Quanti
di voi hanno sentito parlare del “limulo”? Chi
di voi ha mai sentito parlare di questa vittima dimenticata della
sperimentazione animale? Solitamente,
quando si parla di sperimentazione animale e test di tossicità, fra gli animali
più spesso nominati fra le vittime dell’uomo figurano topi, ratti, cani,
primati, gatti e così via e veramente molto di rado viene nominato il Limulus
polyphemus. Si
tratta di un artropode
chelicerato, unico rappresentante del genere Limulus, diffuso prevalentemente sulla costa est del nord America,
dal Maine fino al sud della Florida, e nel golfo del Messico fino alla penisola
dello Yucatan, annoverabile fra le vittime della moderna medicina.
Il
limulo è infatti impiegato nel cosiddetto LAL TEST, un test eseguito per
garantire la sterilità e la apirogenicità dei prodotti medicinali per uso umano
in accordo alle linee guida internazionali prescritte fra gli altri dall’FDA.
Fu lo scienziato statunitense Frederick B. Bang, in una ricerca scientifica
pubblicata nel 1956, a mettere in evidenza questa caratteristica del sangue dei
limuli e questa scoperta fu subito accolta positivamente dall’FDA perché
costituiva un grosso risparmio economico a fronte dei ripetuti test su cavie e
conigli la cui stabulazione è senza dubbio più onerosa.
Il
LAL test utilizza il lisato di cellule del sangue, amebociti, del Limulus
polyphemus (LAL, Lymulus Amebocyte Lysate) per determinare e quantificare la
presenza di endotossine prodotte da batteri gram-negativi. In natura gli
amebociti del Limulus polyphemus, in presenza di endotossine batteriche,
attivano una reazione enzimatica a catena che determina una coagulazione locale
del sangue.
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