mercoledì 23 aprile 2014

Liberazione letterale di negri da laboratorio

 
Tratto da "2084 - L'apoteosi dell'arianità" (1995)

I loro cuori battevano tumultuosamente e quasi tutti avevano problemi di salivazione in quanto le ghiandole salivari erano entrate in sciopero, con conseguente difficoltà di deglutizione. Gli individui reagivano alla paura in maniera diversa: c'era chi era preso dall'impellente necessità di assentarsi in preda a furibonde lotte intestine e chi aveva ancora voglia di fare lo spiritoso atteggiandosi come i personaggi dei telefilm americani, visti in tivù nella propria infanzia, e invitando scherzosamente gli altri a sincronizzare gli orologi.
Debora era molto tesa perché sentiva su di sé tutto il peso della responsabilità:  voleva portare a casa sane e salve le sue ragazze. Soprattutto voleva riportarle a casa. Anche Marcello si sentiva tutto compreso della solennità del momento. Era la sua prima impresa "terroristica". Chissà, forse anche l'ultima. Tutto dipendeva dall'esito dell'iniziativa. Ciascuno dei sabotatori aveva il suo compito: a Marcello era toccato quello di tagliare con una cesoia la rete esterna della recinzione e, insieme a Debora, quello di far saltare le serrature delle porte con un paio di leverini; Rudy aveva con sé una cassetta di attrezzi da elettricista per mettere fuori uso i sistemi d'allarme; Jenny doveva occuparsi degli anestetici nel caso ce ne fosse stato bisogno, mentre Hermes si poteva sbizzarrire con la telecamera. Alle altre ragazze erano affidati compiti generici d'appoggio.


Le mansioni erano state affidate in base alle attitudini e alla preparazione professionale di ciascuno. Infatti Rudy si era da poco diplomato presso una scuola di materie tecniche, Hermes aveva la passione della fotografia, mentre Jenny aveva seguito un corso per infermiera. A Marcello, Debora e le ragazze, non avendo alcuna specializzazione, spettavano ruoli di manovalanza.
Era stato deciso che si sarebbero portate via quattro fattrici e, se qualcuno avesse avuto le mani libere, anche un paio di bambini, la qual cosa sarebbe stata sfruttata in seguito sulla stampa, dato che i cuccioli fanno sempre più tenerezza degli adulti e in questo modo i Restauratori della Giustizia si sarebbero accattivati le simpatie delle mamme o, almeno, delle nonne.  Potrebbe sembrare un atteggiamento cinico ma, nelle condizioni in cui il gruppo si trovava ad operare e tenuto conto della potenza dell'avversario che avevano di fronte, c'era la necessità di sfruttare ogni minimo appiglio per amplificare la portata e l'eventuale successo dell'operazione. 
                                                                                                                                                                
Ben difficilmente, comunque,  i membri del commando avrebbero avuto le mani libere per prendere in braccio i bambini, poiché, facendo i conti, tutti avevano qualche cosa da fare e lo dovevano fare in fretta dato che la loro irruzione avrebbe messo in agitazione, o addirittura gettato nel panico, l'intero reparto. Tolto Hermes, che oltre a dover armeggiare con la cinepresa doveva rovistare negli armadi e nei cassetti alla ricerca di videocassette già registrate dai ricercatori, tolta la ragazza che faceva da palo, tolto Marcello e il grosso del gruppo che, assistito da Jenny armata di siringa, doveva occuparsi di prelevare le femmine adulte, l'unica che avrebbe potuto prendersi in braccio un bimbo pigmeo era Debora, a cui spettava il compito di coordinare lo svolgersi delle operazioni e di controllare il tempo della loro esecuzione. Tempo che si sarebbe ridotto in definitiva a una manciata di secondi, stile toccata e fuga, perché la caciara che ne sarebbe risultata avrebbe sicuramente fatto accorrere i guardiani.

Ciascuno dei partecipanti aveva vissuto nella propria mente le varie fasi dell'operazone, provando e riprovando, ipotizzando infinite variazioni sul tema e scoprendo ogni volta nuove insidie, pericoli e imprevisti. In quei casi non era certo consolante quella legge di Murphy per la quale se qualcosa può andare storto, prima o poi o farà.
Ma ora non era più il tempo delle elucubrazioni mentali. Bisognava agire, gettare il cuore oltre l'ostacolo, che tutto il resto, cervello, fegato e frattaglie varie sarebbe venuto di seguito.
La guazza notturna bagnava le alte erbe e rendeva fradici i loro vestiti. Loro erano lì, indomiti, in mezzo al prato. Erano in nove, ma intere moltitudini angeliche si affollavano sibilando sopra le loro teste, nel buio stellato della notte, chiamando a gran voce i loro nomi per incoraggiarli mentre gli alati cherubini, gli hooligans del cielo, facevano per loro un tifo forsennato, ma essi non li sentivano, sentivano solo il tambureggiare dei cuori nel petto, che si sintonizzava col canto dei grilli. Sentivano, in lontananza, il gracidare dei batraci. Era estate infatti. Una placida estate. Avresti detto ch'era impossibille che là, oltre la rete metallica, oltre quei muri, ci fossero degli esseri umani, anche se di ridotte dimensioni, in attesa di essere torturati da qualche sapientone bianco, col camice pure bianco e con la coscienza probabilmente sbiadita, anemica e devitalizzata. Anzi, se alzavi lo sguardo al cielo verso le crudeli, maliziose stelle ti saresti forse chiesto perché l'umanità era ripiombata nella barbarie del cannibalismo e se non fosse tutto un sogno, un insensato incubo, l'allucinazione di un Dio malato o la congiura di qualche demone in vena di scherzi.

Hermes, soprannominato per l'occasione Occhio di lince, in virtù della sofisticata attrezzatura ottica che manipolava, vide o almeno gli parve di vedere, fra gli alberi esterni alla recinzione, muoversi due ombre. Lo comunicò agli altri che immediatamente si acquattarono fra l'erba. Dopo alcuni minuti di incertezza collettiva, Marcello si offrì di andare a vedere di cosa si trattava tenedosi in contatto radio con Hermes mediante le ricetrasmittenti. Passarono lunghissimi minuti, durante i quali i fantasmi dell'angoscia poterono esibirsi in una danza disordinata e saltellante attorno al gruppo, prima che Marcello desse comunicazione dello scampato pericolo, poiché delle ombre che Hermes aveva visto non c'era neanche l'ombra. L'incidente però, vero o illusorio che fosse, mise a disagio i nove facendo loro scendere dal cacuzzolo della testa, passando attraverso la nuca e il collo, giù giù lungo il filo della schiena fino a perdersi, ramificandosi, nella regione gluteica, una colata di vibrazioni corrosive e gelide come idrogeno liquido. 

Rudy, detto l'elettricista nervoso, suggerì di fare dietro front, finché erano in tempo, e la sua scontata e prosaica proposta moltiplicò per dieci l'irritazione e il disagio che già si erano impossessati dei presenti. Debora tagliò corto. L'occasione era irripetibile. Disse con tono deciso: "Siamo stati qui già troppe volte, di giorno e di notte, e chissà quante tracce abbiamo lasciato in giro senza accorgerci. Dobbiamo agire stanotte, perché più passa il tempo e peggio è per tutti!".
Discorso che non presentava grandi argomentazioni dialettiche e che lasciava trasparire in lei, forse per la prima volta, un lieve cedimento sul piano della razionalità. Anche la sua voce si era fatta più roca. Si levò una vocina nel buio, quasi un bisbiglio. Era una delle ragazze.
"Proprio perché abbiamo lasciato troppe tracce del nostro passaggio,  dobbiamo tornare indietro. Non possiamo correre rischi!".

Gli altri facevano come i passanti che per strada assistono ammutoliti e distanti al litigio di due energumeni. Debora, non appena Marcello tornò alla base, si alzò e si mosse. Anche gli altri la seguirono. Qualcuno, brontolando quasi tra sè, ancora diceva con voce strozzata e lamentosa: "Ah, ho un presentimento. Sento che qualcosa andrà storto..." ma ormai il gruppo con i volti coperti dai passamontagna era già vicino alla rete. Marcello ci dava dentro con le cesoie ed Hermes illuminava l'intera scena, riprendendola, con il faretto della telecamera.
Superarono il varco, mentre qualcuna delle ragazze si liberava, aiutata dalle altre, dagli spuntoni di rete tranciata dove era andata ad impigliarsi. Ora toccava alle mani di fata di Rudy. Prima che il gruppo si accingesse anche soltanto a toccare la porta d'ingresso dell'edificio bisognava disattivare le spie di sicurezza. Passarono alcuni minuti, che com'era comprensibile sembrarono a tutti un pò più lunghi del normale, prima che Rudy, che si era alllontanato in direzione della centralina dev'erano alloggiati i terminali elettronici dell'allarme, emettesse con una torcia elettrica i tre lampi di luce successivi che significavano via libera.

La porta non era nemmeno chiusa a chiave. Che significava? Era un tranello o una semplice dimenticanza di qualche custode? Non c'era tempo per riflettere. Ormai erano in ballo. Avevano superato il punto di non ritorno.
I prigionieri si comportarono benissimo: svegliati improvvisamente in un'ora inusitata, molti di loro, con i loro occhietti, presero ad ammiccare quando le luci delle torce elettriche li ferivano, illuminandoli in volto. Jenny, con le sue minacciose siringhe, rimase disoccupata. Furono individuate le fattrici, fra cui una gravida, e poiché non potevano né sorreggersi né tantomeno camminare, a causa degli arti anchilosati, furono trasportate di peso senza che dessero in ismanie. Hermes filmava come un consumato regista. Tutto procedeva a meraviglia, come in un sogno. Era troppo bello per essere vero; tutti, sia i liberati che i liberatori, sembravano non rendersi conto di quello che realmente accadeva: sembrava di essere in un film.

Le ragazze uscirono dal capannnone con le loro attonite prede. Debora le seguì, non prima di aver preso in braccio una creaturina dalla pele scura, con gli occhioni neri e il ventre prominente. Si ritrovarono tutti fuori dal recinto, vicino alla rete squarciata. Si contarono. Erano in otto, più quattro femmine di pigmeo e un loro cucciolo. Mancava Rudy.
Che fare? Aspettare, andarlo a cercare o andarsene senza di lui? L'improvviso pianto del bimbo li fece optare per quest'ultima scelta. Anche le donne pigmee stavano cominciando a piagnucolare, si stavano riprendendo dallo shock o forse avevano freddo per lo sbalzo di temperatura, così il gruppo si avviò celermente. Hermes continuava a filmare. Per fortuna, Marcello voltandosi a guardare indietro, vide la sagoma di Rudy che si muoveva mentre passava attraverso il varco della recinzione. Ne diede notizia agli altri che si tranquillizzarono. Rudy sopraggiunse, trafelato per la corsa, quando ancora il gruppo camminava con passo lesto in direzione dei furgoni. Non c'era stato nessun intoppo, era stato solo un problema di tempismo.

Era ancora buio quando arrivarono alle macchine, ma mancava poco al sorger del sole per cui Debora ordinò, tra i mugugni di chi non vedeva l'ora di essere a casa al sicuro, che si sarebbero mossi solo con la luce del giorno per confondersi con gli operai che andavano al lavoro. Fu una mezz'ora molto travagliata per tutti poiché quanto più passava il tempo, anche se erano nascosti fra la vegetazione di un boschetto, tanto più il terreno scottava loro sotto i piedi. Ed il pericolo era reale perché i custodi avrebbero potuto accorgersi del furto di alcune cavie e dare l'allarme.
Per ingannare l'attesa alcune ragazze, all'interno dei furgoni, cercarono di socializzare, a gesti e con un tono di voce morbido, con le intimidite pigmee, nel tentativo di trasmettere loro un senso di tranquillità e sicurezza. A un certo punto, spuntato il giorno, Debora diede ordine di muoversi, piano piano, con grande sollievo di tutti quanti.


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