i porcellini di pochi giorni vengono castrati con le forbici senza anestesia, che conigli, polli e tacchini vengono sgozzati anch’essi senza alcuno stordimento preventivo e che quello previsto per legge per gli animali più grossi spesso non li stordisce affatto. Guai se la gente vedesse e sapesse. Meglio applicare la politica dello struzzo. O delle tre scimmiette.

Ecco. A un certo punto, dopo averci mostrato scene bucoliche di animali al pascolo nelle fattorie animaliste, salvati dal macello, Melanie Joy ha voluto mostrare al pubblico in sala quattro minuti di orrore puro, dicendo che lo avrebbe fatto per accrescere la nostra consapevolezza. Io, che da trent’anni vedo scene analoghe – e vista una viste tutte – mi chiedevo perché dobbiamo essere così masochisti da sottoporci a simili visioni. Poi pensavo che essendo psicologa forse sapeva ciò che stava facendo e il suo scopo era di colpire allo stomaco gli eventuali carnisti presenti in sala.

L’annuncio è stato già di per sé una sofferenza, amplificata dalla traduzione simultanea dall’inglese all’italiano della brava Daniela Galeota. Quando poi si è passati alle immagini, lo strazio è durato più di quattro minuti, in virtù del tempo psicologico che si allunga quando viviamo esperienze sgradevoli e si accorcia quando ne viviamo di segno opposto.
Sentivo attorno a me ragazze singhiozzare, nasi che venivano soffiati e un frusciare di fazzoletti di carta, ma anch’io ho dovuto combattere con quella cosa che non si sa dove abbia sede, se nel cervello, nel cuore o da qualche altra parte, quella cosa che si chiama Empatia. O neuroni specchio, come va di moda chiamarla oggi.

Melanie, in questo modo, ci ha conquistati, ha fatto fare un sobbalzo allo spirito di corpo, se ancora ce ne fosse stato bisogno e lo si è visto alla fine della conferenza con l’applauso che non cessava mai, come durante i congressi del partito di Ceausescu, dove nessuno aveva il coraggio di smettere per primo di applaudire. Dietro di me, tuttavia, avevo un signore che durante le scene dell’allevatore che sbatte a terra i porcellini malformati, ridacchiava, e quando si vedevano le scene dei delfini giapponesi sviscerati ancora vivi, faceva commenti idioti che non ho inteso bene. E i casi come il suo fanno sorgere l’interrogativo sul perché certe persone reagiscano in modo indifferente e quasi divertito di fronte a scene di violenza.
Un interrogativo che gli animalisti si portano dietro da sempre e su cui solo da poco sono forse riuscito a trovare una soluzione: non tutti gli esseri umani hanno l’anima. Anima nel senso di coscienza. Lo dice uno che con le anime ci sa fare, ci lavora, quel tale Corrado Malanga ipnotizzatore di addotti.

Il filmato atroce finì, l’ondata emotiva uscì dalla porta per disperdersi nella piovigginosa serata pordenonese. Le cento sedie della sala erano tutte occupate. Altri cinquanta sono dovuti rimanere in piedi. Non c’erano bambini. Gli organizzatori, Massimo Lo Scavo e sua moglie Daniela, traduttrice simultanea, non si aspettavano un tale successo di pubblico e io mi chiedo quale riscontro abbia avuto un tale evento. Se tanto mi dà tanto e siccome è in atto un meticoloso occultamento della realtà, affinché la gente viva come in una Matrix, immagino che il Gazzettino non ne abbia fatto cenno. La gente non deve sapere. O, se proprio se ne deve parlare, si faccia ricorso a quelle che Melanie chiama le “3 enne”. Mangiare carne è: 1) normale; 2) naturale; 3) necessario.

E’ normale secondo il sentire comune perché rientra nella norma codificata dalla consuetudine, che ha stabilito essere i rapporti di forza alla base della convivenza umana. Così, quella stessa legge non scritta che permette agli ebrei di bombardare Gaza, permette al legislatore di rendere legale il sistematico assassinio di animali. Perché così si è sempre fatto. E’ la norma, bellezza!

E’ naturale perché, come diceva Dario Fo in “Mistero buffo”, la storia la fanno i popoli ma sono i re che la scrivono. E dunque, le maestrine a scuola e le suorine all’asilo c’insegnano con devozione che si è sempre cacciato gli animali per nutrirsi delle loro carni, omettendo di dire che si è anche sempre provato repulsione per un cibo sanguinolento e che solo con la cottura lo si è reso edibile. Il modello neanderthaliano come esempio da seguire.

E’ necessario mangiare carne, infine, perché è necessario tenere in piedi il principio di sopraffazione, senza il quale Monti non può imporre nuove tasse, Obama non può mantenere le truppe in Afghanistan e l’aborigeno australiano non può cacciare il varano, venendo cacciato a sua volta dalla terra del sogno, dai soliti bianchi prepotenti. Ma a noi interessa solo il primo caso: Monti e i suoi piani di affossamento dell’Italia. Degli afgani, degli aborigeni e degli animali non ce ne può fregare di meno. Così pensa l’uomo della strada.

Tornando in tema, l’industria della carne opera massicce distorsioni cognitive sui cervelli dei clienti, cominciando dalla negazione del fenomeno e successivamente accampando false giustificazioni. Lo scopo è di creare quel GAP che consenta ai consumatori di non collegare le fibre muscolari che hanno nel piatto con l’animale vivo a cui erano appartenute. Per tutta la sua giovinezza, anche con Melanie questo GAP aveva funzionato e ciascuno di noi pentiti della carne può confermarlo.
Se il fenomeno viene negato, non siamo chiamati a prendere posizione, giacché ci viene detto che si tratta di fisime di persone troppo sensibili o malate mentalmente. Un po’ come avviene anche con le scie chimiche nei cieli, laddove coloro che le vedono, interrogandosi sulla loro natura, vengono definiti paranoici o, burlescamente, “sciacomicari”.

Al fine di contribuire alla negazione del fenomeno – e tale negazione potrebbe far venire in mente il negazionismo dell’Olocausto sul quale conviene qui sorvolare – gli allevatori moderni usano riferirsi ai capi di bestiame mediante numeri anziché nomi. Solo così, spersonalizzando ogni singolo animale, viene più facile avviarlo al macello, tenuto conto che i nostri nonni, che allevavano animali in un’epoca pre-industriale, i nomi glieli davano lo stesso, alle mucche, ma ciò non impediva loro di mandarle a morire quando arrivava il momento opportuno. Forse alcuni di loro stavano male tre giorni, dopo che era passato il commerciante di bestiame, ma ciò costituisce solo una pallida attenuante del crimine commesso, nonché la riprova che per l’essere umano non è naturale sopprimere altre vite. Nemmeno sotto la pressione della fame.

Quando il fenomeno non può proprio essere negato - ha proseguito Melanie - si accampano le giustificazioni, di cui le tre ENNE già trattate sono la colonna portante. Il risultato è una massa di consumatori assuefatti all’ideologia dominante, necrofila e mortifera, che ci rende tutti vittime dei profitti di pochi industriali della carne. L’ambiente ne risente, e secondo l’ONU gli allevamenti intensivi sono la prima causa d’inquinamento. Gli addetti al confezionamento della carne si feriscono e si ammalano per i traumi da stress come succede ai soldati in guerra. I consumatori si ammalano di Campylobacter e di mille altre malattie degenerative connesse al consumo di carne e i vegetariani vivono una vita d’inferno anche solo passeggiando per le strade di città, imbattendosi in macellerie e pelliccerie. Non parliamo poi quando vanno ad assistere a una conferenza di Melanie Joy!

Su tutti, gli animali fatti nascere e macellati per il capriccio umano travestito da necessità, animali che pagano un prezzo altissimo e fanno desiderare a noi consapevoli e amanti della giustizia che l’umanità si estingua una volta per tutte, se proprio non è in grado di evolversi moralmente come stiamo facendo noi.
Se il neanderthaliano non può essere preso a modello, forse lo è l’animalista vegano, che vive senza che la sua vita sia di detrimento a qualsiasi essere vivente. Purtroppo, non lo possiamo dire perché sennò ci tacciano di snobismo.
Noi che abbiamo fatto il salto del fosso accusiamo quelli ancora dall’altra parte di essere responsabili della morte di miliardi di creature. Loro ci accusano di essere snob rompiscatole, e anche un po’ picchiatelli. Chi ha ragione? Meglio vivere in una matrix e sentirsi felici o uscirne fuori e provare tutto il dolore del mondo? Meglio una dolce bugia o un’amara verità?

In fondo, è solo questione di come percepiamo la realtà. John Fitzgerald Kennedy disse: “Credere ai miti permette la comodità dell’opinione senza il disagio del pensiero”.
Sappiamo che fine ha fatto. E anche lui è diventato un mito.

Melanie Joy ha concluso il suo intervento esortando il pubblico a non rinunciare mai a rendere testimonianza sulla realtà del carnismo, perché solo così possiamo sperare di realizzare in noi quel cambiamento che vogliamo vedere nel mondo. 
Parola di un famoso vegetariano convinto.


3 commenti:

  1. Grazie per il tuo ennesimo bellissimo articolo da un tuo grande ammiratore

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    1. Grazie a te, Vittorio.
      Faccio solo del mio meglio.
      Per il peggio c'è tempo.
      Ciao

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  2. Questo bellissimo articolo me lo ero perso, l'ho visto ora.
    Gran donna la Melanie!

    cit"Meglio vivere in una matrix e sentirsi felici o uscirne fuori e provare tutto il dolore del mondo?"

    preferisco la seconda, ma questo non vuol dire che sia giusto così, forse è soltanto che sono masochista :-) la consapevolezza è dolore, non c'è dubbio, ma la non consapevolezza è una vita finta,di plastica, una quasi-morte.

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