mercoledì 10 gennaio 2024

Una nuova parola: catacresi!


Testo di Walter Meloni

𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐢 𝐯𝐞𝐠𝐚𝐧𝐢 𝐝𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐚𝐢 𝐥𝐨𝐫𝐨 𝐜𝐢𝐛𝐢 𝐝𝐞𝐢 𝐧𝐨𝐦𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐞𝐦𝐮𝐥𝐚𝐧𝐨 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐢 𝐨𝐫𝐢𝐠𝐢𝐧𝐚𝐥𝐢? 𝐍𝐨𝐧 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐜𝐡𝐢𝐚𝐦𝐚𝐫𝐞 𝐢 𝐥𝐨𝐫𝐨 𝐩𝐢𝐚𝐭𝐭𝐢 𝐢𝐧 𝐦𝐚𝐧𝐢𝐞𝐫𝐚 𝐝𝐢𝐟𝐟𝐞𝐫𝐞𝐧𝐭𝐞?

Per una convenzione linguistica chiamata 𝐜𝐚𝐭𝐚𝐜𝐫𝐞𝐬𝐢.

La catacresi consiste nell’estendere una parola o una locuzione oltre i limiti del suo significato proprio, allo scopo di far capire meglio all'interlocutore di cosa stiamo parlando. Ad esempio, quando diciamo "le gambe del tavolo", "il latte detergente", "il collo della bottiglia", non stiamo parlando di vere e proprie gambe fatte di ossa, tendini e nervi, ma le chiamiamo gambe per evocarne determinate caratteristiche: essere lunghe e dritte e sorreggere una struttura. In cucina, la catacresi è utilissima per evocare alcune caratteristiche sensoriali dell'alimento come la forma e il sapore, oppure il suo utilizzo. Alcuni esempi sono l'uovo di Pasqua (cioccolato cavo di forma ovoidale), il salame di cioccolato (dolce cilindrico che si mangia a fettine), la pasta allo scoglio (pasta al sapore di mare ma che non contiene rocce). Nel caso dei cibi vegani, abbiamo il latte vegetale (è bianco e si beve a colazione), il ragù vegetale (si usa per condire la pasta e ha lo stesso sapore e consistenza del ragù), il burger vegetale (è a forma di disco, di solito ha aspetto, sapore e consistenza simili a un burger di carne) e un sacco di altre cose che pur avendo ingredienti diversi hanno un aspetto, un sapore e una consistenza simili a quelli del piatto tradizionale.



Lo stesso vale per gli alimenti senza glutine, che pur essendo fatti con farine di cereali gluten free "imitano" alcuni cibi tradizionali come pane, pasta e pizza: chiedereste mai a una persona intollerante al glutine perché vuole mangiare la pizza anziché sgranocchiarsi una pannocchia, o ci arrivate da voi? Se non ci arrivate, ve lo spiego: perché anche le persone con restrizioni alimentari vogliono godersi il cibo che si mangia nei contesti sociali e che sono abituate a mangiare dall'infanzia, basta ovviare sostituendo gli ingredienti, visto che la creatività e la tecnologia ce lo permettono. Lo stesso identico discorso vale per la categoria dei cibi "fit", anche se lì spesso ho visto piatti con nomi davvero molto tirati per i capelli, tipo "lasagne" fatte con strati di salsa di pomodoro e zucchine lesse, o "tiramisù" fatti con strati di gallette di riso, yogurt greco e polvere di caffè senza zucchero. È anche vero però che se una persona a dieta si sente felice all'idea di mangiare tiramisù anche se sta mangiando gallette, non capisco perché dovrei fare il guastafeste.

2 commenti:

  1. Il ragionamento è corretto e mi pare di poter dire che, nella pratica, il meccanismo funzioni piuttosto bene.
    Si tratta però, sostanzialmente, di mentire a se stessi.
    E quella è una brutta strada da prendere, perchè si sa dove si inizia e non si sa dove si finisce.
    E molti dei disastri peggiori che accadono alle persone nascono proprio dal mentire a se stessi (ignorando il vecchio motto: nosce te ipsum).
    Lumen

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    Risposte
    1. Io non la farei così tragica.

      Da quarant'anni bevo latte di soia, da quando dovevo fare i chilometri per comprarlo in erboristeria.

      Oggi si trova in tutti i supermercati, grazie al cresciuto numero di intolleranti al lattosio, ma anche grazie, almeno un po', al cresciuto numero di vegani.


      Non mi sono mai posto il problema di come chiamarlo, so solo che l'industria lattiero-casearia si è lamentata, obbligando per legge a cambiare il nome delle confezioni. Per esempio, da "latte di soia" a "bevanda di soia".


      Stanno perdendo clienti e danno fuori di matto.
      Questo vale anche per l'industria della carne.

      La società cambia? In meglio?

      Forse sì, in piccola parte.

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