Fino a quattro anni fa non aveva mai portato occhiali. Poi si è messo
a lavorare con la fiamma ossidrica e ora non riesce a leggere il Corano
senza lenti, né a fare lavori di precisione. Temendo di diventare cieco
e di dover andare in giro con il bastoncino bianco, è andato dal
medico, che gli ha chiesto:
- Quanti anni hai?
- 38
- Che lavoro fai?
- Saldatore
- Beh, sai, trentotto anni, può dipendere dall’età
- E come mai gli occhi mi bruciano e mi lacrimano dal lunedì al venerdì, mentre il sabato e la domenica non mi lacrimano?
Tipico caso di medico di m.
Laddove
m. non vuol dire mutua, ma menefreghista. Così il mio intervistato si è
iscritto alla CGIL. Ha avuto un colloquio con un responsabile del
settore metalmeccanici. Gli ha spiegato la situazione e il sindacalista
ha fatto una telefonata. La mattina dopo il datore di lavoro gli è
andato incontro con una maschera nuova, dotata di vetro schermante più
potente, dopo che per quattro anni gli aveva risposto che di più potenti
non ce n’erano.
Non so se devo vergognarmi per lui, il padrone dell’azienda
sita nella zona industriale di Sedegliano (UD), o se mi devo
considerare già in fase di rassegnazione cronica, avendo sentito cose
ben peggiori. Dopo che per decenni – noi friulani – ci siamo fatti
rispettare come onesti lavoratori in giro per il mondo, adesso che siamo
diventati piccoli industriali ci mettiamo a fare i micragnosi (quello
lo siamo sempre stati). Ci mettiamo a risparmiare sulle Risorse Umane. E
chissenefrega se i nostri operai perdono la vista!
Almeno ci sono
i sindacati, che qualcosa di buono – di concreto – fanno, per i
lavoratori. Ma tutto il resto del mondo del lavoro è una vera schifezza.
Infatti, il mio ospite, prima di fare il saldatore ha lavorato in un
cantiere stradale con sede in provincia di Venezia, per undici ore al
giorno, senza che gli straordinari gli venissero pagati.
E’ però arrivato il momento di fare le presentazioni. Ramazan Mohamadi è arrivato in Italia come clandestino il 18 dicembre del 2006
e la sua storia è davvero incredibile. Il suo paese d’origine è
l’Afghanistan, ma prima di venire in Europa è stato dieci anni in Iran,
dal 1996 al 2006, dove ha fatto il muratore. Siccome gli USA hanno
invaso l’Afghanistan dopo l’attentato alle torri gemelle del 2001,
Ramazan non ha visto gli orrori della guerra americana, ma quelli della
guerra contro i russi.
I russi sono entrati nel suo paese
nel 1979 e in quello stesso anno suo padre è stato ucciso, insieme a
3.500.000 altri suoi connazionali. I russi se ne sono andati nel 1989,
lasciando sul terreno 3.000 dei loro soldati morti, più 300 dispersi.
Una sproporzione pazzesca, che mostra come anche quella fosse più
un’ecatombe che una guerra vera e propria. I russi, in fondo, non sono
meno imperialisti degli americani.
In fatto di guerre, però, il
popolo afgano ha una lunga tradizione e se regioni della Terra come il
Friuli o il Bangladesh hanno come una maledizione che le rende
sfortunate, anche l’Afghanistan non scherza in fatto di sfiga cosmica.
All’epoca
di re Amanullah, infatti, nel 1920, gli inglesi attraversarono il
confine con l’India pensando di fare una passeggiata, ma trovarono pane
per i loro denti, cioè armi bianche, zappe e forconi per i loro fucili
automatici. E’ così che come i friulani si sono fatti la nomea di onesti
lavoratori, gli afgani si sono fatti quella di indomiti e fieri
difensori della loro terra. Magari si sentono così anche ora, dopo
novantadue anni. Solo che adesso a morire è la gente comune,
tra cui molti bambini, e la cosa non ha i precisi contorni di una
guerra di liberazione. A meno che, a mettere le bombe, siano soggetti
diversi da quelli ufficialmente indicati come tali.
Prima di raccontarmi le avventure rocambolesche con le quali è arrivato in Italia, Ramazan mi ha fatto un excursus
storico della sua terra d’origine. Scacciati gli inglesi, scacciati i
russi, dal 1989 al 1995 in Afghanistan c’erano diversi gruppi armati che
si combattevano tra loro, il che mi ricorda le notizie dei giornali
che, un tempo, a seguito delle manifestazioni, scrivevano: “Scontri tra
dimostranti”.
Già nel ’96, anno in cui Ramazan andò in Iran, era
al potere quel Mullah Omar di cui le cronache ci hanno per molto tempo
deliziato, ma comandava all’interno dell’Afghanistan, mentre all’esterno
c’era già il suo amico Osama Bin Laden, di cui le cronache ci hanno
deliziato ancora di più.
Se tanto mi dà tanto, e se Bin Laden era
amico della famiglia Bush, con cui intratteneva affari, mi viene da
pensare che nella seconda metà degli anni Novanta gli americani
svolgessero un ruolo di regia occulta sul territorio afgano e che il
destino dell’Afghanistan fosse già segnato.
Con quel metodo tipico
e collaudatissimo della “Confraternita Babilonese” - di cui parla David
Icke - in base al quale gli amici diventano nemici in un batter di
ciglia a seconda degl’interessi del momento, dopo che la Confraternita
nella versione yankee aveva passato armi e istruttori militari ai Mujaheddin per combattere i russi, facendogli fare il cosiddetto lavoro sporco, improvvisamente i Mujaheddin diventano nemici della Libertà e dell’Occidente.
Diventato
nemico degli USA per motivi strategici, Osama Bin Laden ha portato con
sé nella sua caduta all’inferno anche il popolo afgano, compresi i
combattenti Mujaheddin, reo di non voler consegnare alla “giustizia” americana il bombardatore di grattacieli.
C’era però anche un terzo elemento: i Taleban!
Come mi ha spiegato Ramazan, i talebani erano truppe mercenarie
provenienti da Marocco, Tunisia, Iraq, Arabia Saudita e altri paesi
musulmani. Erano già lì sul posto, a combattere anche loro contro i
russi, partiti i quali ai talebani prudevano le mani, volevano una paga
più alta e comunque erano disposti a servire l’antico padrone americano,
anche impersonando il ruolo di nemici, se necessario.
E così,
quelli che non hanno voluto tornare alle loro case – ammesso che ne
avessero una – sono rimasti in Afghanistan a “combattere” gli americani.
Gli altri vennero negli anni seguenti impiegati nelle primavere arabe e
ora sono concentrati in Siria ma con Assad non se la passano molto
bene.
Quando erano al potere i talebani, a partire dal 1995, vennero fatte buone leggi, a detta del mio intervistato, perché venne instaurata la legge coranica. Alla mia domanda se fosse vero che le ragazze che andavano in giro per strada a Kabul senza il chador
venissero bastonate, Ramazan non solo mi ha detto che è successo in
qualche occasione, ma che di norma le ragazze non andavano in giro da
sole, ma sempre e soltanto accompagnate da un membro maschile della
famiglia, fratello o marito.
E qui Ramazan ha aggiunto sale sulla
ferita, dicendomi una cosa che non avevo mai sentito: se una coppia, un
uomo e una donna, fermati per strada dai talebani, non avevano con sé il
certificato di matrimonio, cioè non potevano dimostrare di essere
legalmente sposati, venivano portati in prigione, perché due fidanzati,
da soli, non possono andare in giro senza accompagnatori, quelli che in
francese si chiamano chaperon.
E questo mi fa venire in
mente una notizia che ha avuto l’onore delle cronache, ma che è successa
sulle montagne venete. Una coppia andava a fare una passeggiata
in montagna con il cagnolino. Li fermano le guardie forestali e
chiedono loro il certificato di vaccinazione del cane. Non avendolo con
sé, hanno preso una multa di 3.000 euro. Talebani di casa nostra, in
divisa verdolina.
A un certo punto, tornando ai famigerati
talebani, quando hanno preso possesso del 90 % del territorio afgano,
hanno deciso di cambiare la legge in peggio, ovvero forse di attenuare
le asprezze della legge del Profeta. Anche questo mi fa sospettare che
siano manovrati dagli americani e che lo siano sempre stati.
A
riprova della bontà dell’amministrazione talebana, prima che
peggiorassero la legge, Ramazan mi ha detto che si poteva andare in giro
con grosse somme in tasca senza il rischio d’essere rapinati (da noi si
diceva che con Mussolini i treni partivano in orario). Ciò non mi
stupisce perché se ai ladri si amputa una mano e un piede, voglio vedere
dopo le prime amputazioni quanti abbiano voglia di intraprendere la
carriera del delinquente. Il proverbio “Il medico pietoso fa la piaga
purulenta”, che verrebbe spontaneo applicare alle nostre latitudini,
sembrerebbe convalidare tale islamica durezza legislativa.
Non so
com’è ora la situazione in Afghanistan, a parte gli attentati
terroristici, e penso che se io, bianco, dovessi andare in giro di notte
per un quartiere poco illuminato di Kabul, con il borsello e la
macchina fotografica bene in evidenza, non ci sarebbero né santi, né
madonne, né profeti a salvaguardarmi da qualche brutto quarto d’ora.
Forse
neanche Ramazan sa com’è ora la situazione in Afghanistan, perché anche
quando nel luglio scorso è andato a trovare sua moglie Saera e le loro
quattro bambine, si sono dati appuntamento in Iran, dove ha molti amici,
e dalla sua patria per il momento preferisce tenersi alla larga. Il suo
sogno infatti è di far venire la famiglia a Codroipo, magari dopo che
avrà trovato un lavoro meno nocivo per la sua vista.
Noi dai
telegiornali sappiamo che i musulmani si dividono principalmente in
Sunniti e Sciiti, e Ramazan mi ha portato l’esempio dei cattolici e dei
protestanti (ma gli ortodossi?) e ora so anche su cosa vertono le loro
dispute. I Sunniti hanno scelto di conformarsi allo stile di vita
dell’epoca di Maometto e questo spiega le lunghe palandrane e la barba,
mentre gli Sciiti si sentono musulmani anche se non si vestono come i
beduini del settimo secolo. I Sunniti accusano gli Sciiti di non seguire
la tradizione religiosa autentica, mentre gli Sciiti accusano i Sunniti
di essere fanatici ed esagerati nelle loro prescrizioni.
Ho spiegato a Ramazan che anche fra i cristiani c’è una situazione simile, con gli Amish
americani, oriundi tedeschi, che per seguire un ideale vangelico di
purezza rifiutano auto, telefono ed elettricità e si spostano da un
villaggio all’altro con i calessi trainati da cavalli. Non sono
vegetariani, ma in compenso non portano i baffi (come i mormoni, credo)
perché considerati simbolo di militarismo.
Ho chiesto a Ramazan,
forse con troppa morbosa insistenza, che mi raccontasse scene di guerra a
cui ha assistito, ma a parte le centinaia di morti per le strade,
comprese due mucche, da lui visti quando aveva quattordici anni, non ha
saputo o voluto scendere nei particolari. Una cosa però si ricorda,
della sua adolescenza nella città di Ghazni: quando passavano i carri
armati russi, se la gente non li infastidiva, i carristi comunisti non
compivano atti ostili verso la popolazione civile, ma se c’erano scontri
a fuoco con qualche “ribelle”, o anche solo un cecchino appostato in un
palazzo, arrivavano subito i caccia a bombardare e di interi quartieri,
dissipatosi il polverone, non restava più nulla, solo un cumulo di
macerie e qualche arto umano o animale sparpagliato qua e là.
Tuttavia,
anche se manca dal suo paese dal 1996, non ha mai mancato di tenersi
informato sulla situazione dell'Afghanistan, un luogo in cui le giovani
generazioni non vedono alcun futuro. Come ai giovani turchi viene in
mente di andare in Germania e ai giovani algerini di andare in Francia,
così per molti afgani anche l’Italia diventa una meta desiderabile,
nonostante tuttora siamo al seguito del nemico occupante a stelle e
strisce.
I soldati morti che fanno rientro in Italia sotto la
bandiera tricolore, rientrano nella strategia sionista e americana di
fomentare l’odio dell’Occidente verso i paesi “canagliarabi”, in vista
di una eventuale, futura e sempre meno ipotetica guerra contro l’Iran.
Che i “nostri” soldati muoiano per mano di autentici patrioti afgani o
in virtù di attentati false flag, fa poca differenza: restano
funzionali al sistema e graditi ai fabbricanti di armi. Ad aggiungere
beffa al danno, come nel caso di Rashomon, in Italia tornano da eroi, mentre sul posto muoiono come invasori.
Di
questo però io e Ramazan non abbiamo parlato. Mi ha raccontato invece
come ha fatto ad arrivare in Italia senza un soldo in tasca e con solo
un piccolo zainetto sulle spalle. Dall’Iran, dove lavorava come
muratore, prese un pullman fino in Turchia, forse con gli ultimi
spiccioli che gli rimanevano. Dalla costa turca alla Grecia c’era un
breve tratto ci mare, che coprì con altri quattro compagni di viaggio a
bordo di una barca a remi.
Ci
misero cinque ore ad arrivare sulle coste elleniche. Da lì a piedi fino
a Patrasso, dove attese il momento opportuno di salire, non visto, sul fondo di un camion
diretto in Italia. Più che salire, bisognerebbe dire aggrapparsi e io
che non ho mai visto com’è fatta la parte inferiore di un camion non so
se c’è un anfratto, una rientranza che permetta a un corpo umano di
rannicchiarsi più o meno comodamente.
So solo, in base a quello
che mi ha detto Ramazan, che molti clandestini cadono dai camion in
corsa e vengono investiti dalle macchine che seguono. Il resto, la paura
di addormentarsi, lo sforzo di non perdere la presa, posso immaginarlo.
Mi pare ne abbia parlato anche la Gabanelli, con un servizio che
mostrava come gruppi di giovani in Grecia aspettino di salire sui camion in corsa, che dai parcheggi escono lentamente, aprendo però il portellone posteriore senza che il camionista se ne accorga.
Non
fu il caso di Ramazan, che salì a camion fermo infilandosi in qualche
vano tra le ruote del veicolo. Quando il camion passò Trieste, Ramazan
non se ne accorse. Scese solo quando il camionista fermò il mezzo e si
allontanò. Vagò per una città sconosciuta, sperando di essere in Italia,
e solo dopo qualche ora capì che quella città si chiamava Modena.
Poiché l’unica cosa che sapeva dell’Italia era che la sua capitale si
chiama Roma, vi si diresse, perché così fan tutti i clandestini che
giungono qui, a meno che non abbiano altri interessi a Milano.
Dormì
tre mesi in un parcheggio, insieme a un numero variabile di una
cinquantina di clandestini di varia provenienza, nella zona – coincidenza massonica – della Piramide
. Come vengono fatte le retate di prostitute, per accontentare i
benpensanti, così tecnicamente si potrebbero fare le retate di
clandestini, se solo si volesse estirpare il fenomeno tanto inviso alla
Lega Nord. Se non viene fatto e se Ramazan ha potuto dormire tre mesi
sull’asfalto di un parcheggio, coprendosi di cartoni come i barboni, ma
ricevendo di tanto in tanto gli aiuti alimentari dei volontari Caritas, è
perché non lo si vuole fare, cioè perché esiste veramente un piano di
destabilizzazione dell’Italia da realizzare tramite la silenziosa
invasione di extracomunitari coraggiosi, capitani delle loro vite
sfortunate.
A un certo punto, grazie forse al passaparola tra
compagni di sventure (perché era pieno inverno e se di notte cominciava a
piovere bisognava raccogliere coperte e nylon e correre al riparo),
Ramanzan si recò in questura a Roma. Gli presero le impronte digitali e
gli diedero una ricevuta. In breve tempo gli trovarono posto in un
centro d’accoglienza della capitale, dove fece un corso di saldatore e
uno, serale, di lingua italiana.
Dopo otto mesi ebbe la sua bella
carta d’identità, ma la domanda di Rifugiato Politico gli venne
respinta. Forse venire da un paese in guerra, invaso dalle nostre
truppe, non è motivo sufficiente e se fosse arrivato dal Sudan, dove i
musulmani bruciano le chiese cristiane, gli sarebbe stato più facile
ottenere l’asilo politico.
Ora
Ramazan ha il normale permesso di soggiorno, da Roma si è spostato nel
Veneto grazie al consiglio di un amico, e dal Veneto in Friuli, grazie
al consiglio di un altro amico. In attesa di congiungersi con moglie e
figlie, si è comprato una macchina del ’93 che lo lascia spesso per
strada.
Nota sociopolitica finale. Tra i due litiganti il terzo
gode. Tra talebani e truppe occidentali, i cinesi l’anno scorso hanno
cominciato le estrazioni petrolifere, forse perché gli stranieri si sono
spartiti il bottino: agli americani il papavero da oppio e ai cinesi
l’oro nero. L’accordo è che il 60% di petrolio estratto resta agli
afgani e il 40 % va in Cina. Fra dieci anni i cinesi se ne andranno,
lasciando in dono le infrastrutture per le estrazioni e tutto il
petrolio che ci sarà ancora da estrarre. Strano che non abbiano fatto un
contratto per 99 anni!
Oggi Ramazan Mohamadi è uscito dal Clan
dei Clandestini, ma il flusso in entrata è ancora aperto e la silenziosa
invasione di cui parlava la Fallaci è tuttora in fase d’attuazione.
Qualcuno, prima di mettersi ad asciugare per terra, dovrebbe chiudere il
rubinetto.
Questa però è logica umana e non sono del tutto sicuro
che nei cervelli dei padroni del mondo agisca una logica come la nostra.
e questa e´ solo la storia di un individuo!
RispondiEliminapensa tutti gli altri!
certo poraccio che e ´stato pure fortunato!
scappato dal suo paese dopo tante peripezie ha trovato lavoro ed e ´in regola
ma per questo ha rischiato la vita e mo pure la vista
e gia´ difficile addattarsi quando esci dalla tua terra figurati questi poveri cristi! o mulsulmani
tutta via non credo gli manchi la sua patria come invece puo´mancare a me!
ciao rob
Grazie Nata Libera!
EliminaCiò che mi ha colpito in Ramazan è la forza di volontà che gli ha permesso prima di dormire tre mesi all'addiaccio e poi di seguire un corso di saldatore di otto mesi.
Hai ragione a dire che è stato fortunato, ma ci ha messo anche molta convinzione e determinazione.
Se io seguissi ora un corso di saldatore, troverei subito lavoro perché nei Centri per l'Impiego i saldatori, come anche i tornitori, sono richiestissimi.
Ciao
non ti ci vedo a fare il saldatore
RispondiEliminacome scrittore vai alla grande :-)
Eh, però....impara l'arte e mettila da parte, dice il proverbio.
EliminaLe dimensioni dell'uomo non sono così limitate come i pregiudizi fanno. Prima dell'aggettivo c'è il soggetto. Prima dell'immigrato c'è l'uomo. Siamo diversi per cultura, storia, geografia e lingua, ma ci sono dei punti ancestrali di contatto nel riconoscersi uomini. Quindi, benvenuto Ramazan, ci saranno tempi in cui ci incontreremo col tempo degli uomini, e ci riconosceremo come tali.
RispondiEliminaMandi
Mandi "Nata Libera" Alles gut bei dir?
RispondiElimina