Fonte: Africa ExPress
Stando a una stima dell’Istituto Nigeriano per il Controllo del Traffico di Esseri Umani (NAPTIP), ogni anno arriverebbero in Italia circa diecimila ragazze da avviare alla prostituzione. Molte di loro non avrebbero ancora raggiunto la maggiore età. A questo dato si unisce quello emerso dall’inchiesta del quotidiano britannico Guardian, secondo il quale, il 30 per cento di queste sventurate opererebbe nella città di Torino e dintorni. July Okah-donly, direttrice del NAPTIP, afferma che quasi tutte le ragazze in questione entrano in Italia illegalmente, con l’uso di documenti falsi o attraverso la terribile rotta della migrazione clandestina; Nigeria-Libia-Italia. Questi riscontri risulterebbero confermati dall’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (IOM). Il reclutamento, sempre secondo le fonti citate, avverrebbe ad opera di gruppi criminali con basi in Nigeria e in Italia. Alle ragazze è fatto credere che, appena arrivate a destinazione, saranno avviate a un impiego più vicino alle loro attitudini e alle loro qualificazioni.
Quelli che le reclutano in Nigeria e quelli che poi le sfrutteranno in Italia, sono i loro stessi connazionali. Per convincerle a partire, alle più graziose, è assicurato che faranno le indossatrici o saranno impiegate per girare spot pubblicitari, ma a nessuna di loro viene mai rivelata la vera ragione per cui c’è chi è disposto a farsi carico delle spese per il loro trasferimento. Solo una volta giunte a destinazione potranno gradualmente apprendere quali obblighi hanno contratto con i loro “benefattori”. Il primo di questi obblighi è che dovranno cedere tutto ciò che guadagneranno, fino ad aver interamente rimborsato l’organizzazione criminale delle spese sostenute per il trasferimento in Italia. Si tratta, in genere, di una somma compresa tra i 40 e i 50 mila euro.
Private del passaporto, controllate a vista, picchiate, stuprate e brutalizzate dai loro stessi aguzzini, finiranno in strada, dove la regola impone loro di incassare una tariffa standard di venti euro per ogni incontro, ma se la giornata è fiacca, possono anche scendere a quindici o addirittura a dieci. Alcune di loro sono appena sedicenni, non conoscono il luogo in cui si trovano, non sanno come e a chi chiedere aiuto. L’unico spiraglio alla disperazione è quello di poter incontrare un cliente che mostri qualche tratto di umanità e le aiuti a rivolgersi alla polizia, ma non tutte hanno questo coraggio perché si tratta di mettere a rischio la propria vita.
Le “sedi” del loro “lavoro” sono quanto di più squallido si possa immaginare: boscaglie incolte ai margini dei capannoni industriali, strade percorse da mezzi per il trasporto pesante, norme igieniche del tutto inesistenti, materassi sporchi e malandati gettati a terra tra l’intrico degli arbusti quali talami su cui consumare una fugace intimità tra sconosciuti. Come non chiedersi chi sono i fruitori di tali servizi e quale rispetto possano avere di se stessi dopo averli ricevuti? Non poche di quelle sventurate ragazze, saranno ritrovate morte e carbonizzate, proprio in quegli stessi siti dove avevano venduto se stesse. Questa è l’atroce punizione per chi osa ribellarsi all’organizzazione e vale come macabro monito ad altre che meditassero di fare altrettanto.
A Torino, il Gruppo Abele, in collaborazione con le autorità di polizia, ha realizzato un centro, di cui per motivi di sicurezza non possiamo fornire l’indirizzo, destinato a raccogliere quelle ragazze che riescono a sottrarsi all’iniquo sfruttamento e sono disposte a denunciare i propri aguzzini. Si tratta di un fabbricato sottoposto a perenne sorveglianza e nel quale si può accedere solo grazie a uno speciale permesso. Una delle funzionarie addette alla gestione – che ha chiesto di non rivelare il suo nome – ha riferito ad Africa ExPress che, pur se sotto protezione, la vita delle ragazze, all’interno del centro, non è facile perché sebbene sottratte all’inferno in cui vivevano, “Si trovano ora in una prigione dorata. Non possono uscire, se non in rarissime occasioni e sotto stretta sorveglianza a garanzia della loro incolumità. Queste condizioni si protrarranno fino alla data del processo, quando dovranno testimoniare contro i responsabili”.
E dopo? “Una volta assolto questo compito, le giovani donne saranno poi avviate verso destinazioni sicure che rimarranno segrete”. Con una certa amarezza, la funzionaria comunque deve ammettere che alcune ragazze riescono a eludere la sorveglianza e si dileguano, mentre altre si sono così assuefatte alla vita di strada che, anziché sottrarsi alla stessa, “aspirano ora a diventare maman, cioè maîtresse, per gestire l’attività di altre sventurate giovani”.
Comunque sia, “le poverette sono costrette a offrire il proprio corpo di giorno e di notte, anche per dodici ore consecutive, sfamandosi con un semplice panino fornito dal proprio sfruttatore. Ne escono così devastate nel corpo e nello spirito, che difficilmente – anche una volta affrancate dall’indicibile tormento – riusciranno a riprendere i ritmi di una vita normale”.
[N.d.R. Grazie a Francesco Spizzirri per la segnalazione]
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