La vita è un gioco di guerra

I ragazzi della Via Pal non erano solo in Ungheria, ma anche a Cormons, in provincia di Gorizia, ma erano solo in tre. Se fossero stati di più forse si sarebbero divisi in due squadre. Quella piccola terra di provincia, Cormons, circondata da colline eoceniche, da sempre periferia di qualche stato nazionale, sia esso Austria, Yugoslavia o Italia, ha fatto da sfondo alle avventure di Giuseppe e i suoi due fratelli. Maneggiavano esplosivi, i tre monelli, con l’incoscienza dell’età, e li portavano agli adulti, vedendo che si trattava di materiale molto ambito. A volte, li facevano anche esplodere, con le debite precauzioni, anche solo per sentire il botto. Ha visto i grandi maneggiare armi, il piccolo Giuseppe, e qualcuno ha anche sparato contro uno dei suoi fratelli, mancandolo. 

Ha avuto a che fare con la miseria dell’epoca, mandando per sbaglio un prezioso pane sotto le ruote del torpedone a gasogeno, carburante autarchico. Ha avuto a che fare con tessere annonarie, che facevano funzione di figurine Panini, che sarebbero venute dopo, in tempi di pace. Ha dato una mano alla famiglia, anzi l’hanno data tutti e tre i fratelli, come bravi ometti cresciuti troppo in fretta. Anche perché, in caso contrario, erano botte materne. Ma all’epoca si usava così. Educazione spartana. E Telefono azzurro non esisteva ancora. Erano bambini felici, nonostante le botte ricevute dalla severa madre e quelle che gli adulti, con divise di diverse fogge e colori, si davano tra loro. Botte mortali, quelle. Un’infanzia felice, tutto sommato, quella di Giuseppe e i suoi fratelli. L’infanzia è un territorio magico da cui tutti siamo stati esiliati, ma la guerra può essere anche solo un’inezia accidentale.