mercoledì 5 dicembre 2018

Una zuppa di Porro rancida


Il vantaggio di diventare vecchi è che si possono paragonare tra loro eventi accaduti quarant’anni fa con ciò che è accaduto il giorno prima, cercando di trarne una norma universale. Il famoso quadro generale delle cose si estende sia nella dimensione dello spazio, che in quella del tempo e accorgersi che i modelli culturali di quaranta anni fa sono maledettamente uguali a quelli del giorno odierno porta all’inevitabile conclusione che “non c’è niente di nuovo sotto il sole” e l’idea di progresso è pura illusione. L’uomo è sempre l’eterno uomo, diceva Baudelaire. Ieri sera, su Canale 5, Nicola Porro, nella prima parte della sua trasmissione, ha affrontato il tema della carne. A difendere la tesi animalista c’era Alessandra Di Lenge, di Milano, che, lo dico subito, ha fatto una figura barbina. In parte, per la sua mancanza di abilità nell’arte della comunicazione e, in parte, per la malafede del conduttore. Cosa, questa, che un po’ la giustifica.


La dimostrazione del fatto che Nicola Porro, a cui non si può applicare il “Nomen omen”, fosse schierato dalla parte del consumo di carne, e quindi fosse un partigiano, ovvero la negazione del mestiere di giornalista, sta nel fatto che nei ringraziamenti finali, salutando i suoi ospiti, di tutti loro ha detto il nome giusto, mentre la Di Lenge l’ha chiamata Francesca, anziché Alessandra. Un piccolo errore subliminale ma significativo. Costei si è unita al coro degli altri ospiti presenti in studio (c’era anche il prezzemolo Sgarbi in collegamento come la Di Lenge) nel valutare la questione del carnivorismo sotto l’espetto salutistico, tralasciando la parte essenziale che viceversa è quella etica. Alla fine del dibattito, masticando amaro, non ho potuto fare a meno di pensare a cosa avrei detto io se fossi stato al posto della Di Lenge. La quale, abitando a Milano si è trovata avvantaggiata rispetto a me che abito alla periferia dell’impero, nello sperduto Friuli che qualche milione di italiani non sa neanche collocare sulla carta geografica. Se non sono gli animalisti a portare il discorso del consumo di carne sulla questione etica, chi altri dovrebbe farlo? E’ tanto difficile dire in televisione che gli animali sono persone come noi e che mangiarli è cannibalismo?


Probabilmente, è un tabù troppo forte perché anche gli animalisti riescano a penetrarlo e a sfondarlo. Anch’essi temono di andare incontro al senso del ridicolo. A un certo punto, ed è stata l’ultima volta che il Porro le ha dato la parola, la Di Lenge se ne viene fuori a dire che i vegani non sono pagati da nessuno per dire quello che dicono. Al che, il conduttore si è irritato, interpretando tali parole come se la ragazza avesse detto che, viceversa, i suoi ospiti erano pagati. Una diatriba, basata sull’equivoco, di nessuna importanza sul piano della discussione. Anzi, forse, per vendicarsi ancora di più, durante i ringraziamenti il Porro ha fatto finta di dimenticarsi il nome della Di Lenge, giacché il messaggio subliminale in quella dimenticanza era: “Non ti considero per niente, per me sei una nullità e le cose che hai detto sono spazzatura”. Questo è ciò che Nicola Porro pensava realmente, ma non poteva dire.


E veniamo ad un evento televisivo di quaranta anni fa. Il conduttore era Enzo Tortora, che volle affrontare il tema della vivisezione e, per questo, invitò alcuni esponenti della L.A.V., non ricordo se un giovanissimo Gianluca Felicetti e qualcuno dei suoi sodali, tipo Walter Caporale. Più che un’intervista, quella di Tortora fu un’imboscata. Più che un giornalista era un conduttore televisivo, un intrattenitore, sullo stesso piano di Corrado Maltoni e Raimondo Vianello e quindi verrebbe da dire: a ciascuno il suo mestiere. Di fatto, quando Tortora se ne venne fuori con la classica e vomitevole obiezione: “Su chi dovremmo fare gli esperimenti di vivisezione, sui topi o sui bambini?”, il cameraman fu pronto ad inquadrare impietosamente, in primo piano, le facce sconcertate dei due antivivisezionisti, che non seppero cosa rispondere e a cui fu tolta immediatamente la parola. Tortora riprese poi come niente fosse a parlare con il suo pappagallo Portobello e il pubblico, sia quello in studio, sia quello a casa, fu contento così. Appagato della superiorità della nostra specie padrona che si è arrogata il diritto di fare agli altri animali ciò che più gli aggrada.


Sono passati 40 anni. Il difensore – uno dei tanti – dell’Establishment si chiama Nicola Porro, invece che Enzo Tortora, e si può dedurre che molti scheletri sono nascosti dentro gli armadi dell’industria del farmaco e di quella della carne. E nascosti devono rimanere. Ci sono in gioco interessi economici così alti in entrambe le industrie, strettamente legate l’una all’altra, che agli animalisti portatori di un paradigma culturale diverso deve essere fatta fare sistematicamente la figura dei cretini. Mi dispiace per Alessandra Di Lenge, che si è prestata a fare la parte della fanatica deficiente. 

Se fossi stato io al suo posto mi avrebbero riservato lo stesso trattamento. Anzi, ancora peggio, perché in quei pochi minuti di spazio, ipocritamente elargitomi, avrei detto cose talmente incisive e dirompenti che li avrei lasciati tutti interdetti. Sgarbi si sarebbe messo a urlare, cosa di cui è specialista, e mi avrebbe dato della capra ignorante. Morale della favola: coloro che sono azionisti nell’industria dell’allevamento e macellazione degli animali, sono azionisti anche delle industrie di produzione di farmaci, integrandosi funzionalmente a vicenda. E, ancora peggio, sono proprietari dei mass-media, compreso Canale 5. Se vogliamo spingerci ancora oltre, possiamo dire che dietro, a tirare le fila, ci sono gli ebrei, che azionisti lo sono in gran parte, e se vogliamo spingerci ancora più indietro, c’è il loro Dio Geova, uno degli Elohim più prepotente, nonché grande mangiatore di carne. Ma questo, non lo avrei detto in tivù. Per pietà verso gli ignoranti in ascolto. 

8 commenti:

  1. Porro prima era quotidianamente sul web a fare degli scoglionanti soliloqui sui problemi del giorno e io gli scrivevo che era un ebreo anzi peggio di un Ebreo xche' pur non essendolo si cuciva LA bocca quando c'era da parlare di De Benedetti ( vero Nome da Ebreo Ben Baruch)e delle Banche Ebree ,e poi invitava sempre in Tv quella fogna di sgarbi un Vero mattoide Sifilitico Sempre in preda al delirio di onnipotenza stranamente datogli dai Giudei che sanno ricompensare bene I loro Lecchini

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    1. I giornalisti non possono denunciare le malefatte dei loro padroni.

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  2. Duria , la sua posizione è apprezzabile , io stessa ho un cane che considero parte integrante della famiglia e inorridisco di fronte ad ogni dolore inflitto a qualsiasi animale , ma purtroppo è una questione di "cultura" e oltretutto una presa di coscienza personale , per il momento difficile che stiamo vivendo , non solo noi ma anche i nostri fratelli minori, verrebbe da dire di non accendere nemmeno il televisore e di essere il meno possibile complici di questi personaggi. Quanto al resto vedo comunque una sensibilità sempre crescente e cerco di vedere la metà piena del bicchiere.

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    1. Essere ottimisti o pessimisti è una scelta personale e soggettiva, che non modifica di una virgola la realtà fattuale.

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  3. A parte l’ultima deriva di pensiero su ebrei e elohim, credo che dovresti rasserenarsi e saper bene che la tv non é l’agorá della libertà, alla struttura necessità indice d’ascolto e perché ciò accade serve spettacolo, chiasso e ritmo. I ragionamenti sono banditi a pro della provocazione emotiva che incolla allo schermo per vedere come va a finire dopo l’ennesimo spazio pubblicitario (in certi casi poco più di dieci minuti!!! Cronometrati. In barba alla regolamentazione pubblicitaria).
    Ultimo caso sono le vicende di Fabrizio Corona, il quale di recente davanti ad un magistrato ha dichiarato di aver ricevuto 100 mula euro di compenso per vari passaggi in tv per creare zizzania e aumentare gli ascolti. In questo clima cerchi il dibattito? Una cloaca sarebbe una cristalleria di Boemia a confronto.
    Io non sono vegetariano, ma vedo sempre più persone porsi il problema. La civiltà contadina viene definitivamente sorpassata (nostre zone friulane) nel male dell’uccisione crudele degli animali e nel bene pasoliniano. Di buono c’era che i nostri genitori la tv la guardavano davvero poco e che quando uccidevano gli animali li dovevano guardare negli occhi e assumersi le proprie responsabilità (vedi Tolstoj), invece che passare in macelleria a comprare il bel è fatto.
    Direi che Porro può stare nel suo minestrone e Tortora ha già pagato.
    La realtà é più avanti, Gaber docet.��

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    1. La televisione è lo strumento principe della manipolazione mentale delle masse.

      Le masse sono disinformate affinché i padroni possano continuare a godere dei propri privilegi, a cominciare dal fatto che le masse lavorino per loro.

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  4. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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    1. Mi scuso con il professor Melis ma ho cancellato questo commento perché secondo me postato per sbaglio. E ovviamente fuori tema.

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