lunedì 10 giugno 2013

Il giorno dei morti viventi


Il penultimo libro che ho scritto, mentre ero agli arresti domiciliari sette anni fa, s’intitola “Encefalogramma piatto” e si riferisce metaforicamente allo stato di salute del Movimento Animalista, così come lo percepivo io all’epoca a causa del mancato sostegno alle mie azioni eversive attuate in difesa degli animali.
Oggi, dopo sette anni, il Movimento ha avuto sì un’accelerazione, nel senso che è cresciuto numericamente in termini di militanti e di aumentata sensibilità nella gente per le nostre tematiche, ma ha prodotto anche un fenomeno su cui mi piace indagare e sul quale vorrei avanzare timide spiegazioni.
Il fenomeno della nascita di un elemento mostruoso in seno all’animalismo, una specie di degenerazione culturale basata sulla più sfrenata ideologia bipolare da guerra fredda. E’ come se dallo stato comatoso in cui il Movimento si trovava nel 2006, una parte di esso si fosse risvegliata sotto forma di Zombie, andandosene in giro ad azzannare vittime a destra e a manca. N’do cojo, cojo! Dicono a Roma.


L’elemento zombificato ha avuto una lunga incubazione in luoghi precisi – ancora prima del
2006 - e ha per protagonisti attori di giovane e presumibilmente immatura età, incapaci di vedere le mille sfumature della vita reale e irreggimentati in un’ideologia antiquata di cui anche i mass-media mainstream e la consapevolezza popolare riconoscono l’obsolescenza.
Trovo che dall’inerzia comatosa da parte del Movimento nei confronti di quanti come il sottoscritto passano all’azione, violando le leggi, detto Movimento – o una parte di esso - stia passando a uno stato di Zombie privo di raziocinio e votato alla propria ed altrui distruzione.
Mi riferisco ai centri sociali frequentati da ragazzi con tendenze anarchiche e di Sinistra, qualsiasi cosa questi due termini vogliano significare.
Da tali luoghi, per me sconosciuti, escono strisciando larve umane armate di ferree convinzioni, il cui scopo, dietro l’apparenza della solidarietà nei confronti degli animali oppressi, è quello di dare la caccia alle bande rivali. Un po’ come succedeva in un famoso film del 1979 intitolato “Warriors”, e ambientato a New York, dove gruppi di giovani con proprie divise si davano battaglia l’un l’altro a seconda del quartiere di appartenenza.
La mentalità tribale dei nostri antenati ominidi si manifestava in ambiente urbano e si esprime tuttora soprattutto presso giovani sudamericani urbanizzati e bikers avvinazzati, ma trova adepti anche nell’animalismo moderno, in Italia, qui e ora. All’estero non so. La tribù degli anarco-animalisti sente l’esigenza di combattere contro la tribù dei fascio-animalisti, benché quest’ultimo termine sia del tutto inappropriato e faccia scappar da ridere anche a me. La cosa paradossale è che se di fascismo si deve parlare, inteso come violenza, prepotenza e sopraffazione, è semmai negli anarco-animalisti che va cercato. Quando qualcuno parlava di “fascismo rosso”, secondo me sapeva quel che diceva.

La prima volta che ebbi a che fare con gli zombie anarchici fu nel 2003, e non fu una bella
esperienza. L’ultima fu l’otto giugno scorso. Dei vecchi anarco-animalisti che conobbi dieci anni fa, a Bergamo sabato scorso ce n’era uno, Costantino, che fece fatica a riconoscermi ma che fu l’unico a trattarmi con rispetto, forse perché il passare del tempo l’aveva reso più malleabile e meno fanatico dei suoi compagni. Dieci anni fa aveva preso le mie difese quando altri anarco-animalisti mi tirarono petardi fra i piedi mentre stavo rilasciando un’intervista a una televisione locale a San Polo d’Enza (RE). Intendevano in tal modo accusarmi di voler fare “la passerella”, alla maniera delle sfilate di moda, cioè, secondo loro, mettermi in mostra e parlare a nome di tutto il Movimento.

L’ho rivisto sabato a Bergamo e, prima che il corteo partisse, abbiamo fatto una rievocazione dei bei tempi passati. Si dice sempre così anche se non è vero. Il fanatismo dei suoi compagni di zombificazione, purtroppo, si è manifestato in seguito, prendendo le sembianze di due graziose fanciulle, e se devo esser sincero me la sono andata a cercare.

Avrei potuto infatti fare a meno di rivolgere la parola a un trans alto due metri, vestito da donna, con gonna a fiori e camicetta rossa, con il seno di silicone, le unghie dei piedi dipinte, e che si fa chiamare Barbara. L’avevo notata una prima volta a Brescia l’anno scorso, mentre sbraitava cercando di allontanare dal corteo contro la caccia un paio di esponenti dei 100%Animalisti. Poi l’avevo sentita gridare “Nelle foibe c’è ancora posto”, a Correzzana (BS), in direzione di un gruppo più nutrito di persone tra cui c’erano anche esponenti della stessa malfamata associazione.
L’ho rivista infine a Bergamo, essendo che con i suoi due metri d’altezza non passa di certo inosservata, e non ho saputo resistere alla tentazione di conoscerla. Mi sono avvicinato con un banale “Ciao” e mi sono accorto subito che era una di quelle persone che per stringere la mano ad un estraneo devono conoscere le sue convinzioni politiche, cosa piuttosto difficile di primo acchito. La mano, infatti, non siamo riusciti a stringerla, perché mentre io allungavo la mia lei ritraeva la sua e dunque non si può dire che sia stato un bell’inizio.
Subito cominciava la requisitoria nei miei confronti con la sua incalzante domanda se fossi  o meno un antifascista. Già questa è una scorrettezza, perché nessuno l’ha nominata giudice supremo di qualche immaginaria corte di qualche invisibile tribunale. La mia esitazione, di fronte a un concetto complesso che in questi ultimi anni, a partire almeno dalla caduta del muro di Berlino, ha perso gran parte del suo significato, è stato il secondo punto a mio sfavore che le ha fatto maturare la convinzione di avere a che fare con un nemico. Ci sono a questo mondo ancora persone che hanno bisogno di un nemico, vero o fittizio, persone in genere immature che si servono di questo metodo per formare il proprio carattere. Più o meno come i cacciatori che hanno la coazione a uccidere per sentirsi vivi.

Non so fino a che punto questo obsoleto manicheismo, che per me rasenta la follia e che andrebbe inquadrato in un’ottica psichiatrica, sia diffuso presso gli anarco-animalisti dei centri sociali, ma se Barbara può essere presa a paradigma e i suoi colleghi sono tutti manicheisti come lei, allora la mia ipotesi di clan esclusivo, che si contraddistingue non per il kilt scozzese a quadri differenti, ma per una divisa fatta di magliette nere, piercing facciali e tatuaggi, trova conferma. La cosa paradossale è che io trovo gli stessi piercing, gli stessi tatuaggi e le stesse magliette, inneggianti alla Liberazione Animale, anche addosso ai loro nemici ormai storici: i 100 % Animalisti di Paolo Mocavero.

Il che mi fa venire il sospetto che in fin dei conti si tratti di liti in famiglia, fra cugini, lotte intestine fra uguali su aspetti secondari e aleatori di scarsissima importanza, bizantinismi inutili e stucchevoli. “Divide et impera”, infatti, è stata la prima cosa che ho detto a Barbara – e chissà quante altre volte gliel’avranno ripetuta, inutilmente, per cercare di farla ragionare. Siccome ciò che conta nella vita reale sono i fatti, mentre le parole sono solo “flatus vocis”, se sia i cosiddetti anarchici, che i cosiddetti fascisti scavalcano le recinzioni e portano fuori dai luoghi di prigionia animali in cattività, danneggiando economicamente i loro aguzzini, a me stanno bene entrambi. Il fatto è che gli aguzzini di animali agiscono tanto e parlano poco, mentre noi animalisti, nostro malgrado, parliamo tanto e agiamo poco, esattamente il contrario di ciò che si dovrebbe fare. Forse è colpa nostra, dovuta a ignavia e fanfaronaggine congenita, o forse il Sistema è così pervasivo e potente che ci annichilisce e ci trasforma in velleitari depressi e senza speranza.

Ecco allora che scattano  meccanismi di compensazione, in base ai quali, non potendo
prendere a botte i vivisettori (o in quel caso il signor Boccù costruttore di allevamenti di visoni), si prendono a botte i vicini di manifestazione, quelli a portata di mano che non si conformano all’ideologia spinta del clan e si permettono di venire a un corteo organizzato da anarchici senza nemmeno un piercing sul sopracciglio. E’ la nefasta sindrome dei “polli di Renzo” e la conosco molto bene, avendola vista all’opera nel Movimento Animalista fin da quando ho memoria, ovvero già dagli anni Ottanta.
L’esperienza mi ha insegnato tutto questo e, sabato scorso, mi ha reso un alieno in mezzo a zombie. Di nero, infatti, addosso non avevo neanche i calzini e a poco è servito che tenessi in mano un cartello, datomi da Costantino prima della partenza del corteo: mi hanno riconosciuto lo stesso e due ragazze ventenni si sono sentite in dovere di scacciarmi dalla manifestazione. Chissà chi le avrà sguinzagliate contro di me e il mio amico Franco, con cui ero arrivato fino a Bergamo?
Essere trattati a pesci in faccia per strada non è piacevole e sono stato preso alla sprovvista. Su consiglio di Franco, una volta ripresomi dall’aggressione verbale delle due squinzie zombie, ce ne siamo andati con la coda fra le gambe, benché questo significasse dargliela vinta. Non sia mai che, dopo l’aggressione verbale delle femmine del clan, scatti anche quella fisica dei maschi.

Normalmente sono abituato ad essere riconosciuto da persone che vogliono complimentarsi con me e mi si avvicinano rispettosamente manifestandomi la loro empatia positiva per la mia fama di appartenente ad A.L.F.
Per tale ragione, quando una delle due mi ha affrontato rompendo la distanza prossemica e piazzandomi il suo bel visino urlante a pochi centimetri dalla mia faccia, sono rimasto senza parole, sconcertato e a bocca aperta. Non pensavo che queste cose potessero accadere a me, dopo una vita di onorata carriera di persecuzioni giudiziarie subite. Siccome la mente umana, sempre che quella degli anarco-zombie possa dirsi tale, è estremamente contorta, so che qualsiasi cosa di buono per gli animali io abbia fatto in passato, qualsiasi sia stato il numero di essi che io abbia liberato, nella mente delle due anarco-squinzie e degli altri componenti della tribù, tutto questo l’ho fatto per mettermi in mostra, per fare, andando fuori e dentro dai tribunali e dalle carceri, la famosa “passerella” di cui sembrano ossessionati fin dall’epoca di San Polo d’Enza, nel 2003.
Evidentemente, se le proiezioni freudiane sono qualcosa di concreto, fare la “passerella” e mettersi in mostra è esattamente ciò che fanno loro, ma sapendo che è cosa disdicevole, tale accusa viene proiettata ad altri secondo il criterio della “trave e del fuscello” di evangelica memoria.

“Tu difendi Paolo Mocavero! Dovresti sprofondare. Dovresti morire e faresti meglio ad andartene!”, mi ha urlato in faccia la giovane sconosciuta. L’unica cosa che, di getto, sono riuscito a rispondere è stata: “Tu non conosci la mia vita, il mio curriculum”. Al che la seconda squinzia ha aggiunto, più pacata, con tono di chi la sa lunga: “Hai mandato in carcere i due reggini. Hai fatto una telefonata alla polizia dal tuo cellulare”, che sono le stesse due obiezioni fasulle che un troll aveva già scritto sul mio blog l’anno scorso. Uno del loro stesso clan, evidentemente. Detto per inciso, i due reggini sono due attivisti arrestati con me nel 2006.

I luoghi comuni e le calunnie hanno questo in comune: una volta messi in circolazione impiegano secoli prima di estinguersi per implicita inconsistenza. Gandhi diceva che non solo chi calunnia commette un’infrazione morale, ma anche chi vi presta orecchio. Alla seconda Erinni avrei potuto rispondere: “Hai verificato l’attendibilità delle fonti?”, ma mi è venuto in mente solo dopo l’aggressione, mentre il mio cervello cercava tumultuosamente di rimettere in ordine i cocci. Ogni buon giornalista dovrebbe verificare le fonti, ma anche i privati cittadini, come le due ragazze e i loro compagni, dovrebbero farlo, se solo amassero la verità e non si accontentassero della superficialità della Matrix in cui viviamo.
Purtroppo, approfondire costa fatica, mentre adottare concetti già pronti, tipo fast food, è più comodo. In questo, i manipolatori occulti hanno buon gioco a diffondere menzogne che saranno credute soprattutto dai giovani, ma anche da meno giovani, perché è la società stessa che c’induce alla frenesia e al ritmo incalzante, come se fossimo a bordo di una macchina schiacciasassi lanciata a tutta velocità e non avessimo tempo e voglia di accorgerci che sotto il rullo finiscono persone come noi, con i loro sentimenti, le loro emozioni e le loro debolezze, magari compagni della stessa lotta, caduti fuori dal bordo di quel colossale ordigno disumano. Basta poco per finire sotto le ruote della metropolitana: basta ricevere una spintarella.

Il “Divide et impera” non è solo il più antico sistema usato dai tiranni per indebolire il popolo e in particolare i loro potenziali avversari, ma è anche un elemento congenito della natura umana, che ci costringe, quasi in maniera coatta, a cercare di differenziarci dagli altri, per una specie d’impronta tribale ricevuta in dono dai milioni d’anni in cui eravamo semplici ominidi, cioè prima di diventare Homo sapiens sapiens.
Lo si vede anche nel fatto che continuamente nascono nuove associazioni animaliste, per non parlare di nuove formazioni politiche. Qualcuno lo fa anche passare per democrazia, o comunque per qualcosa di positivo. Lo sarebbe se non avessimo questa maledetta propensione alla discordia e al litigio, ma quel qualcuno ci conosce molto bene, da millenni, avendoci probabilmente creato tramite manipolazione genetica.
Faccio un esempio. Improvvisamente salta fuori la Brambilla. Poteva la bella signora dai capelli rossi aggregarsi a un’associazione esistente? Poteva fare il leader nella LAV, per esempio, al cui interno c’è già un leader? Poteva scalzare Gianluca Felicetti così come a suo tempo il medesimo, insieme a Walter Caporale, scalzarono il vecchio presidente Alberto Pontillo cambiando la serratura della porta della sede?

E’ ovvio che no! Il Felicetti, da presidente della LAV non lo smuove più nessuno, tant’è vero che dopo il “golpe” ai danni del fondatore della LAV - quell’Alberto Pontillo che non conosce più nessuno - Walter ha dovuto andarsene per la sua strada a creare una nuova associazione, dove occupare la nicchia di leader, e l’ha chiamata banalmente “Animalisti italiani”. Per inciso, nei primi anni Duemila, gli anarco-animalisti dei centri sociali si davano appuntamento davanti all’allevamento Morini a San Polo d’Enza e, oltre a scaricare la rabbia contro la Giovanna Soprani titolare del medesimo, spesso e volentieri se la prendevano con Walter Caporale, accusandolo di aver fatto dell’animalismo un business, cioè mettendo in discussione la genuinità dei suoi intenti, come con me mettono in forse la sincerità del mio agire.
Poi del “giocattolo” Walter Caporale si sono stancati e hanno scelto il “giocattolo” Paolo Mocavero, con cui ancora si trastullano. Quando anche di lui si stancheranno, chi sceglieranno come nemico da combattere?

A questo punto, mi corre l’obbligo di avanzare alcune ipotesi su questo loro assurdo comportamento – assurdo dal mio punto di vista ma logico da quello del Sistema di sfruttamento degli animali. C’è una regia dietro tutto ciò, di cui gli anarco-zombie non hanno consapevolezza, accecati come sono dall’ideologia. Non è piacevole quello che sto per dire, ma come le Brigate Rosse sono state strumento della CIA, eseguendo gli ordini di Kissinger, e come i Black Bloc di Genova, nel luglio del 2001, sono stati strumento della polizia, eseguendo gli ordini della massoneria, così i centri sociali anarchici sono strumenti del governo ombra ed eseguono gli ordini delle multinazionali del farmaco e di quanti ricavano guadagni dalla morte degli animali.

Del resto, in Italia in questo momento sono solo loro e Berlusconi a credere nell’esistenza
del comunismo, che è stato per settant’anni di Guerra Fredda una fata morgana per milioni di proletari, nonché un potentissimo e letale strumento nelle mani di chi voleva continuare a sfruttare e schiavizzare quegli stessi proletari. Stalin aveva studiato dai gesuiti, che la sanno veramente lunga su come manipolare la gente. Aspettiamoci dal nuovo papa, a questo riguardo, delle sorprese.
Ecco che, come mi ha fatto notare Franco di ritorno da Bergamo, l’ipotesi che all’interno dei centri sociali ci siano infiltrati della polizia, si fa estremamente consistente. Magari è lo stesso trans, che si fa chiamare Barbara, ad essere un agente al servizio delle forze dell’ordine. Non dico che sia un vero poliziotto, né che sia un microchippato, né che sia un candidato manciuriano dormiente, né che subisca altre forme di manipolazione mentale a distanza a colpi d’elettromagnetismo, ma potrebbe essere anche solo una persona che deve dei favori alla polizia, o che sia sotto ricatto, ed esegua il delicato compito di seminare zizzania, calcando la mano su una questione bizantina di lana caprina com’è l’essere o meno antifascisti. Come se gli animali detenuti, prima d’essere portati fuori dalle gabbie, chiedessero a chi lo fa se è fascista o antifascista e, in caso di risposta sbagliata, si rifiutassero di lasciare la gabbietta dello stabulario.
Già me lo vedo il Macacus rhesus abbarbicarsi con le sue manine alla rete della gabbia, strepitando, solo perché a liberarlo con il passamontagna in testa è un attivista dei 100 % Animalisti e non un anarchico del centro sociale “Liber Selvadec” di Bergamo. Che poi, devo ancora capire dove sarebbero fascisti i collaboratori di Paolo Mocavero!

In che senso, tanto per fare due esempi, il professor Sandro Campana sarebbe fascista? E il vulcanico Roberto Serafin, che si può vedere in foto mentre libera dei colombi? Io che vado ai loro presidi tutte le volte che posso e, avendolo fatto, sono stato cacciato da Bergamo come gli anarchici della famosa canzone da Lugano, posso testimoniare che tra di essi c’è anche gente di Sinistra, qualunque cosa ciò significhi, ma la maggioranza saggiamente preferisce mettere gli interessi degli animali prima della becera e lacerante ideologia. Ad essere di Destra è solo lui, per quel che mi è dato di capire, quel Paolo Mocavero che si candidò, illo tempore, con Forza Nuova, ma, a questo punto, mi verrebbe da chiedere: “Saranno affaracci suoi?!”
A me e agli altri attivisti del suo gruppo interessa essere presenti nella società ovunque ci siano casi di specismo conclamato, anche se a decidere cosa, come e dove è il leader Mocavero. Il quale, quando qualcuno va ai presidi da lui organizzati per la prima volta, non lo sottopone al terzo grado circa la sua fede politica, perché sa che non è determinante e che nessuno ha il diritto di sindacare sulle personali convinzioni politico-filosofiche. Siamo tutti a favore dei diritti animali. E questo basta!

Oltretutto, per finire, mi è giusta voce che tale Barbara è invisa a molti dei suoi stessi “compagni di lotta”, che ne tollerano le intemperanze e l’aspetto grottesco dell’insieme e che spesso la invitano a tacere e a smetterla di fare piazzate. Non so se è proprio così o se si tratta di mero gossip. Di fatto, a Correzzana, a gridare quello slogan scandaloso e storicamente inesatto – “Nelle foibe c’è ancora posto” – non c’era solo lei. Era in un gruppo per il quale, come mi disse una volta un dirigente di polizia a San Polo d’Enza, trovarsi allo stadio o a una manifestazione animalista è del tutto indifferente. L’importante è che si possano insultare i poliziotti e far scattare le cariche che andranno a colpire inermi manifestanti borghesi, mentre loro, esperti di tecniche di guerriglia, riusciranno sempre a non farsi manganellare.
Se dunque i centri sociali, con le loro iniziative in favore degli animali, si prestano a
diventare un Cavallo di Troia per le infiltrazioni poliziesche, mi sento in dovere di denunciarlo pubblicamente e di mettere sull’avviso quanti più attivisti possibile, così da non andare a farsi spaccare le ossa inutilmente. E’ davvero triste ciò che sta succedendo al Movimento Animalista e nel 2003, che la LAV sconsigliasse di partecipare a un corteo antivivisezione, lo ritenevo anche scandaloso, ma ora ne capisco il perché. Capisco che in quell’invito fatto agli iscritti LAV da Gianluca Felicetti c’era della saggezza. Quella saggezza che io all’epoca non avevo, provando simpatia per i ragazzi dei centri sociali, riconoscendomi io stesso come anarchico, quella simpatia che un trans di nome Barbara - come un tram che si chiama Desiderio - è riuscita a farmi perdere del tutto.
Gli anarchici veri, come Costantino, mi piacciono. 
Gli zombie proprio per niente!





Nessun commento:

Posta un commento