martedì 17 ottobre 2017

La Matrix secondo Platone


Testo di Rita Jemma



Secondo il mito della caverna coloro che sono privi della filosofia (i dormienti, in genere coloro che sono all'oscuro della verità) sono paragonabili ai prigionieri di una caverna (nati e cresciuti dentro questa caverna) vincolati a guardare in una sola direzione perché sono legati a terra, con un fuoco dietro le spalle e un muro di fronte. Tra loro e il muro non vi è nulla; tutto ciò che essi vedono sono le proprie ombre, e quelle degli oggetti dietro di loro, proiettate sul muro dalla luce del fuoco (tra loro e il fuoco vi è un muretto tramite il quale alcuni uomini sporgono piante oggetti e animali, la cui ombra viene proiettata sul muro di fronte i prigionieri). Inevitabilmente essi considerano queste ombre come reali e non hanno nozione degli oggetti a cui sono dovute.

Infine qualcuno riesce a fuggire dalla caverna e a vedere la luce del sole (al contatto con la luce colui che fugge prova un forte dolore agli occhi); per la prima volta vede le cose reali e si rende conto che fino a quel momento è stato ingannato dalle ombre. Il filosofo (colui che trova la verità) sentirà che è suo dovere, verso coloro che prima erano suoi compagni di prigionia, insegnar loro la verità e mostrar loro la strada per uscire. Ma troverà molte difficoltà nel persuaderli (perché dovrà spiegare una realtà che loro non immaginano nemmeno, che vi è una natura, il sole, il cielo ecc..) e sembrerà loro più stupido che non prima della fuga, ma non solo, nel caso in cui provasse a portarli fuori questi al contatto con la luce proverebbero il medesimo dolore dovuto al bagliore del sole, e rifiuterebbero l'invito ad uscire, a conoscere.

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