Fonte: La Repubblica
"La congiura dei
somari" è il libro
che Roberto
Burioni ha
scritto dopo aver duellato in tv sui vaccini con Eleonora
Brigliadori e Red
Ronnie, dopo
aver aperto nel 2015 una pagina Facebook per smontare le paure dei
no-vax ed essersi ritrovato da un lato seguito da 300mila persone,
dall’altro sommerso dalle invettive della cosiddetta “gente che
non sa nulla”. Il professore di microbiologia e virologia al San
Raffaele di Milano, concluse allora (era l’inizio dell’anno) che
“la scienza non è democratica”, scatenando un vespaio di
polemiche ma anticipando quello che oggi è il sottotitolo del suo
nuovo libro. Il primo era stato un anno fa Il vaccino non è
un’opinione. La congiura dei somari è in uscita oggi per Rizzoli
(176 pagine, 17 euro).
Perché
la scienza non è democratica?
«È
uno slogan. Ero infastidito per le polemiche sui vaccini. Mi hanno
messo a confronto con un mondo in cui la verità ha la stessa dignità
della menzogna. Credo che un Paese non possa accettarlo, rischierebbe
di trovarsi in situazioni pericolose».
Che
tipo di pericoli?
«Il
pericolo di perdere la conquista dei bambini che non muoiono più
perché vengono vaccinati, perché esistono gli acquedotti e gli
antibiotici. Questi risultati sono stati raggiunti grazie alla
scienza e al suo metodo, che sarà imperfetto e come tutte le cose
umane soffre di debolezze e fragilità, ma, come la democrazia, è il
metodo migliore che abbiamo. E degli scienziati è giusto
fidarsi».
La
scienza sembrerebbe piuttosto una tecnocrazia.
«La
scienza è democratica perché non ammette scorciatoie. Bisogna
studiare. Non contano il denaro o la posizione sociale. Servono
rigore, metodo e dati validi. Poi, però, ci sono aspetti che non si
discutono. Come dice Piero Angela, la velocità della luce non si
decide per alzata di mano. E nemmeno la validità e l’utilità dei
vaccini, aggiungo io».
Studiare
tutto è impossibile. “Somari” non è ingeneroso?
«Nel
libro faccio un uso grottesco della parola. Anch’io sono un somaro,
perché di molte cose non so nulla. Volevo esprimere la speranza che
i libri e le parole dei professori fossero ascoltate di più e
ricordare che lo studio resta importante, anche se questi tempi
sembrano farci credere il contrario. Sarei il primo a essere felice,
se la scienza fosse meno chiusa. In questo la rete ci ha fatto fare
grandi passi avanti».
Il
web ha dato la parola a chi non ne avrebbe diritto?
«Io
sono contro ogni censura o intervento dall’alto. Però se qualcuno
sostiene che due più due fa cinque o che, come suggeriva Bertrand
Russell, esiste una teiera in orbita attorno al Sole, me lo deve
dimostrare».
Non
su Internet, sembrerebbe, dove le idee non dimostrate finiscono col
rafforzarsi.
«Anche
quando Gutenberg inventò la stampa ci fu chi immaginò la rovina
della cultura. Internet è un mondo strano. Ci arricchisce di
opportunità, ma mette tutte le voci sullo stesso piano».
Anche
la sua fama al di fuori dell’ambiente scientifico è figlia di
Internet. Come iniziò?
«Era
il 2015 e usavo Facebook per condividere vecchie foto. Visto che
avevo una bambina di 4 anni e sono un padre apprensivo, un’amica mi
chiese di spiegare qualcosa sui vaccini. Mi trovai accerchiato da
quelli che poi avrei chiamato i Somari Raglianti».
La
scienza fatica a promuovere se stessa?
«Abbiamo
un problema di comunicazione. Ma l’esperienza su Facebook mi ha
insegnato che esistono persone titubanti, eppure desiderose di
informarsi»
Un
tempo sarebbe stato somaro anche chi sosteneva che la Terra era
rotonda.
«Ma
poi ha portato le prove scientifiche, mentre gli altri si basavano
sui testi di Aristotele. La verità ha una sua forza evidente che il
tempo – in questo caso un galantuomo - fa affermare. Ne sono
convinto, nonostante questi sembrino tempi difficili per la ragione».
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