Fonte: La Bussola quotidiana
La Somalia è in lutto. Sabato 14 ottobre il gruppo jihadista al
Shabaab, legato ad al Qaida, ha messo a segno il più devastante
attentato terroristico dalla sua costituzione nel 2006. Ha fatto
esplodere un camion carico di esplosivo in una zona affollata della
capitale Mogadiscio, nei pressi di un albergo, il Safari Hotel, e di
diversi negozi, chioschi, ristoranti e uffici governativi. Il
bilancio provvisorio è di 276 morti. Ma non si sa quante persone
siano ancora sepolte sotto le macerie degli edifici crollati e i
feriti sono più di 300, molti dei quali in gravissime condizioni.
Tanti altri, che non sono in pericolo di vita, presentano lesioni
invalidanti e mutilazioni.
La Somalia è in lutto, tutto il mondo dovrebbe esserlo.
Quello del 14 ottobre infatti non è solo il peggiore attentato
finora messo a segno dagli al Shabaab, ma uno degli attentati
terroristici più cruenti compiuti nel mondo dal 2001 a oggi.
Gli abitanti di Mogadiscio sono accorsi a donare sangue negli
ospedali e nei presidi cittadini in cui centinaia di persone sono
ricoverate. Il giorno successivo alla strage in migliaia hanno
sfilato per le vie della capitale scandendo slogan contro al Shabaab,
con una fascia rossa attorno al capo come segno della loro collera.
Sarebbe di conforto per la popolazione somala sapere
che in centinaia di città si sono svolte o si stanno organizzando
iniziative per esprimere solidarietà, cordoglio e condanna, anche
solo le bandiere degli edifici pubblici a mezz’asta. Ma invece
sembra che a nessuno venga in mente: niente gessetti colorati e
lumini accesi per le vittime.
Può dipendere dal fatto che la Somalia è lontana:
non poi così tanto però, almeno non dall’Italia che, per di più,
dal 1889 ha un legame con il paese, suo protettorato prima, poi
colonia e, fino al 1960, sotto amministrazione fiduciaria italiana.
Forse è anche vero che ci stiamo abituando agli attentati.
L’indifferenza tuttavia è soprattutto perché non non ci sentiamo
in pericolo, minacciati direttamente. Non ci rendiamo conto che i
terroristi che colpiscono così spesso in Africa, e in Asia, sono gli
stessi che agiscono in Occidente, spinti dalle stesse motivazioni:
jihadisti che vogliono imporre a forza il loro Islam a tutti, ai
fedeli che non ritengono abbastanza devoti e agli infedeli.
Il modo in cui ci vengono presentate le iniziative per
contrastare il terrorismo in Somalia e in altri paesi
non aiuta a capire. Per la pace in Somalia l’Occidente è impegnato
forse più che in qualsiasi altro stato africano. Tra gli interventi
più rilevanti c’è stato il “New Deal” per la stabilità e lo
sviluppo, per realizzare il quale nel 2013 i donatori internazionali
hanno versato 1,8 miliardi di dollari. L’11 maggio di quest’anno,
per celebrare la fine della transizione democratica – in realtà
tutt’altro che conclusa, se mai era iniziata – una conferenza
internazionale alla quale hanno partecipato 40 paesi donatori ha
approvato un patto “di sicurezza” per la Somalia con una
dotazione di 1,5 miliardi di dollari. Tra i progetti approvati figura
l’addestramento di nuovi soldati somali destinati a sostituire le
truppe della Amisom, la missione dell’Unione Africana, ma pagate
dall’Unione Europea, grazie alle quali è stato possibile contenere
gli al Shabaab, mettere in sicurezza una parte del paese e nel 2011
liberare le principali città conquistate dai jihadisti negli anni
precedenti.
Queste iniziative vengono presentate come aiuti alla
Somalia, interventi di cooperazione internazionale per
liberare il paese dalla morsa del terrorismo islamico. Invece
dovrebbero essere concepite e illustrate come azioni militari su uno
dei tanti fronti aperti dai jihadisti. Ma per farlo occorre ammettere
che è in corso una guerra contro l’Occidente cristiano e contro
chiunque ostacoli l’imposizione dell’Islam al mondo, secondo
l’interpretazione dell’Islam che i jihadisti ricavano dal Corano,
parola di Dio increata, e dall’esempio di Maometto, profeta
infallibile.
Il neoeletto presidente somalo Abdullahi Mohamed ha
definito la conferenza di maggio un “giorno storico” per il suo
paese e ha assicurato i donatori che entro due anni gli al Shabaab
saranno sconfitti. I suoi predecessori avevano dato per imminente la
fine di al Shabaab già a partire dal 2015: l’intensificarsi degli
attentati – dicevano ogni volta – è prova della loro
disperazione sentendosi perduti.
Il 17 maggio, solo una settimana dopo la conclusione della
conferenza internazionale, una esplosione scuoteva il centro
di Mogadiscio uccidendo due agenti che stavano tentando di
disinnescare l’ordigno. Da allora gli al Shabaab hanno compiuto
altri 7 attentati dinamitardi, sei a Mogadiscio e uno nella città di
Bosaso, per un totale di 30 vittime civili. Hanno attaccato cinque
basi militari, impadronendosene per molte ore prima di essere
respinti. Se ne sono andati portando via materiale bellico. Nei
combattimenti hanno perso la vita almeno 107 militari. Inoltre
hanno compiuto incursioni in diversi villaggi, che hanno saccheggiato
per poi dare alle fiamme le abitazioni e rapire una parte degli
abitanti, e hanno conquistato la città di Leego, 100 chilometri a
nord ovest di Mogadiscio.
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