Fonte: Franco Londei
Quanto successo negli Emirati Arabi
Uniti dove un judoka israeliano, Tal Flicker, dopo aver vinto la
medaglia d’oro nel torneo Grand Slam ad Abu Dhabi si è visto
negare l’inno nazionale dopo che gli arabi avevano impedito persino
di indossare le divise con il nome di Israele, è qualcosa che non
può passare in sordina nel comitato olimpico e negli organismi
sportivi mondiali. Negare l’inno nazionale a un atleta di una
nazione democratica è un fatto di una gravità inaudita, un fatto
che se non adeguatamente affrontato si potrebbe ripetere in altre
manifestazioni sportive organizzate dai paesi arabi. Cosa
succederebbe per esempio se Israele dovesse qualificarsi per i
mondiali di calcio che si terranno in Qatar nel 2022? Cosa fanno, non
li fanno giocare? Li fanno giocare con la maglietta anonima? Non
suonano l’inno israeliano all’inizio delle partite?
Non si può lasciar correre su questo
gravissimo episodio perché se lo si accetta oggi, domani i paesi
arabi nei quali si svolgono manifestazioni sportive si sentiranno
liberi di rifarlo. L’odio anti-israeliano è già sufficientemente
presente nelle manifestazioni sportive per essere tollerato
ulteriormente per di più con un atto gravissimo qual è stato
quello commesso dalle autorità sportive degli Emirati Arabi Uniti. E
francamente c’è da rimanere basiti del fatto che nessuno tra le
“grandi democrazie” occidentali non abbia trovato nulla da
ridire, come se fosse una cosa normale, come se trasformare una
manifestazione sportiva in un attacco politico a una intera nazione
fosse del tutto normale. Stando così le cose l’unica azione
sensata che rimane da fare è vietare le manifestazioni sportive nei
paesi arabi, ripagare la loro discriminazione con la stessa moneta.
Di trasformare lo sport in una corsa all’odio antisemita ne abbiamo
abbastanza.
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