martedì 6 agosto 2019

Al rogo Rogoredo!


Testo di William Beccaro

Lo ammetto, anche io non è che abbia fatto o faccia granché di diverso dalla maggior parte degli altri. Ai miei bimbi che mi chiedevano chi erano quelle strane persone che barcollavano ubriache senza alcol, in quella strada senza marciapiede che prima di portare alla nostra Chiaravalle inciampa nel ‘bosco o boschetto della droga’ di Rogoredo, ho detto loro: sono malati. Sentendo un enorme peso di inadeguatezza e giustificandomi con il fatto che i miei piccoli sono troppo piccoli per certi loro enormi perché. La volta che mentre pian pano in auto costeggiavamo il fiume umano, in tesa allerta, uno di questi ragazzi ha tirato fuori il pisello e ciondolante si è messo a pisciare. Ci guardava e pisciava, cieco di noi. Dante ha accennato qualcosa. Indira mi fissava triste. Siamo arrivati a casa e le ho detto di come le droghe possano annientare. Con il terrore del padre che pensa speriamo di non dover mai affrontare una cosa così.

Una volta, mentre prendevo alla stazione di Rogoredo un qualche regionale verso la Liguria, una ragazza pelle e ossa aspettava il treno un paio di panchine più in là. Era pelle e ossa. Ossa più che altro. I vestiti erano niente e così mentre parlava al cellulare male dei genitori che non le davano i soldi per farsi, finiva spesso con un seno fuori da una lacera maglietta. Due persone, dietro di me, accennavano a un ‘nemmeno un pompino da quella’. Doveva essere stata una bellissima ragazza prima di diventare un fantasma di sé. Ho pensato a suo padre e sua madre. Ho pensato egoista: non a me, non ai miei bambini.


Poi il treno è partito, scompartimento diverso. I pensieri sono fuggiti da lì. Un altro treno invece, una ‘freccia’ che mi portava a Bologna, si è fermata a ridosso del ‘boschetto’. C’era caldo. Nel treno si gelava. Dai finestrini si vedevano persone che, appoggiate ai pilastri, si drogavano. Mi impressionò uno tra questi che cercava di far rialzare un compagno, un gesto così tipico come una mano tesa, sembrava uno sforzo disumano, inarrivabile. Sono caracollati entrambi in un avvallamento. Non so se ci vedevano. Sembrava di no. Ma poteva essere come allo zoo, la loro era solo l’indifferenza pudica di chi sta in gabbia. Noi, protetti da vetri stagni e oscurati, guardavamo persone ridotte ad animali.


Qualche settimana fa, han tentato di entrarmi in casa. Uscivo dalla doccia e ho sorpreso un uomo che cercava di forzare la porta. L’indolenza nei gesti, il vuoto negli occhi, raccontava del bosco. È scappato, senza scappare. Senza la priorità della paura. Ha tentato una scusa ed è scivolato via. Le telecamere del palazzo, han misurato il suo andare perso. I carabinieri han detto: ‘bel problema il boschetto’, ‘problema di un’altra caserma però’. C’è un progetto di riqualificazione, che poi fa rima con lo ‘speriamo li mandino via’ che sento nei bar, tra la gente dei quartieri qui intorno. Le cronache raccontano di stupri, omicidi, tentati omicidi, miserie e delinquenze ‘nella piazza di spaccio più importante del nord Italia’.


A uno che conosco, gli han rubato la bici. Andava quindi a piedi alla stazione. Per quella strada senza marciapiede. Han tentato di derubarlo, in quattro. ‘Che corsa’, mi ha detto. ‘Che fifa’. È così che quel luogo è diventato un non luogo e quelle persone delle non persone. In quel tratto di strada si rallenta per non investire nessuno. ‘Che poi se ne uccidi uno di quei drogati, finisci pure nei casini’. Non molte ora fa, proprio all’inizio del boschetto c’era un’ambulanza. I lampeggianti rompevano il buio. Un donna con la divisa da paramedico, con un enorme zaino, urlava a un collega che la barella ormai non serviva. L’espressione era del tipo, è tardi. Il tono era una resa a certa brutta routine, pietoso. E in quel tono pietoso, quegli zombie sono tornati a essere persone. Anzi, confesso, sono diventati ragazze e ragazzi, uomini e donne, come ai miei occhi non erano mai stati.

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