sabato 21 ottobre 2017

Gli italiani sono razzisti perché lasciano morire i migranti in Libia


Fonte: Linkiesta

Pensavamo di aver risolto il problema. Sempre meno migranti nelle nostre coste, (-24% rispetto al 2016 ), l’accordo tra Italia e Libia per tenerli nei campi di detenzione, “l’invasione” fermata dopo anni di indecisione politica. Che fine hanno fatto i migranti che non sbarcano più? Non ce ne frega nulla, come quando buttiamo la spazzatura. Mica importa dove va a finire. Quei “rifiuti” di cui non vogliamo sentir parlare, fino a venerdì erano tenuti prigionieri in condizioni indecenti dai trafficanti vicino alla città costiera di Sabrata, a 100 km dalla capitale. Sono 14.500 migranti, tra cui donne incinte, neonati e bambini senza genitori. Erano bloccati in fattorie, case e magazzini nell’area costiera a metà strada tra Tripoli e il confine con la Tunisia. Senza cibo, acqua, vestiti, scarpe e servizi igienici. L’ha rivelato l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) che sta portando aiuti umanitari da una settimana.



Lavori forzati, abusi sessuali, ferite causate da proiettili. La maggior parte dei migranti ha detto ai volontari dell’Unhcr di aver subito almeno una violazione dei diritti umani. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom), il 44% dei migranti detenuti intervistati vuole tornare a casa preferendo la povertà e le guerre all’inferno vissuto fino a questo momento. Le autorità del governo provvisorio libico hanno trasferito i migranti in un hangar nella zona di Dahman per portarli poi nei centri di detenzione ufficiali, dove potranno ricevere le cure.

Pensavamo che il piano di Minniti avesse risolto il problema per sempre. A luglio il ministro dell’Interno aveva stretto un accordo con le milizie “Martire Abu Anas al Dabbashi” e “Brigata 48”: finanziamenti (tanti) per fermare i trafficanti e bloccare i migranti sulle coste. Per questo sono crollati gli sbarchi, proprio da Sabrata, fino a quel momento il principale punto di partenza dei migranti provenienti dall’Africa sub sahariana. Ma ci siamo scordati che in Libia c’è ancora una guerra civile in corso.

A Tripoli comanda Fayez al Serraj, capo del governo che l’Italia (per ora) appoggia e garante dell’accordo con le due milizie, entrate in tutta fretta nel suo esercito. A Bengasi però, comanda il generale Khalifa Haftar. A lui rispondono i soldati del “Comando operativo contro lo Stato islamico” che fino a venerdì hanno attaccato le milizie finanziate dall’Italia che controllavano per noi i migranti. E mentre le fazioni rivali combattevano per il controllo di Sabrata, i migranti erano intrappolati in case e magazzini. Senza i carcerieri, fuggiti per gli scontri ma senza anche aiuti umanitari. Una settimana fa la battaglia tra le milizie è finita e più di tremila migranti sono stati imprigionati e portati in un altro centro di detenzione controllato dal "Comando operativo contro lo stato islamico", anche lì senza aiuti umanitari.

Intanto le due milizie finanziate dall'Italia sono state cacciate dalla Sabrata. E non è detto che ritorneranno. Finora la strategia italiana, avallata dall'Unione europea, è stata quella di appoggiarsi al governo libico di Al Serraj, ma la sensazione è quella di esserci affidati al cavallo sbagliato. Un piano di un Paese nato per tamponare l'emergenza è diventato la strategia dell'intera Unione europea. Ed ora è in crisi. Tutto basato su accordi con milizie mercenarie che fino a qualche mese fa erano gli stessi a proteggere i trafficanti.

Non sappiamo come finirà la guerra civile, e soprattuto chi la vincerà. Un'ipotesi potrebbe essere quella di finanziare le milizie dell'altra fazione, e non è un caso che Haftar sia andato due settimane fa Roma a incontrare la ministra della Difesa Roberta Pinotti e il ministro dell'Interno Minniti. A parte il possibile voltafaccia diplomatico, cosa faremo se le truppe di Al Serraj prenderanno di nuovo il controllo? Previsioni a parte, il modello di Minniti sembra già in crisi. E il problema del rispetto dei diritti umani nei campi di detenzione rimane. Capiamoci: nessuno vuole tornare a quando i migranti morivano a migliaia in mare ogni giorno. E l'Italia non si può addossare i problemi dell'Europa solo sulle sue spalle. Ma si possono creare percorsi legali sicuri per far arrivare chi ha veramente bisogno di asilo politico? Si possono almeno rendere decenti le condizioni di chi è rimasto in Libia? E se migliaia di migranti continuano a morire, stipati in campi di detenzione che assomigliano sempre più a campi di concentramento, per molti è sempre meglio che vederli sbarcare a Lampedusa.

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