Il penultimo libro che ho scritto, mentre ero agli arresti
domiciliari sette anni fa, s’intitola “Encefalogramma piatto” e si riferisce
metaforicamente allo stato di salute del Movimento Animalista, così come lo
percepivo io all’epoca a causa del mancato sostegno alle mie azioni eversive
attuate in difesa degli animali.
Oggi, dopo sette anni, il Movimento ha avuto sì un’accelerazione,
nel senso che è cresciuto numericamente in termini di militanti e di aumentata
sensibilità nella gente per le nostre tematiche, ma ha prodotto anche un
fenomeno su cui mi piace indagare e sul quale vorrei avanzare timide
spiegazioni.
Il fenomeno della nascita di un elemento mostruoso in seno
all’animalismo, una specie di degenerazione culturale basata sulla più sfrenata
ideologia bipolare da guerra fredda. E’ come se dallo stato comatoso in cui il
Movimento si trovava nel 2006, una parte di esso si fosse risvegliata sotto
forma di Zombie, andandosene in giro ad azzannare vittime a destra e a manca. N’do
cojo, cojo! Dicono a
Roma.
L’elemento zombificato ha avuto una lunga incubazione in luoghi
precisi – ancora prima del
2006 - e ha per protagonisti attori di giovane e
presumibilmente immatura età, incapaci di vedere le mille sfumature della vita
reale e irreggimentati in un’ideologia antiquata di cui anche i mass-media mainstream e la consapevolezza popolare riconoscono
l’obsolescenza.
Trovo che dall’inerzia comatosa da parte del Movimento nei
confronti di quanti come il sottoscritto passano all’azione, violando le leggi,
detto Movimento – o una parte di esso - stia passando a uno stato di Zombie
privo di raziocinio e votato alla propria ed altrui distruzione.
Mi riferisco ai centri sociali frequentati da ragazzi con
tendenze anarchiche e di Sinistra, qualsiasi cosa questi due termini vogliano
significare.
Da tali luoghi, per me sconosciuti, escono strisciando larve umane
armate di ferree convinzioni, il cui scopo, dietro l’apparenza della
solidarietà nei confronti degli animali oppressi, è quello di dare la caccia
alle bande rivali. Un po’ come succedeva in un famoso film del 1979
intitolato “Warriors”, e ambientato a New York, dove gruppi di giovani
con proprie divise si davano battaglia l’un l’altro a seconda del quartiere di
appartenenza.
La mentalità tribale dei nostri antenati ominidi si manifestava in
ambiente urbano e si esprime tuttora soprattutto presso giovani sudamericani
urbanizzati e bikers
avvinazzati, ma trova adepti anche nell’animalismo moderno, in Italia, qui e
ora. All’estero non so. La tribù degli anarco-animalisti sente l’esigenza di
combattere contro la tribù dei fascio-animalisti, benché quest’ultimo termine
sia del tutto inappropriato e faccia scappar da ridere anche a me. La cosa
paradossale è che se di fascismo si deve parlare, inteso come violenza,
prepotenza e sopraffazione, è semmai negli anarco-animalisti che va cercato.
Quando qualcuno parlava di “fascismo rosso”, secondo me sapeva quel che diceva.
La prima volta che ebbi a che fare con gli zombie anarchici fu nel
2003, e non fu una bella
esperienza. L’ultima fu l’otto giugno scorso. Dei
vecchi anarco-animalisti che conobbi dieci anni fa, a Bergamo sabato scorso
ce n’era uno, Costantino, che fece fatica a riconoscermi ma che fu l’unico a
trattarmi con rispetto, forse perché il passare del tempo l’aveva reso più
malleabile e meno fanatico dei suoi compagni. Dieci anni fa aveva preso le mie
difese quando altri anarco-animalisti mi tirarono petardi fra i piedi mentre
stavo rilasciando un’intervista a una televisione locale a San Polo d’Enza
(RE). Intendevano in tal modo accusarmi di voler fare “la passerella”, alla
maniera delle sfilate di moda, cioè, secondo loro, mettermi in mostra e parlare
a nome di tutto il Movimento.
L’ho rivisto sabato a Bergamo e, prima che il corteo
partisse, abbiamo fatto una rievocazione dei bei tempi passati. Si dice sempre
così anche se non è vero. Il fanatismo dei suoi compagni di zombificazione,
purtroppo, si è manifestato in seguito, prendendo le sembianze di due graziose
fanciulle, e se devo esser sincero me la sono andata a cercare.
Avrei potuto
infatti fare a meno di rivolgere la parola a un trans alto due metri, vestito
da donna, con gonna a fiori e camicetta rossa, con il seno di silicone, le
unghie dei piedi dipinte, e che si fa chiamare Barbara. L’avevo notata una
prima volta a Brescia l’anno scorso, mentre sbraitava cercando di
allontanare dal corteo contro la caccia un paio di esponenti dei 100%Animalisti. Poi l’avevo sentita gridare “Nelle foibe c’è ancora posto”, a Correzzana (BS), in direzione di un gruppo più nutrito di persone tra cui
c’erano anche esponenti della stessa malfamata associazione.
L’ho rivista infine a Bergamo, essendo che con i suoi due metri
d’altezza non passa di certo inosservata, e non ho saputo resistere alla
tentazione di conoscerla. Mi sono avvicinato con un banale “Ciao” e mi sono
accorto subito che era una di quelle persone che per stringere la mano ad un
estraneo devono conoscere le sue convinzioni politiche, cosa piuttosto
difficile di primo acchito. La mano, infatti, non siamo riusciti a stringerla,
perché mentre io allungavo la mia lei ritraeva la sua e dunque non si può dire
che sia stato un bell’inizio.
Subito cominciava la requisitoria nei miei confronti con la sua
incalzante domanda se fossi o meno
un antifascista. Già questa è una scorrettezza, perché nessuno l’ha nominata
giudice supremo di qualche immaginaria corte di qualche invisibile tribunale.
La mia esitazione, di fronte a un concetto complesso che in questi ultimi anni,
a partire almeno dalla caduta del muro di Berlino, ha perso gran parte del suo
significato, è stato il secondo punto a mio sfavore che le ha fatto maturare la
convinzione di avere a che fare con un nemico. Ci sono a questo mondo ancora
persone che hanno bisogno di un nemico, vero o fittizio, persone in genere
immature che si servono di questo metodo per formare il proprio carattere. Più
o meno come i cacciatori che hanno la coazione a uccidere per sentirsi vivi.
Non so fino a che punto questo obsoleto manicheismo, che per me
rasenta la follia e che andrebbe inquadrato in un’ottica psichiatrica, sia
diffuso presso gli anarco-animalisti dei centri sociali, ma se Barbara può
essere presa a paradigma e i suoi colleghi sono tutti manicheisti come lei,
allora la mia ipotesi di clan esclusivo, che si contraddistingue non per il
kilt scozzese a quadri differenti, ma per una divisa fatta di magliette nere, piercing facciali e tatuaggi, trova conferma. La
cosa paradossale è che io trovo gli stessi piercing, gli stessi tatuaggi e le stesse
magliette, inneggianti alla Liberazione Animale, anche addosso ai loro nemici
ormai storici: i 100 % Animalisti di Paolo Mocavero.
Il che mi fa venire il sospetto che in fin dei conti si tratti di
liti in famiglia, fra cugini, lotte intestine fra uguali su aspetti secondari e
aleatori di scarsissima importanza, bizantinismi inutili e stucchevoli. “Divide
et impera”, infatti, è
stata la prima cosa che ho detto a Barbara – e chissà quante altre volte
gliel’avranno ripetuta, inutilmente, per cercare di farla ragionare. Siccome
ciò che conta nella vita reale sono i fatti, mentre le parole sono solo “flatus
vocis”, se sia i
cosiddetti anarchici, che i cosiddetti fascisti scavalcano le recinzioni e
portano fuori dai luoghi di prigionia animali in cattività, danneggiando
economicamente i loro aguzzini, a me stanno bene entrambi. Il fatto è che gli
aguzzini di animali agiscono tanto e parlano poco, mentre noi animalisti,
nostro malgrado, parliamo tanto e agiamo poco, esattamente il contrario di ciò
che si dovrebbe fare. Forse è colpa nostra, dovuta a ignavia e fanfaronaggine
congenita, o forse il Sistema è così pervasivo e potente che ci annichilisce e
ci trasforma in velleitari depressi e senza speranza.
Ecco allora che scattano meccanismi di compensazione, in base ai
quali, non potendo
prendere a botte i vivisettori (o in quel caso il signor
Boccù costruttore di allevamenti di visoni), si prendono a botte i vicini di
manifestazione, quelli a portata di mano che non si conformano all’ideologia
spinta del clan e si permettono di venire a un corteo organizzato da anarchici
senza nemmeno un piercing sul sopracciglio. E’ la nefasta sindrome dei “polli di Renzo” e
la conosco molto bene, avendola vista all’opera nel Movimento Animalista fin da
quando ho memoria, ovvero già dagli anni Ottanta.
L’esperienza mi ha insegnato tutto questo e, sabato scorso, mi ha
reso un alieno in mezzo a zombie. Di nero, infatti, addosso non avevo neanche i
calzini e a poco è servito che tenessi in mano un cartello, datomi da
Costantino prima della partenza del corteo: mi hanno riconosciuto lo stesso e
due ragazze ventenni si sono sentite in dovere di scacciarmi dalla
manifestazione. Chissà chi le avrà sguinzagliate contro di me e il mio amico Franco, con cui ero arrivato fino a Bergamo?
Essere trattati a pesci in faccia per strada non è piacevole e
sono stato preso alla sprovvista. Su consiglio di Franco, una volta ripresomi
dall’aggressione verbale delle due squinzie zombie, ce ne siamo andati con la
coda fra le gambe, benché questo significasse dargliela vinta. Non sia mai che,
dopo l’aggressione verbale delle femmine del clan, scatti anche quella fisica
dei maschi.
Normalmente sono abituato ad essere riconosciuto da persone che
vogliono complimentarsi con me e mi si avvicinano rispettosamente
manifestandomi la loro empatia positiva per la mia fama di appartenente ad
A.L.F.
Per tale ragione, quando una delle due mi ha affrontato rompendo
la distanza prossemica e piazzandomi il suo bel visino urlante a pochi
centimetri dalla mia faccia, sono rimasto senza parole, sconcertato e a bocca
aperta. Non pensavo che queste cose potessero accadere a me, dopo una vita di
onorata carriera di persecuzioni giudiziarie subite. Siccome la mente umana,
sempre che quella degli anarco-zombie possa dirsi tale, è estremamente
contorta, so che qualsiasi cosa di buono per gli animali io abbia fatto in
passato, qualsiasi sia stato il numero di essi che io abbia liberato, nella
mente delle due anarco-squinzie e degli altri componenti della tribù, tutto
questo l’ho fatto per mettermi in mostra, per fare, andando fuori e dentro dai
tribunali e dalle carceri, la famosa “passerella” di cui sembrano ossessionati
fin dall’epoca di San Polo d’Enza, nel 2003.
Evidentemente, se le proiezioni freudiane sono qualcosa di concreto,
fare la “passerella” e mettersi in mostra è esattamente ciò che fanno loro, ma
sapendo che è cosa disdicevole, tale accusa viene proiettata ad altri secondo
il criterio della “trave e del fuscello” di evangelica memoria.
“Tu difendi Paolo Mocavero! Dovresti sprofondare. Dovresti morire
e faresti meglio ad andartene!”, mi ha urlato in faccia la giovane sconosciuta.
L’unica cosa che, di getto, sono riuscito a rispondere è stata: “Tu non conosci
la mia vita, il mio curriculum”. Al che la seconda squinzia ha aggiunto, più
pacata, con tono di chi la sa lunga: “Hai mandato in carcere i due reggini. Hai
fatto una telefonata alla polizia dal tuo cellulare”, che sono le stesse due
obiezioni fasulle che un troll aveva già scritto sul mio blog l’anno scorso.
Uno del loro stesso clan, evidentemente. Detto per inciso, i due reggini sono
due attivisti arrestati con me nel 2006.
I luoghi comuni e le calunnie hanno questo in comune: una volta
messi in circolazione impiegano secoli prima di estinguersi per implicita inconsistenza.
Gandhi diceva che non solo chi calunnia commette un’infrazione morale, ma anche
chi vi presta orecchio. Alla seconda Erinni avrei potuto rispondere: “Hai
verificato l’attendibilità delle fonti?”, ma mi è venuto in mente solo dopo
l’aggressione, mentre il mio cervello cercava tumultuosamente di rimettere in
ordine i cocci. Ogni buon giornalista dovrebbe verificare le fonti, ma anche i
privati cittadini, come le due ragazze e i loro compagni, dovrebbero farlo, se
solo amassero la verità e non si accontentassero della superficialità della
Matrix in cui viviamo.
Purtroppo, approfondire costa fatica, mentre adottare concetti già
pronti, tipo fast food,
è più comodo. In questo, i manipolatori occulti hanno buon gioco a diffondere
menzogne che saranno credute soprattutto dai giovani, ma anche da meno giovani,
perché è la società stessa che c’induce alla frenesia e al ritmo incalzante,
come se fossimo a bordo di una macchina schiacciasassi lanciata a tutta
velocità e non avessimo tempo e voglia di accorgerci che sotto il rullo
finiscono persone come noi, con i loro sentimenti, le loro emozioni e le loro
debolezze, magari compagni della stessa lotta, caduti fuori dal bordo di quel
colossale ordigno disumano. Basta poco per finire sotto le ruote della metropolitana:
basta ricevere una spintarella.
Il “Divide et impera” non è solo il più antico sistema usato dai tiranni per
indebolire il popolo e in particolare i loro potenziali avversari, ma è anche
un elemento congenito della natura umana, che ci costringe, quasi in maniera
coatta, a cercare di differenziarci dagli altri, per una specie d’impronta
tribale ricevuta in dono dai milioni d’anni in cui eravamo semplici ominidi,
cioè prima di diventare Homo sapiens sapiens.
Lo si vede anche nel fatto che continuamente nascono nuove
associazioni animaliste, per non parlare di nuove formazioni politiche.
Qualcuno lo fa anche passare per democrazia, o comunque per qualcosa di
positivo. Lo sarebbe se non avessimo questa maledetta propensione alla
discordia e al litigio, ma quel qualcuno ci conosce molto bene, da millenni,
avendoci probabilmente creato tramite manipolazione genetica.
Faccio un esempio. Improvvisamente salta fuori la Brambilla.
Poteva la bella signora dai capelli rossi aggregarsi a un’associazione esistente?
Poteva fare il leader nella LAV, per esempio, al cui interno c’è già un leader?
Poteva scalzare Gianluca Felicetti così come a suo tempo il medesimo, insieme a
Walter Caporale, scalzarono il vecchio presidente Alberto Pontillo cambiando la
serratura della porta della sede?
E’ ovvio che no! Il Felicetti, da presidente della LAV non lo
smuove più nessuno, tant’è vero che dopo il “golpe” ai danni del fondatore
della LAV - quell’Alberto Pontillo che non conosce più nessuno - Walter ha
dovuto andarsene per la sua strada a creare una nuova associazione, dove
occupare la nicchia di leader, e l’ha chiamata banalmente “Animalisti
italiani”. Per inciso, nei primi anni Duemila, gli anarco-animalisti dei centri
sociali si davano appuntamento davanti all’allevamento Morini a San Polo d’Enza
e, oltre a scaricare la rabbia contro la Giovanna Soprani titolare del
medesimo, spesso e volentieri se la prendevano con Walter Caporale, accusandolo
di aver fatto dell’animalismo un business, cioè mettendo in discussione la genuinità dei suoi
intenti, come con me mettono in forse la sincerità del mio agire.
Poi del “giocattolo” Walter Caporale si sono stancati e hanno
scelto il “giocattolo” Paolo Mocavero, con cui ancora si trastullano. Quando
anche di lui si stancheranno, chi sceglieranno come nemico da combattere?
A questo punto, mi corre l’obbligo di avanzare alcune ipotesi su
questo loro assurdo comportamento – assurdo dal mio punto di vista ma logico da
quello del Sistema di sfruttamento degli animali. C’è una regia dietro tutto
ciò, di cui gli anarco-zombie non hanno consapevolezza, accecati come sono
dall’ideologia. Non è piacevole quello che sto per dire, ma come le Brigate
Rosse sono state strumento della CIA, eseguendo gli ordini di Kissinger, e come
i Black Bloc di Genova, nel luglio del 2001, sono stati strumento della
polizia, eseguendo gli ordini della massoneria, così i centri sociali anarchici
sono strumenti del governo ombra ed eseguono gli ordini delle multinazionali
del farmaco e di quanti ricavano guadagni dalla morte degli animali.
Del resto, in Italia in questo momento sono solo loro e Berlusconi
a credere nell’esistenza
del comunismo, che è stato per settant’anni di Guerra Fredda una fata morgana per milioni di proletari, nonché un potentissimo e letale strumento nelle mani di chi voleva continuare a sfruttare e schiavizzare quegli stessi proletari. Stalin aveva studiato dai gesuiti, che la sanno veramente lunga su come manipolare la gente. Aspettiamoci dal nuovo papa, a questo riguardo, delle sorprese.
del comunismo, che è stato per settant’anni di Guerra Fredda una fata morgana per milioni di proletari, nonché un potentissimo e letale strumento nelle mani di chi voleva continuare a sfruttare e schiavizzare quegli stessi proletari. Stalin aveva studiato dai gesuiti, che la sanno veramente lunga su come manipolare la gente. Aspettiamoci dal nuovo papa, a questo riguardo, delle sorprese.
Ecco che, come mi ha fatto notare Franco di ritorno da Bergamo,
l’ipotesi che all’interno dei centri sociali ci siano infiltrati della polizia,
si fa estremamente consistente. Magari è lo stesso trans, che si fa chiamare
Barbara, ad essere un agente al servizio delle forze dell’ordine. Non dico che
sia un vero poliziotto, né che sia un microchippato, né che sia un candidato
manciuriano dormiente, né che subisca altre forme di manipolazione mentale a
distanza a colpi d’elettromagnetismo, ma potrebbe essere anche solo una persona
che deve dei favori alla polizia, o che sia sotto ricatto, ed esegua il
delicato compito di seminare zizzania, calcando la mano su una questione
bizantina di lana caprina com’è l’essere o meno antifascisti. Come se gli
animali detenuti, prima d’essere portati fuori dalle gabbie, chiedessero a chi
lo fa se è fascista o antifascista e, in caso di risposta sbagliata, si
rifiutassero di lasciare la gabbietta dello stabulario.
Già me lo vedo il Macacus rhesus abbarbicarsi con le sue manine
alla rete della gabbia, strepitando, solo perché a liberarlo con il
passamontagna in testa è un attivista dei 100 % Animalisti e non un anarchico
del centro sociale “Liber Selvadec” di Bergamo. Che poi, devo ancora
capire dove sarebbero fascisti i collaboratori di Paolo Mocavero!
In che senso, tanto per fare due esempi, il professor Sandro Campana sarebbe fascista? E il vulcanico Roberto Serafin, che si può vedere
in foto mentre libera dei colombi? Io che vado ai loro presidi tutte le volte
che posso e, avendolo fatto, sono stato cacciato da Bergamo come gli anarchici
della famosa canzone da Lugano, posso testimoniare che tra di essi c’è anche
gente di Sinistra, qualunque cosa ciò significhi, ma la maggioranza saggiamente
preferisce mettere gli interessi degli animali prima della becera e lacerante
ideologia. Ad essere di Destra è solo lui, per quel che mi è dato di capire,
quel Paolo Mocavero che si candidò, illo tempore, con Forza Nuova, ma, a questo punto, mi
verrebbe da chiedere: “Saranno affaracci suoi?!”
A me e agli altri attivisti del suo gruppo interessa essere
presenti nella società ovunque ci siano casi di specismo conclamato, anche se a
decidere cosa, come e dove è il leader Mocavero. Il quale, quando qualcuno va
ai presidi da lui organizzati per la prima volta, non lo sottopone al terzo
grado circa la sua fede politica, perché sa che non è determinante e che
nessuno ha il diritto di sindacare sulle personali convinzioni
politico-filosofiche. Siamo tutti a favore dei diritti animali. E questo basta!
Oltretutto, per finire, mi è giusta voce che tale Barbara è invisa
a molti dei suoi stessi “compagni di lotta”, che ne tollerano le intemperanze e
l’aspetto grottesco dell’insieme e che spesso la invitano a tacere e a
smetterla di fare piazzate. Non so se è proprio così o se si tratta di mero
gossip. Di fatto, a Correzzana, a gridare quello slogan scandaloso e
storicamente inesatto – “Nelle foibe c’è ancora posto” – non c’era solo lei.
Era in un gruppo per il quale, come mi disse una volta un dirigente di polizia
a San Polo d’Enza, trovarsi allo stadio o a una manifestazione animalista è del
tutto indifferente. L’importante è che si possano insultare i poliziotti e far
scattare le cariche che andranno a colpire inermi manifestanti borghesi, mentre
loro, esperti di tecniche di guerriglia, riusciranno sempre a non farsi
manganellare.
Se dunque i centri sociali, con le loro iniziative in favore degli
animali, si prestano a
diventare un Cavallo di Troia per le infiltrazioni
poliziesche, mi sento in dovere di denunciarlo pubblicamente e di mettere
sull’avviso quanti più attivisti possibile, così da non andare a farsi spaccare
le ossa inutilmente. E’ davvero triste ciò che sta succedendo al Movimento
Animalista e nel 2003, che la LAV sconsigliasse di partecipare a un corteo
antivivisezione, lo ritenevo anche scandaloso, ma ora ne capisco il perché.
Capisco che in quell’invito fatto agli iscritti LAV da Gianluca Felicetti c’era
della saggezza. Quella saggezza che io all’epoca non avevo, provando simpatia
per i ragazzi dei centri sociali, riconoscendomi io stesso come anarchico,
quella simpatia che un trans di nome Barbara - come un tram che si chiama Desiderio - è riuscita a farmi perdere del tutto.
Gli anarchici veri, come Costantino, mi piacciono.
Gli zombie
proprio per niente!
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